Acqua e cibo come armi di guerra

Dopo oltre un mese di rinvio e negoziazione, si è conclusa la cinquantunesima plenaria del Committee on World Food Security (CFS). La plenaria si era interrotta per il mancato accordo degli Stati membri sull’approvazione di un testo che condannava l’utilizzo cibo e acqua come armi di guerra da parte dello Stato di Israele a Gaza. In estremo ritardo, quel testo, proposto dall’Egitto e bloccato dai Paesi dell’UE, è stato approvato. I Paesi europei hanno perso l’occasione di poter incidere su una questione di umanità nei tempi richiesti dall'emergenza.

Mosè Vernetti

Era il 27 di ottobre, a venti giorni di distanza dall’attacco di Hamas – strage che ha visto l’uccisione barbara di 1200 cittadini israeliani nel giro di poche ore – a danno dello Stato di Israele, la cui reazione ha messo in moto un eccidio senza precedenti negli ultimi decenni a livello globale. Nel quartier generale della FAO, a Roma, si stava concludendo l’ultima giornata della cinquantunesima plenaria del Committee on World Food Security (CFS51- Comitato per la Sicurezza Alimentare Globale), una piattaforma politica intergovernativa inclusiva, che si pone l’obiettivo di rafforzare il diritto a un’alimentazione adeguata per tutte e tutti. La plenaria quest’anno si riuniva dal 23 al 27 di ottobre, giorno in cui si sarebbe dovuta concludere, a seguito di cinque lunghe giornate di discussione, convergenza e voto sulle policy guidelines (linee guida/politiche di indirizzo) inerenti alla sicurezza alimentare, che a seguito dell’approvazione, vengono teoricamente adottate nelle legislazioni dei singoli Paesi. Così non è stato.
Cos’ha interrotto il fluido scorrimento della plenaria? Alcune parole che, in tempi e contesti diversi, sarebbero con tutta probabilità stati accolti immediatamente da tutti quei Paesi che fanno della tutela dei diritti umani caratteristica fondate delle proprie democrazie. Parole che invece quel 27 ottobre, mentre i civili a Gaza continuavano ad essere massacrati anche attraverso l’utilizzo di armi chimiche e di illegali strumentalizzazioni di acqua e cibo come armi di guerra, non hanno trovato spazio di discussione. Queste parole:
“Il Comitato ha sottolineato la necessità di astenersi dall’usare cibo e acqua come armi da guerra nelle aree di conflitto. Ha espresso la necessità di un accesso garantito, sufficiente e senza ostacoli ai beni e ai servizi essenziali per i civili in tutta la Striscia di Gaza, compresi, ma non solo, acqua, cibo, forniture mediche ed energia. Ha anche sottolineato il ruolo della FAO, dell’IFAD e del World Food Program, in coordinamento e collaborazione con le altre agenzie delle Nazioni Unite, le istituzioni finanziarie internazionali e gli organismi competenti, per valutare e affrontare, nell’ambito dei propri mandati, le conseguenze del conflitto sulla sicurezza alimentare e sull’agricoltura a Gaza e nei Territori Palestinesi Occupati”.
Sono stati i Paesi dell’Unione Europea ad aver interrotto la discussione per mettere a voto il rinvio della plenaria. In quel preciso istante il bollettino a Gaza era il seguente: quasi totale taglio delle comunicazione con il mondo esterno, né carburanti né cibo né acqua entravano nella striscia, il numero di minorenni uccisi si aggirava già intorno ai 3mila, su un totale di 7mila vittime circa. Si trattava dunque, e si tratta tutt’oggi, di una situazione in cui il tempo è tutto. L’adozione di tale dichiarazione nel draft finale dell’assemblea non avrebbe certo ribaltato le sorti di Gaza, dove oggi i morti superano i 14.000 e si avvicinano all’1% della popolazione, ma avrebbe comunque dato un segnale, evidentemente inaspettato.
“Voglio ricordare allo Stato di Israele che impedire intenzionalmente i rifornimenti necessari per garantire alla popolazione di Gaza un accesso sicuro all’acqua, rappresenta una violazione del diritto internazionale”, ha ribadito qualche giorno fa Pedro Arrojo-Agudo, relatore speciale delle Nazioni Unite sul diritto umano all’acqua potabile e ai servizi igienici. E ha aggiunto: “Secondo l’articolo 7 dello Statuto di Roma della Corte penale internazionale, negare intenzionalmente la popolazione civile delle primarie funzioni vitali, strategicamente per abbatterli, rappresenta un crimine contro l’umanità”.
La proposta di rinvio della plenaria viene adottata con 48 voti a favore e 30 voti contrari. Al termine del voto, mentre gran parte dei rappresentanti degli Stati membri stava frettolosamente lasciando la stanza, a riprendere il tema saranno i rappresentanti della società civile alla plenaria, membri del Civil Society and Indigenous People Mechanism (Meccanismo per la partecipazione della società civile e dei popoli indigeni al lavoro del CFS). Gli unici che in questa stanza rappresentano i diretti interessi delle comunità afflitte da insicurezza alimentare e malnutrizione, e dei lavoratori della terra, dei piccoli pescatori e dei pastori in tutto il mondo, territori palestinesi occupati inclusi.
“Il governo a cui pago le tasse ha già lasciato questa plenaria purtroppo. Qualcuno qui pensa che cibo e acqua debbano essere usati come armi da guerra? C’è qualcuno che pensa che i beni e i servizi essenziali non debbano arrivare ai civili palestinesi? È chiaro che il CFS non può fermare la guerra, ma possiamo impegnarci per realizzare il diritto al cibo per tutti. Quali sono le regole? Il diritto internazionale? E i diritti umani? Non sono forse regole da considerare e su cui agire? Anch’esse sono giuridicamente vincolanti. Abbiamo una visione condivisa per realizzare il diritto al cibo. Purtroppo, alcuni Stati membri devono aver perso questa visione. Il testo proposto dall’Egitto è in linea con il quadro d’azione del CFS sulle crisi prolungate. Abbiamo questo Quadro per un motivo. Ora è il momento di metterlo in pratica”, ha dichiarato in plenaria Tyler Short, contadino statunitense del movimento globale La Via Campesina, a nome della società civile.
I Paesi dell’UE hanno perso l’occasione di poter incidere su una questione di umanità. La plenaria è stata riconvocata e si è conclusa sabato 25 novembre, all’interno del quartier generale della FAO, a Circo Massimo, mentre le strade della capitale si inondavamo per il corteo contro la violenza sulle donne. Dopo quasi un mese di negoziazione tra Stati membri del CFS, il testo proposto dall’ambasciatore d’Egitto è stato finalmente approvato senza emendamenti all’interno del report finale della plenaria. Nel frattempo le vittime a Gaza sono più che raddoppiate, e soltanto i tribunali internazionali ci diranno quanto commesso dallo Stato di Israele rispetto all’utilizzo di acqua e cibo come armi di guerra. Sicuramente la voce dei rappresentanti europei non si è sentita.
Ha espresso questo risentimento Mariam Mohammad, cittadina libanese dell’Arab Network for Food Sovereignty, che è intervenuta a nome della società civile a conclusione della plenaria: “Nelle ultime settimane, mentre si discuteva del linguaggio e si cambiavano le parole per raggiungere un compromesso e un consenso, la realtà sul campo in Palestina non cambiava affatto. Il conflitto sul linguaggio da concordare non poteva cambiare ciò che viene commesso dall’occupazione israeliana: dal massacro indiscriminato di donne, bambini, neonati e anziani, al bombardamento di ospedali, scuole e campi profughi. Non ci può essere alcuna giustificazione per la letale punizione collettiva subìta dal popolo palestinese. Per settimane, gli esperti delle Nazioni Unite hanno lanciato l’allarme sul rischio di genocidio che questa guerra comporta. Il CFS ha l’obbligo di lavorare urgentemente per impedire un’ulteriore escalation di questa atrocità”.



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