America oggi. Joe Biden alla prova di un Paese mai così diviso

Dopo quattro anni di presidenza che Paese lascia Donald Trump? E su quali questioni i cittadini statunitensi vogliono si concentri il neo presidente Joe Biden? Ritratto di un Paese mai così diviso come oggi.

Ingrid Colanicchia

Prima persona senza esperienza governativa o militare a essere eletta presidente degli Stati Uniti; primo presidente in assoluto a essere sottoposto per due volte a procedura di impeachment; primo presidente uscente in più di 150 anni a rifiutarsi di partecipare alla cerimonia di insediamento del suo successore (l’ultima volta era accaduto nel 1869, quando Andrew Johnson non si presentò al giuramento di Ulysses S. Grant). Donald Trump è stato senza ombra di dubbio un presidente da record. E dopo quattro anni lascia un Paese diverso da come l’ha trovato. E se al momento non è possibile prevedere gli effetti a lungo termine della sua presidenza, è tuttavia possibile mettere in fila i più importanti cambiamenti avvenuti e i fenomeni sociali che hanno subìto un’accelerazione durante il suo mandato. Ed è precisamente ciò che – forte dei sondaggi e delle ricerche effettuate in questi anni – ha fatto lo statunitense Pew Research Center, offrendo un ritratto del Paese a 360 gradi.

Repubblicani e democratici: mai così lontani

Il primo dato a saltare agli occhi è il carattere altamente divisivo della presidenza Trump. Se i suoi predecessori, una volta messo piede alla Casa Bianca, hanno cercato di unire la nazione lasciandosi alle spalle toni e argomenti da campagna elettorale, per Trump vale il discorso contrario: sin dall’inizio è apparso evidente che il suo mandato sarebbe stato improntato allo scontro. E se già da presidente eletto (prima dunque di assumere l’incarico) divideva repubblicani e democratici più di qualsiasi altro presidente eletto nei tre decenni precedenti, dopo il suo insediamento il gap è ulteriormente aumentato. Ad approvare la sua gestione è stata infatti una media dell’86% dei repubblicani a fronte di una media di appena il 6% dei democratici: «Il più ampio divario nella valutazione di qualsiasi presidente nell’era moderna dei sondaggi», rileva il Pew Research Center. In generale il tasso di gradimento complessivo di Trump non ha mai superato il 50% ed è sceso al suo minimo (29%) dopo l’attacco al Campidoglio del gennaio scorso. «Le reazioni generate da Trump – sottolinea il centro di ricerca con base a Washington D.C. – sono così forti da permeare anche ambiti strettamente personali: in un sondaggio del 2019, il 71% dei democratici single in cerca di una relazione affermava per esempio che non avrebbe iniziato un rapporto stabile con qualcuno che aveva votato per Trump. Dato ben più alto rispetto al 47% di repubblicani single che non avrebbe iniziato una relazione con una persona che aveva votato per Hillary Clinton».

Un allargamento del divario tra repubblicani e democratici si registra poi, «come risultato di un aumento costante e decennale della polarizzazione», in materia di valori e questioni politiche fondamentali. Se nel 1994, quando il Pew Research Center ha iniziato a compulsare i cittadini statunitensi in merito a temi politici chiave, il divario medio tra repubblicani e democratici era di 15 punti percentuali, nel 2017, primo anno di presidenza di Trump, il divario medio su quelle stesse questioni era più che raddoppiato, toccando quota 36 punti percentuali.

Su una cosa però democratici e repubblicani sono d’accordo: la posta in gioco alle elezioni del 2020 era molto alta. Poco prima del voto, infatti, circa nove sostenitori su dieci di Trump e Biden hanno affermato che ci sarebbe stato un «danno permanente» per la nazione se l’altro candidato avesse vinto.

«Trump – rileva il Pew Research Center – è stato un fattore motivante per gli elettori di entrambe le parti: il 71% dei suoi sostenitori ha dichiarato che la scelta di appoggiarlo è stata più un voto per lui che contro Biden, mentre il 63% dei sostenitori di Biden ha affermato che la scelta di appoggiarlo è stata più un voto contro Trump che per lui».

Razzisti e disinformati

Trump, dicevamo, lascia in eredità un Paese diverso da quello che ha trovato. Il che risulta evidente analizzando in particolare due questioni: il razzismo e il livello di fiducia di cui godono i mezzi di informazione.

Le tensioni razziali sono state una costante durante la presidenza di Trump ma è stato in particolare l’omicidio di George Floyd a portare la questione all’attenzione dell’opinione pubblica. In un sondaggio dell’estate 2020, sei adulti su dieci hanno affermato che Trump aveva diffuso il messaggio sbagliato in risposta alle proteste per l’omicidio di Floyd. «Più in generale – evidenzia il centro di ricerca statunitense –  gli americani hanno valutato l’impatto di Trump sulle relazioni razziali come molto più negativo che positivo. In un sondaggio dell’inizio del 2019, il 56% degli adulti ha affermato che Trump ha peggiorato le relazioni razziali e circa due terzi (65%) hanno affermato che, dalla sua elezione, è diventato più comune negli Stati Uniti esprimere opinioni razziste o insensibili alla razza». Profonde le divisioni a riguardo tra democratici e repubblicani: in particolare i repubblicani bianchi rifiutano l’idea di un diffuso razzismo strutturale negli Stati Uniti. «Nel settembre 2020, circa otto repubblicani bianchi su dieci (79%) hanno affermato che a costituire un problema sono le persone che vedono la discriminazione razziale dove non esiste, piuttosto che le persone che non vedono la discriminazione laddove esiste davvero. Le opinioni dei democratici bianchi su tale questione sono praticamente opposte».

Per quanto concerne la fiducia dei cittadini nei confronti dei media, essa è stata ampiamente minata dall’atteggiamento denigratorio di Trump. «Alcuni dei media da lui più criticati hanno infatti visto i maggiori aumenti di sfiducia tra le file del suo partito. La quota di repubblicani che ha affermato di diffidare della CNN è passata dal 33% del 2014 al 58% del 2019. In quello stesso periodo la percentuale di repubblicani che ha affermato di diffidare del Washington Post e del New York Times è aumentata rispettivamente di 17 e 13 punti percentuali» (dal 22 al 39% e dal 29 al 42%).

Pandemia e disoccupazione

Tra gli eventi esterni con cui Trump ha dovuto fare i conti, il più importante è stato senza dubbio la pandemia di Covid-19. Più di 400 mila americani sono morti a causa del virus tra l’inizio della crisi sanitaria e la fine del suo mandato. «Nel novembre 2020, più della metà degli adulti statunitensi (54%) ha affermato di conoscere personalmente qualcuno che era stato ricoverato in ospedale o che era morto a causa del virus; le cifre erano ancora più alte tra i neri (71%) e gli ispanici (61%)».

E, come nel resto del mondo, la pandemia ha avuto effetti disastrosi sull’economia del Paese. Se nel febbraio del 2020 la disoccupazione toccava il minimo registrato negli ultimi 50 anni (3,5%) solo due mesi dopo, con le imprese che chiudevano i battenti per prevenire la diffusione del virus, era salita al suo massimo nel dopoguerra (14,8%): «Trump – sottolinea il Pew Research Center – è stato il primo presidente moderno a lasciare la Casa Bianca con meno posti di lavoro rispetto a quando è entrato in carica».

Un sondaggio del gennaio scorso ha peraltro rilevato come la pandemia abbia rafforzato la fede religiosa tra gli statunitensi più che in altri Paesi economicamente sviluppati: se negli Usa a riferire una fede più forte è il 28% della popolazione, in Italia è il 15%, in Gran Bretagna il 10%, in Giappone il 5%.

Il futuro

Cosa Trump deciderà di fare (se lasciare la politica, continuare a esserne una figura di primo piano o ritagliarsi un ruolo più defilato) inciderà evidentemente sulla direzione che il Partito repubblicano prenderà nel prossimo futuro. «In gennaio il 68% degli americani ha dichiarato che non vorrebbe che Trump continuasse a essere una figura politica importante negli anni a venire, ma i repubblicani sono divisi a riguardo: il 56% di quanti si definiscono moderati e liberali ha affermato di preferire che esca dalla scena politica, mentre il 68% dei conservatori ha affermato di volere che rimanga una figura politica nazionale per molti anni a venire».

Nel frattempo il neo-presidente Joe Biden si trova a fare i conti con una fittissima agenda politica, rispetto alla quale si conferma il divario fin qui tratteggiato tra democratici e repubblicani.

Da un sondaggio del gennaio scorso emerge come i cittadini statunitensi nel loro insieme ritengano che le prime cinque priorità della nuova Amministrazione dovrebbero essere il rafforzamento dell’economia (80%), la lotta alla pandemia (78%), il miglioramento della situazione sul piano del lavoro (67%), la difesa del Paese da futuri attacchi terroristici (63%) e il miglioramento del sistema politico (62%).

Forti differenze si registrano però in base all’appartenenza politica. Se circa sette democratici su dieci (72%) affermano che affrontare la questione razziale dovrebbe essere una priorità politica assoluta, collocandola tra i primi cinque obiettivi, la questione è invece tra le ultime cinque priorità per i repubblicani: solo il 24% la cita come una priorità assoluta.

Stesso discorso per il cambiamento climatico – priorità assoluta per il 59% dei democratici e solo per il 14% dei repubblicani – e per la lotta alla povertà (priorità assoluta per il 68% dei democratici e solo per il 35% dei repubblicani).

Neppure la pandemia vede allineati democratici e repubblicani (anche se si colloca tra gli obiettivi principali per gli elettori di entrambi i partiti): tra i democratici è il 93% a considerarla una priorità assoluta, tra i repubblicani il 60%.

I democratici sono anche più propensi dei repubblicani a dire che ridurre i costi dell’assistenza sanitaria (differenza di 21 punti percentuali), affrontare le questioni relative al sistema di giustizia penale (21 punti) e migliorare l’istruzione (18 punti) dovrebbero essere le priorità di quest’anno. Al contrario, i repubblicani considerano priorità assolute la riduzione del deficit di bilancio, il rafforzamento delle forze armate, la riduzione della criminalità e la difesa dal terrorismo.

Insomma, riuscirà Biden a essere il presidente di tutti e a ridurre il solco scavato da Trump?

 

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