Come ti svaporo l’8 marzo

C’è chi per l’8 marzo propone di andare “oltre”. Ma non è un po’ strumentale usare l’8 marzo per dichiarare di fatto che ciò che conta da disquisire sta, appunto, altrove?

Monica Lanfranco

Non c’è pace per l’8 marzo, data che, da quanto ha iniziato a essere importante, per diverse generazioni, come segnatempo della centralità essenziale e peculiare delle donne nella politica e nella società, ha sempre scontentato e suscitato polemiche.

Tra le varie critiche ricordo, per sommi capi, le rimostranze più in voga: «Non è una festa ma un giorno di lotta»; «È diventata una kermesse commerciale con le mimose e i cioccolatini»; «Non è giusto che ci sia un giorno delle donne, come mai non ce n’è uno degli uomini?»; «Ormai le donne hanno pari diritti, e anche di più»; «Le donne non sono una categoria da proteggere» e via dicendo.

Ma c’è anche, e mi soffermo su questo, il nodo dell’oltre, dobbiamo andare oltre l’8 marzo, in questo caso: l’avverbio è molto insidioso (e fastidioso) perché prelude allo sviluppo di posture, sguardi e pratiche culturali benaltriste, che spostano, semplicemente saltandolo a piè pari dopo averlo menzionato, il tema centrale, e lo cancellano, usandolo come cavallo da volteggio.

Oplà, ci spiegano con l’oltre, noi siamo più avanti, perché sono oltre (e quindi altre) le questioni davvero importanti. Per chi va oltre, quindi l’8 marzo è un pretesto, un fastidioso sassolino che nominiamo così poi ce lo togliamo dalla calzatura, e camminiamo meglio.

Ottimo esempio, (e non è il solo), l’iniziativa della nota catena di librerie Il libraccio, che lancia sul suo canale Instagram una serie di incontri (a partire dell’8 marzo, appunto) con donne e uomini dell’attivismo sul tema dell’inclusività, oggi un must culturale, nell’ambiente accademico ma non solo. Il titolo è, per l’appunto, Libraccio oltre l’8 marzo e nell’invito si spiegano così i vari interventi: «Voci diverse tra loro a testimonianza di una nuova sensibilità collettiva che deve trovare i giusti alleati per spingere a un ulteriore cambiamento. Libraccio oltre l’8 marzo coinvolgerà scrittorз e influencer e nelle interviste social si parlerà di abilismo, di grassofobia, di razzismo, di transizione e transfobia, sex work, di femminismo e mascolinità tossica (coinvolgendo il punto di vista maschile)».

Come ebbi a scrivere alla fine del 2021, nutro forti dubbi sulla bontà di una inclusività che di fatto cancella la differenza sessuale e le donne (e la temo): il sintomo sospetto è che avere dubbi, per esempio, sull’uso dello schwa, ormai entusiasticamente adottato da molti atenei italiani e da qualche giornale, ti tira addosso così tante critiche che nemmeno Laura Boldrini quando disse che voleva essere chiamata ministra. Boldrini, però, facendosi portavoce di un annoso percorso di sottolineature dell’essenziale invisibile agli occhi, ovvero che nel mondo ci sono uomini e donne (queste ultime in numero maggiore sul pianeta) non chiedeva di cancellare gli uomini, ma di nominare il femminile, come da grammatica italiana.

Mentre nelle università infuria il dibattito sul tema, che ha visto il suo apice, per ora, nella invettiva di Christian Raimo a sostegno dello schwa contro l’articolo, peraltro non polemico, di Cristiana De Santis sulla Treccani, torniamo all’iniziativa social di Libraccio, comunque meritevole di elogio perché leggere libri è un’azione sempre più desueta.

La domanda è: non vi suona un po’ offensivo, o quantomeno strumentale, usare l’8 marzo, Giornata internazionale dei diritti della donna per poi dichiarare, (legittimamente), che si vuole andare oltre, dimostrando plasticamente che ciò che conta da disquisire sta, appunto, altrove e che del senso e della storia dell’8 marzo non importa nulla?

Se il sessismo e le donne sono uscite dall’orizzonte di chi cerca «i giusti alleati per spingere a un ulteriore cambiamento» perché non usare un’altra data valida per andare oltre, che so quella del rifugiato, dell’olocausto, della discriminazione razziale, dell’omofobia, così poi da andare oltre anche a quelle?

Il corteo delle donne. Lettere a Virginia Woolf dal XXI secolo



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