Afghanistan, le testimonianze dei profughi in fuga

5 milioni i profughi afghani nel mondo, centinaia di migliaia le persone fuggite nelle ultime settimane: “Se ti prendono gli iraniani vai a finire nei campi di concentramento”. Le rotte migratorie e la necessità di corridoi umanitari.

Valerio Nicolosi

Tutti insieme ma in ordine sparso. Si potrebbe sintetizzare così la reazione dei capi di Stato mondiali alla crisi afghana. Si parla di diplomazia e di mediazione, di cambio di influenza dagli Stati Uniti alla Cina e alla Russia ma di certo al momento non c’è ancora nulla su questo fronte. L’unica certezza sono le centinaia di migliaia di persone che in poche settimane sono riuscite a lasciare il paese via terra, arrivando in Pakistan o in Iran, dove risiedono già centinaia di migliaia di afghani in fuga dai russi prima, dai talebani poi e infine dalla guerra che l’occidente ha portato per “combattere il terrorismo”, per usare le ultime dichiarazioni di Biden. Molte altre sono bloccate in Afghanistan e non sanno come uscire.

Peshawar è un’importante città pakistana di circa due milioni di abitanti e dista appena 130 chilometri da Jalalabad, importante città afghana. Entrambe sono abitate principalmente da persone di etnia Pashtun, la stessa dei talebani, e Peshawar negli ultimi decenni è divenuta il primo approdo per chi scappa dall’Afghanistan orientale e meridionale.

Chi scappa verso occidente invece sono principalmente gli Hazara, una minoranza etnica che conta più o meno il 10% della popolazione afghana e che negli anni ha subito diversi momenti di pulizia etnica da parte dei talebani. Sono islamici, ma sciiti, e parlano la lingua farsi: per questi due motivi vengono perseguitati e per gli stessi motivi hanno trovato negli anni rifugio in Iran, dove lingua e religione è la stessa.

“Arrivare in Iran non è facile, anche se sei un minorenne orfano. Mio zio ha pagato un trafficante che mi ha portato prima sul confine con un furgone e poi mi ha messo dentro a un tir per oltrepassare la frontiera” mi ha raccontato due anni fa Reza, un giovane hazara che quando aveva 12 anni mentre era a scuola i talebani uccisero tutta la sua famiglia in un raid, e ora tenta di arrivare in Europa attraverso la rotta balcanica. “Se ti prendono gli iraniani vai a finire nei campi di concentramento per i profughi. Sono posti terribili, mi hanno detto che lì torturano la gente”. I campi di cui parla sono Telisia e Sang Safid, due centri di detenzione dove gli afgani vengono sistematicamente torturati. Reza ha vissuto nel terrore per diversi mesi perché fino a quando è stato senza documenti ha rischiato che qualche poliziotto lo fermasse e lo portasse via. Quando lo zio finalmente è riuscito a ottenere tutte le carte è potuto andare a scuola e ha iniziato a vivere più tranquillo, anche se la vita in Iran per i profughi resta dura.

Fino a pochi mesi fa erano 4.6 milioni i profughi afghani, poco più del 10% dei profughi di tutto il mondo. Di questi 2.6 erano richiedenti asilo o rifugiati nei diversi paesi del mondo e 1.9 profughi interni. 600.000 sono arrivati in Europa negli ultimi 12 anni e oggi probabilmente il totale supera di molto i 5 milioni, ma per calcolare questa ondata ci vorranno settimane se non mesi, anche a causa di quell’ordine sparso dei leader mondiali che dopo il fallimento di 20 anni di guerra non sanno cosa fare.

Canada, Albania, Uganda, Qatar e Tajikistan si sono offerti per accogliere gli afghani in modo più o meno temporaneo, gli USA hanno evacuato 2.000 persone che lavoravano per il loro contingente e l’Italia ha accolto 128 afghani, anch’essi collaboratori dell’esercito d’istanza in Afghanistan. L’Europa però si sta muovendo per rafforzare le proprie frontiere esterne perché, come ha detto il presidente francese Macron, “il pericolo sono i migranti e il terrorismo”. Rafforzare l’accordo con la Turchia del 2016 quindi, quello che prevede di bloccare i profughi, principalmente afghani e siriani, in cambio di soldi, tanto che Erdogan da mesi ha iniziato a far costruire un muro di 300 chilometri lungo il confine con l’Iran, per impedire che la nuova ondata degli afghani restasse bloccata in Turchia. Al tempo stesso la Grecia ha completato da poco un muro sulla frontiera con la Turchia, quella percorsa dal fiume Evros e che è stata al centro della crisi tra Europa e Turchia nel marzo 2020, quando Erdogan decise di far pressione sull’Europa e di aprire le frontiere con la Grecia. Croazia e Slovenia si sono attrezzate negli ultimi anni con termo-scanner, droni e cani schierati lungo le frontiere interne ed esterne. “Non vogliamo che il nostro paese diventi la porta d’ingresso dell’Ue per la gente che vuole andare in Europa” ha dichiarato Mitarakis, ministro per le migrazioni di Atene e ha aggiunto: “non vogliamo un altro 2015”, riferendosi a quando la rotta balcanica fu l’accesso in Europa per 850.000 persone in fuga da Siria, Iraq e Afghanistan.

La situazione oggi è completamente diversa anche nella società civile, nel 2015 e 2016 infatti milioni di persone scesero in piazza per dire: “refugees welcome”, spingendo i governi ad accogliere. Oggi la via securitaria sembra la più facile e veloce per chi è al governo, tanto che fino a dieci giorni fa Germania, Paesi Bassi, Finlandia, Austria, Svezia, Grecia e Danimarca chiedevano di poter rimpatriare gli afghani che avevano fatto richiesta d’asilo ed era stata respinta perché il governo di Kabul veniva considerato come sicuro e stabile.

Migliaia di persone sono ancora bloccate su quella rotta, la gran parte sono afghani e sono tra Grecia, Serbia e Bosnia. Secondo UNHCR lo scorso inverno erano circa 8.000 i migranti presenti in Bosnia, i quali provavano ripetutamente il “game” verso Trieste e sistematicamente le polizie croata, slovena e italiana respingevano a catena verso la stessa Bosnia.

“Ero vicino a Trieste e sono stato preso da un esercito, credo fosse italiano perché ho visto la bandiera, da lì mi hanno portato alla polizia slovena, che a sua volta mi ha portato in Croazia, dove sono rimasto alcune ore e dove mi hanno picchiato sulle gambe in modo che non potessi riprovare il ‘game’. Il giorno successivo mi hanno portato in Serbia e a seguire in Macedonia e in Grecia. Di fatto sono tornato indietro di due anni in pochi giorni” racconta Reza da un campo profughi a est di Salonicco.

Matteo Villa dell’ISPI ha elaborato dei dati Eurostat e fa notare come dal 2008 a oggi sono 600.000 le richieste d’asilo degli afghani in Europa, di queste 290.000 sono state rifiutate, rimpatriando 70.000 persone. Il dato che fa più impressione sono le bambine: 21.000 sono quelle alle quali è stato rifiutato l’asilo politico. Secondo Villa quindi il 76% degli afghani ai quali è stato negato il visto è ancora in Europa, probabilmente in un limbo giuridico, “vogliamo aiutare almeno loro?” si chiede il ricercatore dell’ISPI in riferimento agli appelli di evacuazione da Kabul dei civili.

Ed è su questo tema dell’evacuazione dei civili che l’Europa e l’Italia potrebbero avere una soluzione a stretto giro: i corridoi umanitari proposti da Sant’Egidio e Federazione delle Chiese Evangeliche Italiane. “Quando abbiamo creato il primo corridoio umanitario sapevamo che era un termine tecnico ed è di fatto un congelamento del conflitto per scopi umanitari, oggi è il momento di applicarlo in pieno con i governi europei insieme alle Nazioni Unite e alla NATO come garanti di questi accordi” dichiara a MicroMega Paolo Naso, coordinatore di Mediterranean Hope – FCEI. “Siamo forti di sei anni di lavoro sul campo, del terzo rinnovo per i corridoi umanitari dal Libano e dell’accordo per un grande corridoio umanitario per l’evacuazione della Libia. Fin quando l’aeroporto di Kabul resta agibile potremmo fare un ponte aereo che possa far evacuare la popolazione. Molto positiva è stata la risoluzione dell’ANCI per un’accoglienza diffusa nei comuni disponibili, che poi è il nostro modello da sempre” aggiunge Naso.

Oltre al ponte aereo da Kabul l’idea di Mediterranean Hope è quella di accogliere anche ci si trova lungo la rotta balcanica: “è chiaro che non possiamo pensare di salvare chi è in Afghanistan e non chi viene da quel Paese e si trova alle porte delle nostre frontiere. Con questa emergenza forse l’Europa può riscoprire i suoi valori fondativi” chiosa Naso.



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