L’aborto scatena una guerra fra giurisdizioni negli Stati Uniti

Dopo la sentenza della Corte suprema che ha eliminato la garanzia costituzionale del diritto all’aborto negli Usa è esplosa una vera e propria guerra giurisdizionale fra Stati anti-abortisti e Stati pro choice e fra livello statale e livello federale. Una drammatica confusione che neanche una vittoria dei democratici alle mid-term di novembre potrà risolvere facilmente.

Elisabetta Grande

Nessuna previsione era già fin dall’inizio clamorosamente sbagliata quanto quella che nelle parole di Justice Alito ha giustificato, il 24 giugno 2022, l’eliminazione radicale di ogni diritto costituzionalmente garantito all’interruzione volontaria di gravidanza per le donne statunitensi. Nel redigere l’opinione di maggioranza nel caso Dobbs v. Jackson, il cattolicissimo Justice ha infatti scritto che la ragione per cui i giudici conservatori hanno scelto di andare oltre ciò che veniva loro richiesto – ossia di pronunciarsi soltanto sulla costituzionalità di una legge del Mississippi che prevedeva la possibilità di abortire fino alla 15ma settimana di gravidanza – risiedeva nella convinzione che fosse meglio affrontare il problema alla radice per evitare ulteriori strascichi giudiziari. La richiesta del Chief Justice Roberts di anticipare semplicemente la soglia del diritto di abortire, in luogo di cancellare tout court quella libertà, “posticiperebbe soltanto il giorno in cui saremo obbligati a confrontarci con la questione che ora stiamo decidendo. La confusione creata da Roe Casey [si tratta com’è noto delle decisioni che avevano sancito il diritto di abortire] si prolungherebbe. È meglio, sia per la Corte che per l’intero Paese, affrontare una volta per tutte il tema senza ulteriori ritardi”, ha sentenziato in Dobbs Alito.

La rinuncia da parte della maggioranza ad accogliere la proposta del Chief Justice di rimanere all’interno di quanto era stato richiesto alla Corte ha, però, causato più incertezza che chiarezza normativa e ha posto le basi per un’alta conflittualità fra gli Stati. E la maggioranza conservatrice non poteva non saperlo!  Il non aver individuato con Dobbs v. Jackson un punto di compromesso, che costituisse una base di riferimento sicura per tutte le giurisdizioni, se da un canto ha subito provocato insopportabili disparità di protezione all’interno di un Paese in cui le donne meno abbienti sono le più penalizzate, dall’altro infatti – come ha scritto la minoranza dissenziente – “lungi dal distogliere la Corte dal tema dell’aborto”, la metterà a breve al centro di vere e proprie “guerre intergiurisdizionali”.

Il quadro attuale all’interno del paese non potrebbe essere più variegato. Dodici Stati – grazie a leggi pre-esistenti la pronuncia Dobbs o così dette trigger laws, ossia normative pronte ad entrare in vigore non appena avessero avuto via libera dalla Corte Suprema – hanno già abolito completamente la possibilità di interrompere la gravidanza (spesso anche quando essa sia frutto di violenza, incesto o perfino nel caso di malformazioni del feto), prevedendo per chi pratica l’aborto sulla donna pene che possono contemplare nel massimo perfino l’ergastolo, come in Texas. Quasi altrettanti sono pronti a seguirne le orme, non appena siano risolte le liti giudiziarie che per il momento bloccano ancora le leggi che cancellano il diritto di abortire. Vi sono poi alcuni Sati che restringono quel diritto ad alcune settimane (6, 15, 18 o 20), altri che mantengono il termine ultimo di Roe, ossia quello della viability (il momento, cioè, in cui il feto può vivere di vita propria fuori dal grembo materno) e altri ancora che consentono l’interruzione di gravidanza fino alla fine della gestazione. Alcune giurisdizioni proteggono il diritto di abortire consentendo che i fondi pubblici possano essere utilizzati all’uopo, altre – come la Virginia o Washington D.C., in cui vige la normativa federale – vietano l’uso di danaro pubblico a quello scopo.

È, dunque, la distanza che intercorre fra le prospettive delle diverse giurisdizioni, ossia dei differenti Stati, a creare le condizioni per le “guerre intergiurisdizionali” paventate dalla minoranza progressista della Corte in Dobbs, al cui centro stanno però in definitiva le donne che desiderano interrompere una gravidanza, per mille ragioni non voluta o non più voluta, e chi dà loro aiuto.

Gli scontri che si annunciano più pesanti riguardano i tentativi, già messi in campo da alcuni Stati “proibizionisti”, volti a impedire che le donne ivi residenti vadano ad abortire negli Stati in cui interrompere volontariamente la gravidanza è legale.
Una prima via, non penale, inaugurata nel 2021 dal Texas per rendere più difficile impugnare una drastica limitazione dell’autodeterminazione riproduttiva delle donne contenuta nella legge (con la quale il Texas aveva potuto sondare l’inclinazione dei Justices ad eliminare il diritto della donna ad abortire), è stata successivamente imitata da altri stati, come l’Idaho e l’Oklahoma. Si tratta di normative che consentono a chiunque di intentare un’azione civile per ottenere una cospicua somma da chi, ovunque si trovi, pratichi o aiuti a praticare l’interruzione di gravidanza su una residente nello Stato (così detti bounty bills, in quanto funzionano come vere e proprie taglie messe sulla testa di chi partica le interruzioni di gravidanza). Al di là del pericolosissimo effetto “caccia alle streghe” che simili leggi producono, il loro preoccupante risvolto è altresì quello di colpire non soltanto i residenti dello Stato “proibizionista”, ma anche quelli di Stati in cui l’aborto è lecito.

Una seconda, e più pericolosa, via è l’attribuzione della personalità al feto, con tutte le conseguenze del caso, prima fra tutte quella di trasformare l’interruzione di gravidanza in un omicidio. In tale ipotesi diventerebbe punibile addirittura direttamente la donna, insieme a chi su di lei praticasse l’aborto. Lo S tato “proibizionista” potrebbe allora perseguire penalmente entrambi, come concorrenti nel reato, anche qualora l’interruzione di gravidanza avvenisse in uno Stato diverso da quello di residenza della donna in cui l’aborto fosse lecito. Già oggi la Georgia, sulla via di essere imitata da altri Stati, ha cominciato a considerare il feto dopo la sesta settimana dal concepimento una persona ai fini fiscali, del censimento per la distribuzione dei seggi elettorali e dell’obbligo di mantenimento da parte del padre. Il riconoscimento della personalità del feto è l’obiettivo cui gli anti-abortisti da tempo aspirano e i repubblicani in Georgia contano che presto esso sia parte della Costituzione statale, quale primo passo verso una lettura in tal senso della Costituzione federale.  Attribuire personalità al feto significa, fra l’altro, che la donna incinta potrebbe essere punita se beve alcol o obbligata a seguire prescrizioni dietetiche o mediche ritenute idonee a tutelare il benessere del nascituro, a posticipare dopo il parto una chemioterapia in quanto potenzialmente dannosa per il feto, a effettuare un taglio cesareo anche contro la sua volontà, e via elencando.

Di fronte al pericolo che i propri cittadini, medici o meno, siano colpiti dalle taglie poste sul loro capo o perseguiti penalmente dagli Stati anti-abortisti che vogliono evitare che le donne ivi residenti interrompano la gravidanza oltre confine, gli Stati in cui l’aborto è rimasto un diritto si stanno attrezzando. Il legislatore del Connecticut, per esempio, così come quello di altri Stati, ha posto un divieto preventivo di estradizione verso Stati terzi dei medici che praticano l’aborto nel suo territorio, ha stabilito che nessuna autorità statale collaborerà nelle indagini relative all’interruzione di gravidanza dello Stato di una paziente e che i residenti del Connecticut, nei cui confronti sia stata intentata un’azione civile in forza di una “bounty law”, possono rispondere intentando una contro-azione.

Si tratta, insomma, di un vero e proprio quadro di guerra fra giurisdizioni, in cui gli Stati si equipaggiano sul piano giuridico per colpire e per difendersi. Senza contare che il diritto di libera circolazione, messo in pericolo da chi vorrebbe impedire alle donne di viaggiare per abortire fuori dalla propria giurisdizione che non glielo consente, è da tempo riconosciuto come degno di protezione dalla costituzione federale. Le battaglie legali si estendono così anche al livello federale.

Il conflitto di giurisdizioni coinvolge il piano federale pure in altre occasioni. Ciò accade quando le donne che risiedono in Stati in cui l’aborto è vietato fanno ricorso alla RU-486, la pillola abortiva il cui uso è autorizzato fino alla decima settimana di gravidanza dalla Food and Drug Administration, che ne ha di recente ammesso l’ottenimento tramite consultazione meramente telematica oltre a consentirne espressamente l’invio per posta. Può uno Stato, come per esempio il Texas che ha da poco emanato una normativa al proposito, vietare oltre alla prescrizione – per via telematica o meno – della pillola nel suo territorio anche la sua ricezione per posta? Se le direttive della F.D.A.difficilmente potranno prevalere sul divieto di abortire negli Stati anti-abortisti – cui la Corte Suprema con Dobbs ha consegnato il tema dell’interruzione di gravidanza – la posta interstatale è tuttavia un ambito di sicura competenza federale. Gli scontri fra il piano statale e quello federale potrebbero perciò in questo caso portare a un pareggio fra i contendenti: no alla prescrizione della pillola abortiva – neppure per via telematica – negli Stati anti-abortisti, sì tuttavia al suo invio per posta da oltre confine (dopo che la donna vi si sia recata per il lecito incontro, di persona o telematico, con il medico che la prescrive).

Supponiamo ancora che un gruppo pro-choice compri degli spazi pubblicitari su un quotidiano texano per scrivere: “Vuoi abortire? Vai in questa certa clinica del New Mexico”, oppure che lo Stato di New York acquisti spazi su cartelloni pubblicitari in Texas per offrire aiuto economico alle donne ivi residenti per abortire a New York. La questione se sia o meno possibile criminalizzare una simile attività è spinosa e coinvolge direttamente il primo emendamento della Costituzione federale, ossia il diritto di libera espressione del proprio pensiero.

La lotta fra piano federale e piano statale sul tema dell’aborto è d’altronde già esplosa in Idaho e in Texas, con esiti contraddittori. Fino a che punto uno Stato anti-abortista può impedire a un medico di curare una donna incinta per non mettere in pericolo la vita del feto? È questa la questione che nei due casi i giudici federali di prima istanza hanno deciso in maniera opposta. In Idaho la Corte ha dato ragione al Dipartimento di Giustizia federale, che ha così ottenuto la sospensione di una normativa statale che poteva essere letta nel senso di far prevalere la vita del feto sulla salute della madre. Ciò in contrasto con una legge federale che impone al personale sanitario di ospedali che ricevono fondi federali di fare tutto ciò che è possibile per assicurare il benessere dei pazienti, incluse le donne incinte. A una conclusione contraria era invece giunto 24 ore prima un giudice federale in Texas, pronunciandosi a favore dello Stato del Texas che si era opposto all’ordine, impartito dal Department of Health and Human Servicesagli ospedali locali che ricevono fondi federali, di seguire le normative federali quando la salute della madre è in discussione, anche se ciò è in contrasto con i divieti statali in tema di aborto.
Una guerra a tutto campo in punta di diritto, dunque, quella cui già ora si assiste negli States a seguito della pronuncia Dobbs. Altro che eliminare a monte la “confusione” creata da Roe e Casey, come ha scritto Alito!

Le considerazioni fin qui esposte conducono a porsi un’ulteriore domanda. Quanto una vittoria dei democratici al Congresso, nel mid-term di novembre, potrebbe consentire loro un efficace e inoppugnabile intervento sul piano normativo al fine di tutelare il diritto di aborto negli Stati anti-abortisti? La questione è aperta ma, alla luce della ripartizione di competenze legislative fra ordinamenti statali e federali previste dalla Costituzione federale (art. I, sez. 8) e le sopra illustrate difficoltà e incertezze relative alla prevalenza del diritto federale su quello statale, la chiamata alle urne dei democratici all’insegna di una riconquista del diritto di abortire negli Stati Uniti potrebbe anche rivelarsi una promessa da marinaio.

CREDTI FOTO: Fibonacci Blue from Minnesota, USA, CC BY 2.0, via Wikimedia Commons



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