A 85 anni dalla Notte dei cristalli, gli ebrei tedeschi tornano ad avere paura

L’antisemitismo in Europa, e in Germania in particolare, è in aumento e talvolta si mescola, spesso in maniera indistinguibile, a forme di antisionismo. Ma mettere tutto in un unico calderone non aiuta a combattere l’odio contro gli ebrei.

Cinzia Sciuto

Ottantacinque anni fa, nella notte fra il 9 e 10 novembre squadre di nazisti dilagarono in tutta la Germania appiccando il fuoco e distruggendo luoghi di culto, negozi e istituzioni ebree, uccidendo centinaia di persone e deportandone decine di migliaia nei campi di concentramento in tutto il Paese. Quella che è passata alla storia come la Notte dei cristalli (una definizione che fa riferimento alla distruzione delle vetrine dei negozi e che in molti considerano però sminuente rispetto alla portata dei pogrom di quella notte) rappresentò il momento in cui la politica discriminatoria nei confronti degli ebrei avviata fin dall’inizio del regime nazista si trasformò in sistematica persecuzione che poi da lì a pochi anni portò alla decisione della “soluzione finale” e all’Olocausto.
Quest’anno la commemorazione di quella che in molti oggi preferiscono chiamare “Pogrom di novembre” cade in una atmosfera di paura. Dopo il 7 ottobre – giorno dell’attacco di Hamas a Israele che massacrato barbaramente 1400 civili israeliani e che ha poi innescato la guerra indiscriminata di Israele contro Gaza – i centri di monitoraggio dell’antisemitismo in Germania e la polizia hanno registrato un significativo aumento degli episodi di antisemitismo, che vanno dalle parole d’odio in Internet agli atti vandalici per strada, fino all’aggressione verbale e fisica a persone e luoghi (tra i più gravi il lancio di due molotov contro la sinagoga di Berlino).

L’aumento degli atti di antisemitismo di queste settimane non è un fulmine a ciel sereno. Già da qualche anno sentimenti antisemiti sono sempre più in aumento. Secondo uno studio condotto nel 2022 dalla Friedrich-Ebert-Stiftung, l’11,8 per cento degli intervistati dichiara di concordare con la frase “gli ebrei hanno oggi troppa influenza”: una percentuale inimmaginabile fino a qualche anno fa in Germania, dove una simile frase era considerata semplicemente tabù. La pandemia e la diffusione di teorie complottiste hanno riportato in vigore stereotipi che parevano dimenticati e la crescita dell’Afd – fra le cui fila i sentimenti antisemiti sono marcatamente più diffusi che in un qualunque altro partito tedesco – ha contribuito a “normalizzare” questi sentimenti.
Oggi però gli ebrei si sentono ancora più soli, “indifesi nella terra dei carnefici”, titola Der Spiegel. Meron Mendel, direttore dell’Istituto Anne Frank di Francoforte, si dice incredulo di fronte alla mancanza di empatia per le vittime del brutale massacro di Hamas che egli avverte in molte manifestazioni di solidarietà con il popolo palestinese, ossia da uno spettro politico al quale Mendel stesso – che si è sempre espresso contro l’occupazione israeliana dei territori palestinesi – si sente vicino. Di recente alla Buchmesse, in un sofferto e a tratti commovente dialogo con la scrittrice palestinese Alina Jabarin, Mendel ha dichiarato che da ebreo lui ha bisogno in questo momento di chiare e sincere parole di condanna per quello che è accaduto il 7 ottobre. Una necessità esistenziale, prima ancora che politica. E ne ha bisogno da ebreo tedesco, da ebreo che vive nella “terra dei carnefici”.

Quanto quella che Mendel registra come mancanza di empatia nei confronti delle vittime del massacro del 7 ottobre nell’ambito della sinistra sia da imputare a vero e proprio antisemitismo è difficile da dire. Quello che infatti indubitabilmente serpeggia in alcune aree della sinistra è una sorta di antisemitismo che potremmo definire “derivato”, che si intreccia (talvolta in maniera indistinguibile) all’antisionismo e anche a un certo antioccidentalismo. Che una certa forma di antisionismo nasconda venature antisemite è indubbio, ma è lecito trattare ogni forma di antisionismo tout court come antisemitismo?
Da questo punto di vista la definizione operativa di antisemitismo proposta dall’International Holocauster Rememberce Alliance e adottata anche dalle istituzioni per classificare gli atti di antisemitismo non aiuta. L‘IHRA fa cadere infatti sotto l’ombrello di antisemitismo molte cose fra cui per esempio „paragonare la politica israeliana contemporanea a quella dei nazisti“ oppure „sostenere che l’esistenza dello Stato di Israele sia un’impresa razzista“. Ora, queste posizioni possono essere considerate antistoriche, prive di fondamento, illogiche ma non sono necessariamente antisemite. E se non c’è dubbio che dietro le critiche o gli attacchi a Israele si celi spesso e volentieri anche un sentimento autenticamente antisemita, le due categorie analiticamente non coincidono.

Fra i casi che l’IHRA riporta come esempi di antisemitismo ci sarebbe poi anche “l’applicazione di un doppio standard”, che si concretizzerebbe per esempio nel fatto di pretendere “da Israele un comportamento che non ci si aspetta o non si richiede a nessun’altra nazione democratica”. Questo argomento viene utilizzato per esempio da coloro che difendono la reazione israeliana accusando invece chi la critica di pretendere appunto da Israele una reazione “diversa”, più “umana”, che non verrebbe richiesta ad altri Paesi. Ma i milioni di persone scesi in piazza nel 2003 contro le guerre di Bush cosa chiedevano agli Usa se non esattamente quello che oggi viene chiesto a Israele? E cioè di non rispondere a crimini di guerra con crimini di guerra? A crimini contro l’umanità con crimini contro l’umanità? Non pare quindi che si possa parlare in questo senso di doppio standard e accusare chi considera la reazione di Israele non solo sproporzionata ma contraria a ogni principio del diritto internazionale umanitario antisemita non ci porta certo molto lontano nella lotta all’antisemitismo.

Come non ci porta lontano neanche la tendenza ad appiattire l’identità ebraica su quella israeliana, un’associazione promossa principalmente dalla destra israeliana e dai sionisti più radicali – e ahimè fatta propria anche da una parte della sinistra, quella che nel tentativo di dissociarsi nettamente dall’antisemitismo prende la scorciatoia di un sostegno incondizionato a Israele – che considerano messianicamente Israele la terra promessa del popolo ebraico, ovunque questo popolo si trovi. È quella che un amico ebreo che vive a Berlino una volta ha definito “l’appropriazione israeliana dell’ebraismo”, ossia l’idea che gli ebrei siano in quanto tali anche sempre in qualche modo israeliani, anche quando non vivono in Israele e magari sono pure antisionisti.
Intanto, in questa notte in cui tutte le vacche sono nere i movimenti neonazisti tornano a rialzare la testa un po’ ovunque in Europa e gli ebrei tedeschi tornano ad avere paura. La sorveglianza nei luoghi di culto e nelle istituzioni ebraiche è stata rafforzata, i genitori suggeriscono ai loro figli di non parlare ebraico e di non indossare niente che li possa “qualificare” come ebrei, qualcuno inizia a pensare che sia meglio lasciare il Paese. Che in Germania gli ebrei tornino ad avere paura è qualcosa che dovrebbe far paura a tutti.

 

FOTO: Commemorazione della notte dei cristalli nel 2013 EPA/STEPHANIE PILICK



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