“Ogni ambiguità sulla guerra di Putin è un regalo alle destre”: intervista a Paolo Berizzi

Intervista al giornalista e scrittore da anni impegnato a contrastare lo sdoganamento delle forze di estrema destra: "Le ambiguità e la rottura del fronte antifascista sulla guerra sono un regalo alle destre che vogliono rimuovere l'antifascismo". Sulle polemiche: "Sono per la mozione Segre: doveroso cantare Bella Ciao con un pensiero a Kiev".

Redazione

“Al netto delle sensibilità di ciascuno e della prudenza legata al fatto che hai a che fare con un criminale di guerra che non vuole trattare e minaccia l’intero Occidente, sulla guerra servivano e servono parole di chiarezza, dritte, che non si possano manomettere. Altrimenti si generano cortocircuiti dannosi, come purtroppo è successo”. Parte da qui Paolo Berizzi, giornalista e scrittore, unico giornalista in Europa a vivere sotto scorta per le minacce subite dall’estrema destra, che in una lunga intervista rilasciata a MicroMega sottolinea come, prima di qualsiasi analisi o lettura, sia necessario partire da una premessa: “Sulla guerra non devono esserci ambiguità di nessun tipo. Guai anche solo a pensare di invertire o confondere le parti o a parlare di equidistanza. C’è un invasore e un invaso, un oppressore e un oppresso. C’è uno Stato sovrano attaccato da una superpotenza che ha sferrato un attacco scellerato e infame. Ogni dibattito è legittimo, ma da qui si deve partire, e da questo dato di realtà non si può prescindere”.

Partiamo dal nostro lavoro. Come giudichi il lavoro giornalistico che si sta facendo in Italia sulla guerra?
Bisogna avere un profondo rispetto e ringraziare i colleghi che da quasi due mesi operano sul campo, offrendoci un’informazione di prima mano e di qualità. Credo che l’informazione italiana, parlo soprattutto per chi ha inviati sul terreno del conflitto, stia facendo un ottimo lavoro anche di “scrematura” perché, come sappiamo, la prima vittima in una guerra è la verità. E dunque l’informazione. I colleghi in Ucraina sono costretti a muoversi tra le bombe, il rischio fake news effetto della propaganda bellica e l’analisi-elaborazione delle notizie provenienti – in questo caso – da entrambi i fronti.
Meno buono, – salvo poche e lodevoli eccezioni – mi pare il livello di informazione che si sta facendo negli studi televisivi: il parterre di opinionisti – molti dei quali a gettone – che si sposta da un canale all’altro è ridotto a tifoseria di uno o dell’altro schieramento. Certo, questo dipende in grande parte dai format televisivi, programmi organizzati in alcuni casi con la curva A e la curva B. Se inviti una badante ucraina a discutere con un cuoco russo o professori universitari che, facendo giri larghissimi, propongono tesi in taluni casi a dir poco ambigue, in altri dichiaratamente faziose e che provocano, non stai facendo informazione ma solo show.

Da tempo uno stuolo di giornalisti, in cui siamo inseriti anche noi, andava ripetendo “attenzione alla propaganda russa in Italia” e “attenzione agli accordi tra Putin e la destra italiana”. Purtroppo, avevamo ragione. E non è una grande soddisfazione.
Quando si scriveva che la propaganda russa stava pericolosamente attecchendo in Italia e in Europa, accolta in primis da populisti e nazionalisti, ti dicevano che esageravi. Abbiamo raccontato questo fenomeno e come una certa destra fascistoide stava strizzando l’occhio a questa propaganda e a quel governo. Putin è stato per anni un punto di riferimento per gruppi e partiti di destra e di estrema destra tanto in Italia quanto in Europa. Dopo la guerra, abbiamo poi assistito al disperato e patetico tentativo di quella classe politica – penso a Salvini – di prendere le distanze da quel governo.
Non serviva aspettare l’attacco all’Ucraina per rendersi conto di come il modello di società proposto da Putin fosse lontano da una qualsiasi idea di democrazia. Putin era già abbastanza famoso per aver compresso ogni diritto nella società russa, aver imbavagliato – se non peggio – i giornalisti russi, aver attaccato la comunità lgbtq, aver dato vita a una politica nazionalista di chiara matrice fascista. E mentre in tanti lanciavamo l’allarme, due esponenti politici di primo piano della politica italiana, alla guida di due partiti come Lega e Fratelli d’Italia lodavano Putin o andavano a braccetto con quel governo.

Come ci si sente, pur vivendo sotto scorta per minacce dell’estrema destra e pur continuando a denunciare l’avanzata delle forze di estrema destra in Italia e in Europa, a essere tacciato – sui social – di essere “amico del battaglione Azov”?
I cialtroni sono in servizio quotidiano permanente e non meritano commenti. Sono gli stessi che gridavano alla dittatura sanitaria, novax, no green pass, fascisti e giù di lì. Mi accusano di essere non solo amico del battaglione Azov, ma di essere al servizio della Nato e un servo degli Stati Uniti…  E tutto questo perché ho detto e scritto che sulla guerra di Putin non possono e non devono esserci ambiguità di nessun tipo. Sull’Ucraina e sulla sua storia possiamo dire e pensare tutto quello che vogliamo; Zelensky può piacere o meno. Ma il fatto che tra le milizie ucraine ci siano anche i nazisti del battaglione Azov non può portare nessuna persona sinceramente democratica, e ancor meno nessuna persona antifascista, di sinistra, progressista, a confondere o addirittura invertire le parti. C’è un dittatore che ha scatenato una guerra e un presidente democraticamente eletto che, col suo popolo, la sta subendo da due mesi. Punto.
Che il battaglione Azov sia una brodaglia nazista, schifosa, è un dato di fatto su cui non dobbiamo nemmeno discutere e che abbiamo denunciato in ogni salsa, come ha fatto anche MicroMega. Ma da qui a essere in imbarazzo nello schierarsi dalla parte dell’aggredito, dell’Ucraina…

Eppure, questo imbarazzo sembra esserci.
Ed è un imbarazzo che – passami la ripetizione – vivo con imbarazzo. Siamo tutti, e con tutti mi riferisco al campo democratico, progressista e antifascista, per la pace e contro le armi. Ma la condizione per la pace non può essere la resa di un popolo allo zar criminale di guerra. Questo confligge con la storia della nostra democrazia, con le nostre radici antifasciste. Come ha detto Liliana Segre, il 25 aprile non si può cantare Bella Ciao senza pensare a Kiev. L’imbarazzo nello schierarsi chiaramente dalla parte dell’Ucraina nasce anche dal timore che determinate scelte possano provocare un allargamento del conflitto su scala europea se non addirittura mondiale e questa può essere una spiegazione. Attenzione, una spiegazione di tale imbarazzo, ma non una giustificazione.
Il problema è che per non prendere posizione in maniera chiara ci si è esposti ad attacchi, alcuni dei quali certamente strumentali. Ma è questo che succede quando si mettono sul tavolo delle dichiarazioni, delle posizioni che hanno tratti di ambiguità: si presta il fianco. E prestare il fianco è un errore. La conseguenza di questo errore è stata aver spaccato il fronte antifascista, democratico, progressista – stavolta metto “antifascista” in testa non a caso – e averlo fatto su una guerra. Credo sia il peggior modo per onorare i nostri nonni, i nostri padri, che per la libertà e la democrazia hanno combattuto. Ho visto e vedo in giro atteggiamenti di puro tafazzismo. E per questo sono consapevole che il prossimo sarà un 25 aprile con tensioni, criticità, polemiche. In questa situazione abbiamo dato forza agli sdoganatori di professione, a quella zona grigia della politica e dell’informazione che da anni cerca di far passare il messaggio che il fascismo, alla fine, sia una cosa accettabile nella politica e in società. E l’antifascismo una cosa inutile.

Sarà un 25 aprile dal clima, diciamo così, difficile.
Mi auguro e spero che questo dibattito vivace che si è scatenato e ha aperto delle falde nel fronte antifascista italiano porti, alla fine, a un ricompattamento. Fascista è chi fascista fa. Tutti i fascismi sono da condannare, combattere, contrastare. Anche se è un fascismo che arriva dalla Russia. Personalmente, il 25 aprile sarò a Marzabotto, luogo teatro del più grave eccidio nazifascista avvenuto in Italia, con il presidente della Camera, Roberto Fico, e la sindaca Valentina Cuppi. Sarò sul luogo simbolo della Resistenza. Si canterà Bella Ciao con il pensiero a Kiev.

Photo: Frank Rumpenhorst/dpa/Frank Rumpenhorst/dpa



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