“La 194 inapplicata: obiettori 7 ginecologi su 10”, al via la campagna “Libera di abortire”

Filippo Poltronieri

Oltre 40 anni dopo la legge 194 non è sufficiente a garantire il diritto delle donne ad accedere facilmente all’interruzione volontaria di gravidanza. In Italia i ginecologi obiettori sono sette su dieci, una percentuale che aumenta sensibilmente in alcune regioni costringendo le donne a un turismo sanitario intranazionale. Esemplare il caso di Francesca Tolino, testimonial della campagna “Libera di abortire”, promossa da Radicali Italiani e da altre associazioni che da anni si battono per i diritti delle donne, e presentata a Roma dopo la prima tappa di Pescara.

“Il mio è stato un percorso a ostacoli”, racconta Francesca che ha denunciato la sua storia al settimanale L’Espresso. “Quando ho scelto di abortire in tutta la città non c’era un ginecologo disponibile, il mio mi ha detto di andare a Londra” denuncia la donna, che dopo un anno dall’interruzione di gravidanza ha dovuto anche subire l’onta di una lapide per il feto abortito, collocata nel cimitero Flaminio a sua insaputa. “Ci sono stigmatizzazioni, violenze fisiche e psicologiche”, dice Adele Orioli, dell’UAAR e storica collaboratrice di MicroMega. “Basti pensare alla settimana di ripensamento, la legge 194 sente tutti i suoi 43 anni, certo intanto si dovrebbe applicarla bene”.

Queste le ragioni alla base del lancio della campagna, che mira a informare le donne e a rendere più accessibile un diritto che rischia di restare solo su carta. “Invitiamo il Parlamento a pubblicare la relazione con i dati sulle interruzioni di gravidanza, numeri fermi al 2018”, spiega Giulia Crivellini, avvocata e tesoriera di Radicali Italiani. “Anche il comitato per i Diritti sociali ha condannato l’Italia per il non rispetto del diritto di accesso alla salute per le donne: per questo chiediamo che si proceda con l’indizione di bandi regionali ad hoc per la ricerca di medici non obiettori”, conclude Crivellini.



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