Gli Alpini, le molestie di Rimini e quella zavorra culturale che ci portiamo appresso

Le conquiste delle donne sono andate più veloci dei cambiamenti culturali. L’idea che il divertimento maschile passi attraverso l’uso del corpo delle donne è ancora radicata.

Cinzia Sciuto

Secondo le segnalazioni raccolte da Non una di meno e denunciate anche da un video di Fanpage, sarebbero centinaia i casi di molestie verificatesi durante il raduno degli alpini a Rimini. Eppure stando al comunicato dell’Associazione nazionali alpini a Rimini a) non è successo niente, giacché c’è stata solo una denuncia ai carabinieri; b) anche se è successo qualcosa si è trattato di “episodi di maleducazione fisiologici quando si concentrano in una sola località centinaia di migliaia di persone per festeggiare”; e comunque c) non sono stati gli alpini veri, che non sono certo maleducati, ma qualche buontempone che ha comprato il cappello finto alle bancarelle. Leggere per credere.

Nonostante nell’intervista al Corriere della Sera, il presidente dell’Ana abbia tentato un po’ di aggiustare il tiro, quelle parole restano come pietre (e continuano a campeggiare sul sito dell’Associazione con il titolo “Presunte molestie, senza denunce). È davvero frustrante dover stare qui a spiegare alcune cose che dovrebbero essere ovvie, lapalissiane e soprattutto parte del sentire comune. Ma se lo fossero, non sarebbero accaduti i fatti di Rimini e l’Ana non avrebbe scritto questo osceno comunicato. Per cui tocca invece spiegarle. E allora, cari alpini, a meno che non pensiate che sia tutta una macchinazione ordita da quelle streghe di femministe che hanno assoldato un manipolo di molestatori per infangare il benemerito corpo degli alpini (cosa che temo qualcuno possa pensare davvero), ascoltate bene: a) il numero di denunce è completamente irrilevante, giacché è ovvio che a essere denunciati alle forze dell’ordine sono solo gli episodi più gravi. Quello che qui conta è il clima generale nel quale le donne si sono ritrovate, non i singoli episodi più o meno penalmente rilevanti (e comunque per chi volesse denunciare Non una di meno Rimini mette a disposizione assistenza legale); b) maleducazione è mettersi le dita nel naso o non coprirsi la bocca quando si starnutisce. Quando per strada metti le mani sul sedere di una donna che non conosci, quando ti ci butti addosso, quando la segui, quando fai pesanti allusioni sessuali, quando la bracchi impedendole di camminare, quando le chiedi “a che ora aprono” riferendoti alle sue gambe, quando le afferri il volto e pretendi un bacio quella non è maleducazione, è violenza; c) se numerosi molestatori riescono a infiltrarsi nella vostra serena e festosa adunata qualche domanda sul vostro servizio d’ordine e sulla atmosfera che i vostri raduni creano forse bisogna che ve la facciate (non è la prima volta infatti, era accaduta la stessa cosa nel 2018 a Trento per esempio: anche lì infiltrati con i cappelli tarocchi?).

Ora quello su cui è interessante e utile riflettere è perché queste cose che dovrebbero essere lapalissiane non lo sono. E la risposta è anche alla base delle a dir poco sconcertanti dichiarazioni fatte dalle donne del Pd di Rimini in cui, dopo le condanne di rito delle molestie, si spendono righe e righe per ricordare che la responsabilità penale è individuale e che non si può gettare discredito su un intero corpo per qualche episodio isolato. Esattamente come l’Ana, dunque, anche le donne del Pd di Rimini (e la cosa naturalmente è ben più amara) buttano la palla in tribuna, spostando il fuoco da un gigantesco problema culturale che ci portiamo appresso come una zavorra al piano giudiziario. Ma è il primo quello che conta, quella zavorra culturale per la quale il divertimento maschile passa spesso e volentieri per l’utilizzo del corpo delle donne (d’altro canto, come si legge fra i commenti sulla pagina social Alpini orgoglio italiano, “in una manifestazione così in allegria non c’è niente di male, un po’ di euforia e se le ‘signorine’ in questione si lamentano dovevano rimanere a casa loro”). Una zavorra pesantissima, che le conquiste del movimento delle donne non sono ancora riuscite a eliminare, perché naturalmente i tempi dei cambiamenti culturali sono ben più lunghi di quelli giuridici. E dunque, come scrivevo già nel 2018 sempre a proposito delle molestie accadute durante il raduno degli alpini, “nel terzo millennio le donne possono anche diventare prime ministre, amministratrici delegate, segretarie di partito, astronaute ma si ritrovano ancora a dover aver paura a camminare per strada, perché non sanno cosa può accadere loro”. Questo è l’elefante in mezzo alla stanza che facciamo finta di non vedere.

 

 



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