Ambiente: zittire le proteste, ignorare i cittadini, proseguire il business as usual

Mentre continuano i blitz degli attivisti come Ultima Generazione e si fa sempre più aspra la reazione della politica nei loro confronti, la gente comune comincia a prendere l’iniziativa sulla difesa dell’ambiente, che significa giustizia economica e sociale necessariamente insieme. E se il profitto ci dovrà rimettere, che ci rimetta. Il business as usual non può prevalere.

Federica D'Alessio

Il 6 maggio scorso alcuni attivisti per la difesa dell’ambiente raccolti nella sigla Ultima Generazione hanno ripetuto un blitz già realizzato il mese precedente, colorando di nero l’acqua della Fontana di Trevi con il carbone vegetale. Le reazioni dei principali esponenti della giunta romana, a cominciare dal sindaco Roberto Gualtieri (PD) sono state veementi, ha parlato di “sfregio insensato” e Miguel Gotor, assessore capitolino alla cultura, non ha mancato di definirli “ecoidioti”. Il carbone vegetale non lascia segni permanenti – nessuno sfregio, dunque – ha solo un grande effetto scenico, un gesto di protesta che punta alla visibilità. È umano: per richiamare l’attenzione, quando non si riesce a farsi sentire, si cerca di farsi vedere. 

E farsi sentire non è facile, se per esempio come accaduto durante l’ultima puntata di Piazza Pulita, il programma di La7 condotto da Corrado Formigli, gli stessi attivisti di Ultima Generazione sono stati obbligati a confrontarsi con alcuni negazionisti del cambiamento climatico, in una tipica arena (ma non era un altro programma?) fra opinioni non guidata dal rigore giornalistico sui fatti, ma dal clamore delle parole. Chloe Bertini a un certo punto della trasmissione, dopo averla definita “un circo”, si è alzata e se n’è andata, mentre il dotto Alberto Prestininzi continuava a mortificarla con i tipici argomenti paternalisti “tu non ascolti, impara l’educazione”. Eppure, di fronte alla negazione della realtà, per di più in una trasmissione giornalistica, rimanere ad ascoltare è sbagliato. Dare dignità alla menzogna è sbagliato. E sarebbe stato compito del giornalista-conduttore riportare le parole al dato di verità: per la fiction non servono i giornalisti. 

Gli attivisti di Ultima Generazione si trovano insomma nella condizione di chi non può parlare, perché le loro parole vengono soffocate dalle mistificazioni, ma non può neanche cercare di attirare l’attenzione facendosi vedere. La facile conclusione è che molti preferirebbero farli sparire e basta. E infatti la proposta di legge contro di loro è già bell’e pronta, anzi ce ne sono due, una del ministro Sangiuliano e l’altra di un senatore di Fratelli d’Italia, entrambe finalizzate alla repressione degli “eco-vandali” e dei “deturpatori” con sanzioni che vanno dal carcere al Daspo urbano (la misura repressiva in favore del decoro introdotta da Marco Minniti durante il governo Gentiloni). Il 12 maggio (è previsto un presidio di solidarietà a Piazza Clodio) inizierà il processo a tre attivisti per l’imbrattamento del Senato: la seconda camera dello Stato si è costituita parte civile contro gli imputati. Ma molti amministratori ed esponenti del PD – dal sindaco di Firenze Nardella qualche settimana fa alla giunta capitolina di cui sopra – hanno dimostrato, con le loro dichiarazioni e reazioni alle iniziative degli ambientalisti, di essere in sintonia con queste misure, se non politicamente, di certo culturalmente. 

Reprimere le proteste è la strada più facile da intraprendere, d’altro canto, quando non si è in grado di offrire soluzioni al problema posto. Che di certo non sparirà quand’anche dovessero sparire tutti gli attivisti di Ultima Generazione. Il disastro eco-climatico è in corso e promette di peggiorare di mese in mese. Le alluvioni in Emilia Romagna e il cortocircuito fra siccità e piogge sono una dimostrazione. Il suolo reso rigido dalla mancanza di pioggia è meno in grado di assorbire le precipitazioni. L’effetto è simile a quello prodotto dalla cementificazione selvaggia: un’incapacità del terreno di assorbire l’acqua, che produce disastri. Con il “decreto Siccità” il governo Meloni ha varato la solita misura tecnocratica e accentratrice che non migliorerà la situazione ma darà un contentino alle imprese – la principale ragion d’essere di questo Governo  – in particolare quelle del comparto agroalimentare, e quel che è peggio, come spiega Angelo Romano su Valigia Blu, favorisce nuovi interventi di consumo di suolo.

Milano
Sottrarsi alla cementificazione e favorire invece lo sviluppo di zone arboree, anche nelle città, per una maggiore vivibilità nei mesi estivi e contribuire a un riequilibrio del suolo, dovrebbe essere una priorità ormai consolidata della politica. Eppure non è così, e la parte più inquietante è che ancora una volta non si apprezzano differenze sostanziali di atteggiamento fra schieramenti politici. A Milano si sta svolgendo una compostissima protesta che sarebbe surreale se non fosse così triste: decine di migliaia di cittadini si stanno mobilitando per salvare un anziano glicine dalla stupenda chioma e un giardino di tigli, in un quartiere in cui già da anni è in corso una “riqualificazione” a base di nuova edilizia, cioè nuovo cemento. Nella petizione che hanno ideato si legge: “Quattro grandi tigli pluridecennali, il glicine storico del Circolo degli Ex Combattenti di Piazza Baiamonti, un grande nespolo e altri alberi che sono parte integrante del paesaggio del quartiere Sarpi-Garibaldi e del giardino comunitario dedicato alla testimone di giustizia Lea Garofalo, potrebbero essere abbattuti tra poco più di un mese”. Un sacrificio innecessario, se non che “in fase di progettazione non si è data importanza agli elementi naturali presenti sul sito”. Fra gli esponenti più noti della protesta c’è l’attore Giovanni Storti del trio comico Aldo Giovanni e Giacomo, che in un’ampia intervista a Fanpage ha spiegato la distanza profonda – sentimentale, culturale, politica – fra la cittadinanza milanese e l’amministrazione, laddove si pretende che sia necessario abbattere monumenti naturali che sono di giovamento a tante specie viventi, compresa quella umana, per far posto a un “museo della Resistenza” secondo i progetti di oggi, ma senza alcuna garanzia che la destinazione d’uso non cambi domani, come già avvenuto in passato, per diventare magari l’ennesima sede di una multinazionale. Ci sarebbe da chiedersi perché poi, se anche Milano come tutta l’Italia dispone di una quantità di edifici abbandonati, pubblici o espropriabili, costruire un edificio nuovo e inutile per un progetto a carattere storico. Come adombra lo stesso Giovanni: è una questione di business.

Roma
Viene da chiedersi se non sia una questione di business – di sostegno al business dell’automotive, per la precisione – la scelta del sindaco di Roma di istituire una gigantesca fascia verde ZTL graduale per espungere, nell’arco di un anno o poco più, dal traffico metropolitano le auto più vecchie e inquinanti. Il sindaco ha stabilito una roadmap molto serrata e con inusuale velocità per i tempi romani è già partita l’installazione dei varchi per multare gli automobilisti che entrassero in città con auto non consentite. Sulla carta un’idea che non fa una piega: secondo i calcoli, il provvedimento interesserà 30mila residenti e almeno 300mila pendolari. L’iniziativa del sindaco impedirebbe la circolazione nell’arco di due anni a circa 400mila veicoli, secondo i dati di immatricolazione forniti dall’ACI (citati in un tweet dal giornalista Valerio Renzi). Ma come si pensa di sostituire questi mezzi? Con la “città dei quindici minuti” vantata in campagna elettorale ancora ferma alle promesse, senza una rete di trasporto pubblico in grado di prendere il posto di quello privato, il non-detto di questo provvedimento è che centinaia di migliaia di lavoratori saranno traghettati, con una misura di forza, verso l’acquisto di nuove auto, cioè verso l’indebitamento e l’impoverimento. Con conseguenze a cascata sul piano dell’esclusione sociale, dell’isolamento e della sottrazione alla vita sociale dei soggetti più vulnerabili, a cominciare dalle donne e dagli anziani. La rete dei trasporti pubblici della Capitale è scandalosamente inadeguata a compensare una simile rivoluzione del trasporto privato, e non è casuale che cittadini e municipi romani abbiano in buona parte bocciato la misura di Gualtieri, anche laddove amministrati dal centro-sinistra. Il sindaco dovrebbe riflettere seriamente sul fatto che sia stato possibile, in una petizione promossa dalla Lega, ricordare come prima cosa che il suo provvedimento colpirà i cittadini “economicamente più deboli“. Come fa notare la studiosa Sofia Belardinelli in un approfondimento per MicroMega+, “giustizia ambientale e giustizia sociale sono inestricabilmente legate l’una all’altra. Non può esservi soluzione alla crisi climatica se continuiamo a trascurarne le implicazioni sociali, e d’altra parte non può esservi giustizia sociale finché ignoriamo l’avanzare della crisi ambientale e il modo in cui essa sta già trasformando il mondo che conosciamo.” Nel caso di Roma, significa dirottare investimenti pubblici in misura ingente verso la rete dei trasporti pubblici, prima di costringere i cittadini a fare a meno del trasporto privato. A meno che l’interesse non sia, appunto, quello di spingere in modo obbligato all’acquisto di nuovi veicoli privati, magari facendo finta di credere che misure come l’incentivo varato all’epoca dal governo Draghi per l’acquisto di nuove auto possano avere una qualche efficacia nel momento in cui i tassi d’interesse sono alle stelle. Non c’è dubbio che l’industria automobilistica ringrazi.

La mancanza di risposte della politica oltre la facciata green che però cela una sostanziale volontà di proseguire nel business as usual – vedi anche la vicenda del piano rifiuti romano e l’odissea del termovalorizzatore – rende la situazione drammatica ma fornisce di per sé ad ambientalisti come quelli di Ultima Generazione motivazioni più che valide per proseguire nelle loro attività politicamente scorretta, ma necessaria per continuare a riportare l’attenzione su ciò che è prioritario. Le petizioni di decine di migliaia di firme raccolte a Milano per salvare gli alberi, le proteste diffuse a Roma per stigmatizzare la fascia verde dei ricchi, indicano che la sensibilità popolare va in una direzione piuttosto chiara: difendere l’ambiente attraverso criteri di giustizia sociale, senza pensare innanzitutto ai vantaggi per le imprese. Per molti cittadini comuni, che non fanno barricate e non si sentono rivoluzionari, è ormai pacifico che fra la difesa del profitto e la tutela dell’ecosistema si deve scegliere, e che si deve scegliere l’ecosistema.

CREDITI FOTO: ANSA/MASSIMO PERCOSSI – Change.org



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