25 anni senza Battisti ma con ancora le sue canzoni sulle labbra

Il grande artista reatino ha segnato un'epoca, e proprio per questo è stato paragonato a Bob Dylan dal New York Times. Ricordiamolo oggi insieme ai suoi più grandi successi.

Giovanni Carbone

Nato a Poggio Bustone il 5 marzo 1943, ci ha lasciati il 9 settembre 1998 a Milano, Lucio Battisti rimane tra i più influenti e noti cantautori italiani. Al suo attivo ha una ventina di album, tante esperienze, non ultime quelle di compositore per gente come Gene Pitney, gli Hollies, Paul Anka. I testi se li faceva scrivere, da Mogol, per esempio, con cui costituì un sodalizio che sa di mito, o da uno sperimentatore come Pasquale Panella. Esplora vari generi musicali, si forma con l’ascolto dei Beatles, Otis Reddings, Ray Charles, Donovan, Bob Dylan. Ad accorgersi del suo talento è, a metà degli anni ’60, Christine Leroux, un’editrice musicale di origine francese che gli procura l’appuntamento fatidico con Giulio Rapetti, in arte Mogol. Il primo brano, «Hey ragazzo» lo scrivono per l’Equipe 84. I due continuano a comporre, per qualche singolo proprio, molto per altri. Poi arriva il primo album che nel 1969 è tra i più venduti in Italia. Il resto è una sfilza interminabile di successi, da Non è Francesca a La canzone del sole, da Anna a Fiori rosa fiori di pesco e Con un nastro rosa. Come musicista Battisti è un’autodidatta, ma lavora duro ed ha una padronanza istintiva degli strumenti, la sua chitarra suona come si deve. Riesce a modulare il ritmo sugli stessi accordi costruendo cambi melodici di grande effetto. I suoi arrangiamenti, le sue produzioni parlano di una conoscenza profonda delle sale di registrazione, pure di ingegneria audio innovativa che mescola a sonorità tradizionali. La sua voce non è certo quella da grandi performance, Natalia Aspesi ne dice «chiodi che gli stridono in gola», ma fa di necessità virtù rendendola un marchio di fabbrica, uno strumento musicale essa stessa, giocando sulle tonalità perché si colorassero d’espressività emotiva come pochi sono riusciti a fare. Si affaccia sulla scena e al grande pubblico in un momento in cui si richiede al cantautorato impegno sociale e politico. Lui se ne tira fuori, si dichiara apolitico, cantore del disimpegno, delle emozioni più intime. Lo «stupida» rivolto alla protagonista della canzone «Io ti venderei» lo rende inviso al movimento femminista e gli preclude la possibilità di partecipare al Festival del proletariato giovanile organizzato dalla rivista Re Nudo. A sinistra quel disimpegno non piace, viene fuori che abbia marcate simpatie di destra, che sia addirittura finanziatore di Ordine Nuovo. Non c’è conferma, ma lui confida che tutto sommato quelle voci val la pena lasciarle lì, ad alimentarne la leggenda.

Al contrario di quanto ci si attenderebbe sull’onda del suo immediato successo, Battisti smette presto coi concerti, già nel 1970. Ne da lui stesso una precisa motivazione: «Intanto, non vivi e, come ho detto, io intendo seguire questa professione, intendo guadagnare, intendo divertirmi, intendo avere successo, ma intendo anche vivere. (…) Intendo conservare la mia autonomia, la mia personalità per quanto possibile, e una delle cose che ti spersonalizzano al massimo sono le serate. (…) Non faccio tournée né spettacoli perché mi sembra di vendermi, di espormi in vetrina: io voglio che il pubblico compri il disco per le qualità musicali e non per l’eventuale fascino del personaggio.»
La decisione di non apparire in pubblico diventa per Battisti radicale, non si limita a non fare concerti, si sottrae ad interviste – ne rifiuta una persino ad Enzo Biagi -, fotografie, passaggi televisivi.
Agli inizi degli anni ’80 rompe il suo sodalizio con Mogol, pare senza litigi, esclusivamente per divergenze artistiche perché il paroliere avrebbe voluto proseguire con le sue consuetudini poetiche sull’amore, Battisti invece desidera andare oltre, vuole battere nuove strade. Le trova nei testi ai limiti del non sense di Pasquale Panella con il quale incide il suo primo disco nel 1986. Nelle canzoni del nuovo sodalizio emerge altro rispetto alla tradizionale canzone d’amore, tanti i riferimenti alla spiritualità, alla filosofia nichilista, all’esoterismo. Anche sul piano delle sonorità Battisti si avventura in campi assai differenti dagli esordi, l’elettronica, la techno, la new wave persino. I risultati di vendita degli ultimi anni sono assai lontani dai suoi storici successi. Ad ogni buon contro il New York Times scrive di lui «La sua fama e il suo seguito giovanile sono stati tali che a volte è stato paragonato a Bob Dylan, non tanto per i contenuti politici delle sue canzoni quanto per il modo in cui hanno segnato un’epoca.»
Del resto è innegabile che in certe feste, in certi convivi d’ambienti che per molti aspetti potevano apparire assai lontani dalla musica del cantante reatino, se spuntava fuori una chitarra prima o poi si arpeggiava La canzone del sole con scarse possibilità che qualcuno non la cantasse o sbagliasse un verso.
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