A sostegno dei militanti russi in carcere. L’esperienza di Solidarity Zone

Il collettivo Solidary Zone attivo in Russia sostiene tutte le persone che negli ultimi mesi hanno subito ritorsioni a causa della loro partecipazione attiva al movimento contro la guerra. Abbiamo parlato con alcuni attivisti per farci raccontare il loro lavoro e come funziona la macchina repressiva attiva in questo momento in Russia.

Francesco Brusa e Vito Saccomandi

Il collettivo Solidary Zone (Зона солидарности) è un gruppo di attivisti/e anti-repressione attivo in Russia a sostegno di tutte le persone che negli ultimi 16 mesi hanno subito ritorsioni a causa della loro partecipazione attiva al movimento contro la guerra. Una piattaforma di solidarietà che cerca di aiutare le persone arrestate a seguito delle loro azioni contro la macchina bellica russa, persone che spesso non vengono aiutate dalle organizzazioni internazionali per i diritti umani perché scelgono metodi di azione diretta, come attacchi incendiari e sabotaggi. Abbiamo parlato con alcuni attivisti di Solidarity Zone, per farci raccontare del loro lavoro, della macchina repressiva attiva in questo momento in Russia, delle prospettive sul futuro della società russa, anche alla luce degli ultimi grotteschi avvenimenti. Solidarity Zone è attivo su diversi canali di comunicazione, nei quali offre aggiornamenti e informazioni relativi ai casi giudiziari in cui sono coinvolti gli attivisti e le attiviste russi che si sono opposti all’invasione dell’Ucraina.

Puoi descrivere brevemente le attività in cui vi state impegnando?
Siamo impegnati a fornire un sistematico sostegno alle persone condannate per aver svolto o anche solo per aver progettato delle azioni contro la guerra. Alcune di queste persone si trovano al momento in centri di detenzione in attesa del processo, mentre le altre si sono viste comminare pene altamente sproporzionate da 19, 8 e mezzo o 6 anni di carcere per diverse attività contro la guerra, talvolta nemmeno azioni dirette. Ivan Kudryashov, per esempio, è stato accusato di aver pianificato l’incendio doloso di un ufficio di reclutamento militare, quando in realtà stava semplicemente attaccando uno striscione contro la guerra a una fermata dell’autobus. Gli sono stati dati sei anni.

Dopo l’inizio dell’invasione su larga scala, sono arrivate notizie riguardanti le prime azioni dirette e proteste contro la guerra. Abbiamo dunque cominciato a cercare le persone coinvolte in tali azioni, perché c’eravamo accorti di come le associazioni di difesa dei diritti umani già esistenti non si occupavano degli arresti per attività e proteste di natura più militante e non esprimevano il proprio sostegno nei confronti degli accusati. È in un tale contesto e per volontà del nostro circolo di compagni e compagne che si è formata l’iniziativa di Solidarity Zone. Tutti coloro che ne fanno parte erano già da tempo impegnati nel supporto a prigionieri e detenuti, anche per le persone che non sono formalmente incluse nelle liste dei prigionieri politici redatte dalle organizzazioni di difesa dei diritti umani. Dal punto di vista dell’orientamento ideologico, abbiamo una comune visione politica e proveniamo tutte e tutti da gruppi di sinistra, antifascisti o anarchici.

Avete deciso di mantenere segrete le vostre identità personali. Quanto è dura la repressione statale in Russia in questo momento? È aumentato dopo l’inizio dell’invasione su larga scala?
Ora la repressione è molto forte e non ci sono segnali che possa allentarsi a breve. Come ricorderete anche voi, non troppo tempo dopo l’inizio delle operazioni militari in Ucraina venne reso illegale chiamare “guerra” l’invasione su larga scala in corso, la polizia cominciò a svolgere perquisizioni in case di molte persone di nostra conoscenza e ciascuno di noi ha almeno un amico o un conoscente che si trova in un centro di detenzione in attesa di processo per attività contro la guerra. Ma anche prima dell’invasione, il livello repressivo era già alto. Con l’inizio dell’invasione, si è prodotta una sorta di ulteriore escalation delle repressioni, che vengono giustificate con il paradossale motivo di “dover difendere lo stato in un momento di (non)-guerra”.

Molte persone che hanno partecipato alle proteste contro la guerra sono state detenute o imprigionate. Che tipo di reazione c’è stata da parte della popolazione, sia in generale, sia da parte di gruppi e individui politicamente attivi? Si è generata una maggiore apatia o, al contrario, una maggiore volontà di impegnarsi in attività contro la guerra?
Credo che la situazione generale non sia cambiata in modo significativo. Le persone che già da prima si opponevano al regime sono diventate maggiormente proattive, chi era indifferente magari è diventato più critico nei confronti del governo ma per diverse ragioni non è passato all’azione e chi invece era favorevole a Putin è diventato maggiormente proattivo in tal senso.
Sono stati promessi soldi, fortuna o altri tipi di privilegi per chi si fosse arruolato nell’esercito e così hanno fatto in molti. Ma alla fine le famiglie di queste persone non hanno ottenuto nulla se non i cadaveri dei propri cari e nessun tipo di supporto da parte del governo, come c’era da aspettarsi. Neppure il fatto che un’enorme massa di bare facesse ritorno in patria ha prodotto una qualche reazione, e forse è si tratta di uno degli elementi più angoscianti. Pertanto, a livello personale, è difficile vedere significativi cambiamenti nel sentimento dell’opinione pubblica, ma comunque il più piccolo segnale in questo senso continua a scaldarmi il cuore.

Fra le attività di cui vi occupate c’è la raccolta di denaro per pagare l’assistenza legale degli attivisti e delle attiviste detenuti. Esiste ancora un sistema giudiziario di cui ci si può fidare?
Da quello che posso osservare, mi pare che il sistema giudiziario stia andando sempre più fuori controllo, l’intera struttura istituzionale tende a essere faziosa e non obiettiva e, pertanto, le possibilità che le pene per gli attivisti vengano alleggerite o che le persone arrestate fin qui vengano rilasciate è veramente minima. Tuttavia, questo tipo di possibilità esiste. Per esempio, è successo che venissero lasciate completamente cadere le accuse nei confronti dell’autore di un attacco incendiario a Nizniy Novgorod. Ci sono stati due casi in cui le persone fermate hanno dovuto semplicemente pagare una multa di 20mila rubli (circa 200 euro) e altri numerosi casi di rilascio sotto cauzione o condizionale, come è successo a Denis Garaev per aver dato fuoco all’ufficio di reclutamento nella Repubblica di Bashkortastan. Il lato negativo però è che è impossibile prevedere che cosa può succedere in tribunale, esistono infinite sfumature.
A ogni modo, riteniamo importante organizzare raccolte fondi per pagare gli avvocati dal momento che hanno un ruolo cruciale, non solo in quanto persone che aiutano la ricerca di giustizia ma anche come soggetti che possono stabilire un canale di comunicazione senza censura fra chi è detenuto e il mondo esterno, offrire supporto psicologico e protezione da ulteriori arbitrarietà o abusi da parte del personale carcerario, come per esempio atti di tortura. Si tratta insomma di figure importanti su una molteplicità di livelli.

Riuscite a contare sull’aiuto o la collaborazione di “alleati” fra altri soggetti della società civile, fra le associazioni o altri gruppi politici?
È un orizzonte su cui io in particolare, occupandomi della comunicazione esterna del collettivo, sto investendo molte energie. Sto provando a cercare potenziali alleati o sostenitori nel paese in cui mi sono rifugiato o nei paesi vicini che possano supportare la nostra causa in diverse forme. L’unico limite che ci poniamo è dato dalla necessità di condividere gli stessi principi politici, altrimenti è difficile portare avanti un qualsiasi tipo di collaborazione.

Qual è la vostra posizione sulla guerra in corso?
Pensiamo che si tratti di una guerra genocidiaria mossa contro il popolo ucraino e che, per fermarla, è necessario sostenere l’esercito ucraino e i combattenti in Ucraina. Tra l’altro, se l’obiettivo è fare in modo che i prigionieri politici, attivisti o giornalisti ingiustamente detenuti possano uscire dalle carceri, non è sufficiente donare alle organizzazioni che li supportano, ma anche sostenere chi combatte in Ucraina. Le due cose sono legate e l’unico modo per fermare questa folle barbarie è la vittoria del popolo ucraino. Non c’è altro da aggiungere.
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Esiste un “profilo tipico” delle persone che sostenete con la vostra iniziativa?
Dall’inizio della guerra abbiamo preso in esame più di cento casi di persone accusate per azioni militanti ma non siamo in grado di sostenere ciascuna di loro, perché il nostro collettivo è molto piccolo e alcuni dei partigiani accusati hanno rifiutato il nostro sostegno. Pertanto, al momento stiamo offrendo supporto a quelle persone con cui siamo riusciti a entrare in contatto oppure, in alcuni casi specifici, ci siamo occupati di delegare le attività di sostegno ad altri collettivi amici che si occupano del supporto ai detenuti, come per esempio gruppi che si occupano nello specifico di donne incarcerate e tra l’altro lo fanno da più tempo di noi. Potremmo dire che il “profilo tipico” si è rivelato essere quello di una persona proveniente dalla classe operaia oppure di uno studente, pare che siano il tipo di persone più tendenti alla ribellione.
Negli ultimi giorni abbiamo assistito a uno strano tentativo di golpe da parte del comandante della compagnia militare privata Wagner Evgenij Prigožin. Che interpretazione dai dell’accaduto?
Non sono un politologo, ma per me i fatti dei giorni scorsi hanno reso evidente quanto le autorità siano deboli e poco solide. È del tutto bizzarro che un criminale di guerra si lanci contro un altro criminale di guerra e che sulla sua strada non si palesi letteralmente niente e nessuno che provi a fermarlo. Si è assistito ad alcuni segnali di apprezzamento da parte della popolazione nei confronti di Prigožin nel contesto della Russia meridionale e a una totale apatia da parte della gente di Mosca. Questa è la cosa che mi lascia perplesso e scioccato. Anche un mio amico che si trova a Mosca mi ha raccontato che si sentiva completamente indifferente al pensiero di un possibile colpo di stato: a livello razionale capiva che sarebbe stata una follia, ma la sua reazione emotiva era di diverso tenore. Insomma, pare che alla gente non interessi affatto che una colonna di veicoli armati si diriga verso Mosca per rovesciare il governo e che nulla possa impedirgli di farlo.

Questo ci mostra anche l’incoerenza del governo al potere e della sfera politica in generale, che rappresenta la più grande piaga del nostro paese, sia che si tratti di criminali di guerra con visioni e tendenze di stampo fascista, sia che si tratti di un’opposizione (in parte) liberale che però ha mostrato di essere pronta a schierarsi a fianco dei fascisti solo perché questi ultimi sono contro Putin e sembrano avere successo nei loro intenti. E questa situazione sicuramente sta creando ampio spazio per azioni politiche diverse fra loro. Ad esempio, già con l’inizio dell’invasione si sono innescati molti movimenti indigeni all’interno della Russia per opporsi al colonialismo russo e, in casi estremi, per separarsi dallo Stato russo, e questa tendenza sta diventando ancora più forte dopo il fallito colpo di stato. Potrebbe anche essere che si formino fazioni non così dissimili dalla Wagner, cosa che, se dovesse accadere, peggiorerebbe notevolmente la situazione sotto ogni punto di vista e prolungherebbe lo spargimento di sangue che avviene in Ucraina.
Ma, a parte questo, l’apatia politica è in ogni caso un segno distintivo di uno “Stato fallito” come sembra essere la Russia in questo momento: le persone in questo momento credono nello Stato quanto credono in Babbo Natale, o addirittura di meno. E probabilmente l’apatia politica rappresenta un elemento che contribuirà a cambiare lo scenario politico della Russia e del mondo intero, non sappiamo dire se in meglio o in peggio.

L’inizio dell’invasione su larga scala ha provocato un grosso shock all’interno dei gruppi di sinistra radicale europei. Ancora ci si divide sui termini della condanna di Putin e della guerra e su quanto e come si debba sostenere la resistenza ucraina. Che ne pensi? Quali sono i vostri rapporti con la sinistra internazionale?
Sono deluso, ma non sorpreso. Quantomeno, per dirla con una battuta, le persone dell’Europa dell’ovest ora non pensano più che Russia, Ucraina e Bielorussia siano un paese solo. A parte gli scherzi, quello che mi ha scioccato è stata la grossa quantità di cosiddetti tankie all’interno della sinistra radicale e i ripetuti tentativi di westplaining per spiegare e persone come me o come altre provenienti dall’Europa orientale cose di cui ci occupiamo da anni e di come, in fondo, non sia scorretto rivendicarsi slogan quali “Viva Stalin” o discorsi che rimandano a crimini del passato sovietico. Tutto ciò è avvenuto e continua ad avvenire a dispetto del fatto che molto spesso ci si relaziona con persone, come me, che sono nate e cresciute in un paese la cui capitale era la capitale dell’Unione Sovietica e che hanno dei traumi molto intimi legati alla cosiddetta “attitudine sovietica” e all’eredità dell’Urss e della Russia. Sapevo che esistevano atteggiamenti di questo tipo, ma mai come ora mi sono ritrovato a sperimentarli in prima persona.
Per quanto riguarda le nostre relazioni con altri gruppi e collettivi di sinistra in Europa, non ci sono differenze sostanziali rispetto alle relazioni che intratteniamo con gruppi e collettivi di altre zone o parti del mondo. Se c’è la condivisione di certi principi e valori di base, siamo sempre aperti a collaborare. Anzi, spesso si instaura anche una sorta di processo di educazione reciproca rispetto alle relative aree e ai relativi contesti di appartenenza. E questo è molto importante, perché permette di approfondire nuove cose e di rafforzare i legami di solidarietà reciproca.

 

Immagine Instagram | Solidary Zone (Зона солидарности)



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