I 25 anni dello Statuto di Roma: come il conflitto in Ucraina ne ha rilanciato il ruolo

Il 17 luglio 1998 nasceva lo Statuto di Roma, il trattato alla base della Corte penale internazionale che permette di perseguire gli Stati per crimini di genocidio, crimini contro l’umanità e crimini guerra. È sempre prevalso in vari contesti lo scetticismo per la scelta di ricorrere alla giustizia internazionale, ma il conflitto in Ucraina ha mutato la prospettiva.

Maurizio Delli Santi

–  Il 17 luglio 1998 viene approvato The Rome Statute, lo Statuto di Roma, il trattato che pone le basi per istituire la Corte penale internazionale.
– Gli scenari del conflitto in Ucraina hanno riproposto l’idea di dare un senso compiuto allo sdegno dell’umanità contro le atrocità della guerra, riaffermando il ruolo della Corte penale internazionale.
– I principi dello Statuto di Roma possono rappresentare anche una base solida per definire processi di pace equi e giusti, che evitino “rese incondizionate” per le popolazioni aggredite.

I 25 anni dello Statuto di Roma
Sono trascorsi 25 anni da quel 17 luglio 1998, quando a Roma la Conferenza diplomatica che riuniva i rappresentanti di 160 Stati scoppiò in un fragoroso applauso: alle 22.50, il Presidente Conso aveva annunciato i 120 voti a favore della maggioranza assoluta, raggiunti sui 148 Stati votanti. Lo Statuto della Corte penale internazionale (Cpi) era finalmente diventato una realtà. Da quel momento tra i giuristi di tutto il mondo si ricorderà The Rome Statute, lo Statuto di Roma. Quella sera una fiaccolata era partita dal Campidoglio e, attraversando i Fori imperiali e le Terme di Caracalla, era giunta alla Fao di viale Aventino, sede della Conferenza. L’attesa aveva coinvolto anche in molte altre parti del mondo una vasta rappresentanza di organizzazioni e movimenti della società civile, allora attiva promotrice dei temi della giustizia internazionale.
Entrato in vigore il 1° luglio 2002 al raggiungimento delle ratifiche necessarie – l’Italia vi aveva provveduto con la Legge12 luglio 1999 n. 232 – lo Statuto della Corte si presenta oggi come la base giuridica più compiuta che definisce i crimini di genocidio (art.6), i crimini contro l’umanità (art.7), i crimini guerra (art. 8). Dopo la Conferenza di Kampala del 2010, la Corte ha esteso la competenza sull’aggressione (art.8-bis), ovvero l’attacco illegittimo contro la sovranità degli Stati, in violazione dei principi della Carta delle Nazioni Unite. La Corte nella sua configurazione di tribunale a carattere permanente e dall’efficacia universale interviene sulla base del principio di complementarietà, ovvero qualora gli Stati “non vogliano o non possano” giudicare i colpevoli, per unwillingness, il «difetto di volontà» (per ritardi ingiustificati, non indipendenza e  non imparzialità, ex art.17 comma 2 lett.a), o per inability, l’«incapacità dello Stato» (per “collasso istituzionale”, specie riferito agli organi giudiziari, ex art.17 comma 2 lett.b). Per i crimini di competenza della Corte non operano prescrizioni e immunità, ma sono previsti vari vincoli che condizionano la procedibilità, in alcuni casi subordinata anche alle determinazioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.

Il percorso di attuazione e la guerra in Ucraina
Un sistema così radicalmente innovativo non poteva presentarsi senza difficoltà e con critiche su vari fronti. Tra le 123 Nazioni che hanno aderito al sistema della Corte non figurano la Russia – che pure aveva sostenuto e approvato lo Statuto – la Cina, ma anche Israele e soprattutto gli Stati Uniti. Quando si è tentato di avviare indagini nei teatri afghani e palestinesi, nei confronti della ex procuratrice Bensouda i leader americani e israeliani hanno lanciato l’accusa di essere una enemy of the State e di antisemitismo, e il presidente Trump ha emesso nei suoi confronti un executive order di congelamento dei beni, poi revocato da Biden. I Paesi africani hanno lamentato l’orientamento dei giudici a procedere solo o principalmente in quel contesto regionale, mentre si è parlato di inerzie sulle crisi del Darfur e della Siria. Le critiche hanno riguardato anche il rapporto risorse/risultati: budget che ricadono sugli Stati parte (circa 170 milioni di euro nell’ultimo anno) e uno staff di 900 persone sono stati impegnati in questi venti anni complessivamente per 31 casi, che hanno portato a 40 mandati di arresto, di cui 21 eseguiti, 10 condanne e 4 assoluzioni. Non è questo, tuttavia, un dato di univoca lettura, vista le complessità nell’ accertare le responsabilità e nel rintracciare i colpevoli per tale genere di crimini, per i quali peraltro non possono avviarsi processi in contumacia.
Fondamentalmente, è sempre prevalso in vari contesti lo scetticismo per la scelta di ricorrere alla giustizia internazionale che contrasterebbe con la ricerca di percorsi per la pace, specie in una guerra in corso. Ma il conflitto in Ucraina ha mutato la prospettiva.
Le distanze tra gli attori sull’avvio di negoziati e la brutalità della condotta della guerra hanno indotto gli Stati a difendere un popolo anche con gli altri strumenti che portano all’isolamento internazionale dell’aggressore: dalle Risoluzioni di condanna dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, fino alle sanzioni economiche e ai processi della giustizia penale internazionale. Peraltro l’affermazione dei principi dello Statuto di Roma, come l’incriminazione per le guerre di “aggressione”, può porre una base solida da cui partire per definire un processo di pace equo, giusto e giuridicamente valido, che garantisca un popolo da qualsiasi “resa incondizionata” sotto la minaccia di un aggressore.
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Il mandato d’arresto per Putin
La svolta si è avuta con la scelta compiuta da un gruppo di 40 Stati – con in testa la Lituania, l’Italia e tutti gli altri paesi dell’Unione europea – che ha voluto dare forza e legittimazione al procuratore della Corte: ai sensi dell’articolo 14 dello Statuto, hanno promosso il referall, l’atto d’impulso con la richiesta di indagare nel conflitto in Ucraina su ogni atto che integri non solo crimini di guerra, ma anche crimini contro l’umanità e il genocidio. Il 17 marzo 2023 su richiesta del Prosecutor la Camera preliminare ha emesso nei confronti del Presidente Putin e della Commissaria per i diritti dei minori Maria Lvova-Belova i primi mandati d’arresto con l’accusa di deportazione e trasferimento illegale di minori ucraini dalle zone occupate dell’Ucraina alla Federazione russa, in violazione dell’articolo 8, paragrafo 2, lettera a), punto vii), e dell’articolo 8, paragrafo 2, lettera b), punto viii), dello Statuto di Roma. Le polemiche sulla difficoltà di dare esecuzione al mandato d’arresto senza un regime change ovviamente sono state scontate, ma intanto è un dato di fatto che anche nella percezione dei controllati media russi il provvedimento della Corte segna un aggravamento dell’isolamento internazionale di Putin. Una condizione destinata ad incidere non poco, posto che la rivolta di Prigozhin ha confermato che la stessa nomenklatura non è più monolitica attorno al suo leader.

Perseguire il crimine di “aggressione”
Si pone il problema del crimine di aggressione, il leadership-crime che si è delineato a monte nella irresponsabile scelta dei vertici della Federazione Russa di violare la sovranità dell’Ucraina. A rigore non è possibile perseguire Putin e la sua nomenclatura per l’aggressione, perché la Russia non ha ratificato lo Statuto, come peraltro gli Stati Uniti e la stessa Ucraina, che pure ha aderito al sistema della Corte per gli altri crimini internazionali con una procedura di accettazione ad hoc. Né ci si può aspettare una determinazione nel senso dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu, dove siede la Russia con potere di veto. Zelensky ha promosso l’idea di costituire un Tribunale speciale per l’Ucraina, che è stata rilanciata dalla Presidente della Commissione europea von der Leyen e poi formalizzata in occasione del 24º vertice UE-Ucraina del 2 febbraio 2023.  La Commissione ipotizza due modelli: un tribunale internazionale basato su un trattato multilaterale, o un tribunale ibrido, un organismo giudiziario nazionale integrato con giudici internazionali. Il parlamento di Kiev a breve potrebbe ratificare integralmente lo Statuto della Corte e si potrebbe sostenere una risoluzione dell’Assemblea degli Stati parte e un accordo tra Unione Europea, vari Stati garanti e l’Ucraina che coinvolga la stessa Corte penale internazionale, che perciò non è esclusa o superata dal processo. Intanto il 3 luglio scorso si è costituito il Centro internazionale per il perseguimento del crimine di aggressione contro l’Ucraina (ICPA), all’Aja, nella sede di Eurojust, l’Agenzia dell’Unione Europea per la cooperazione penale, da cui il Centro ha diretto sostegno. La struttura si poggia sulla rete che ha già assicurato la raccolta delle prove sui crimini internazionali dalle fasi iniziali della guerra, costituita da esperti di varie organizzazioni e agenzie internazionali, come la Rete europea contro il genocidio, e delle procure nazionali che hanno cooperato con quella ucraina, e soprattutto con il prosecutor della Corte penale internazionale. Anche gli Stati Uniti hanno sottoscritto un memorandum d’intesa con l’ICPA designando un procuratore speciale per l’aggressione all’Ucraina.

Ritrovare lo “spirito” dello Statuto di Roma
L’Italia può ancora promuovere qualcosa di concreto: il varo del Codice dei crimini internazionali da tempo in gestazione tra governo e parlamento, e la riapertura alla firma dello Statuto per estenderne l’adesione. La catastrofe umanitaria compiutasi in Ucraina dovrebbe orientare gli Stati Uniti a ritornare sui loro passi per aderire pienamente al sistema della Corte, anche perché ciò aiuterebbe in maniera significativa l’affermazione universale dei principi della giustizia penale internazionale, rendendo compiuto e indelebile lo sdegno delle democrazie contro le atrocità della guerra. L’Italia potrebbe farsi carico anche di una proposta di revisione dello Statuto: nel caso di una Risoluzione adottata dall’ Assemblea degli Stati parte dello Statuto, o a seguito di un referall presentato da almeno 40 Stati, dovrebbe consentirsi al Prosecutor di procedere direttamente pure per l’aggressione, ed anche nei confronti degli Stati che non hanno ratificato lo Statuto. Significherebbe dare un senso agli anniversari e far rivivere lo “spirito” dello Statuto di Roma

di Maurizio Delli Santi, membro dell’International Law Association

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IMMAGINE DI COPERTINA: Foto Facebook, ONU | 17 luglio 1998, l’allora Segretario Generale dell’ONU, Kofi Annan, alla cerimonia di apertura dei lavori per la firma dello Statuto di Roma 



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