Otto miliardi di vite, infinite possibilità: una questione di scelte e diritti

Quando ci chiediamo se il tasso di fertilità sia troppo alto o basso, è importante capire se le persone siano in grado di realizzare i loro diritti sessuali e riproduttivi. E in particolare dobbiamo chiederci: quanto sono in grado donne e ragazze di decidere sui loro corpi? Un commento al nuovo rapporto Aidos sullo stato della popolazione nel mondo 2023.

Olga Gremese

Non è una questione di numeri, ma di qualità della vita. Anche se siamo già arrivati a 8 miliardi di persone su questo pianeta. È quanto emerge con limpida autorevolezza dal nuovo rapporto sullo stato della popolazione nel mondo 2023, dal titolo 8 miliardi di vite, infinite possibilità: una questione di scelte e diritti“, presentato a Roma da Aidos in contemporanea mondiale con Unfpa, l’agenzia delle Nazioni Unite per la salute sessuale e riproduttiva. L’agenzia opera rivolta a donne e le/i giovani in più di 150 Paesi, con un focus sulla salute delle donne in gravidanza, in particolare di 1 milione di donne che ogni mese vanno incontro a complicazioni potenzialmente letali. Soprattutto si cerca di prevenire le gravidanze adolescenziali, le cui complicazioni sono la principale causa di morte per le ragazze tra i 15 e i 19 anni e il contrasto dei matrimoni precoci e forzati.
Il tema proposto da Unfpa quest’anno arriva nello stesso momento in cui le agenzie di stampa battono, con un certo allarmismo, la notizia che l’India ha superato la Cina: a metà aprile l’India è la nazione con più abitanti al mondo, e questo, secondo alcuni commentatori, indica la “data di nascita della più epocale transizione demografica degli ultimi 200 anni”. Notizia che smentisce a sua volta un luogo comune molto radicato, soprattutto in Italia, che vorrebbe lo scoppio della ‘bomba demografica’ in Africa, dove invece i numeri sono in diminuzione. Così come un altro dato certo [fonte Onu], è che due terzi delle persone vivono in luoghi in cui il tasso di fertilità è sceso al di sotto del cosiddetto ‘livello di sostituzione’ pari a 2,1 nascite per donna.

Da dove nasce dunque la percezione di essere invasi? Il rapporto Unfpa ci dice che un’indagine condotta in otto Paesi ha dimostrato che le persone che sono state esposte ai media o a dibattiti sull’ampiezza della popolazione mondiale, con maggiore probabilità̀, considerano la popolazione globale troppo elevata.
Da qui la necessità di un rapporto che indagasse la questione cercando di andare oltre le semplificazioni, tra chi teme che siamo così tanti da travolgere il Pianeta e chi sostiene che con i tassi di natalità attuali, in alcune aree del mondo, arriveremo al collasso della specie umana.
Scrivono nel rapporto che sono “molteplici le interpretazioni: Troppi giovani? Destabilizzante. Troppi anziani? Un peso. Troppi migranti? Una minaccia”.

È necessario cambiare la prospettiva e capovolgere le domande. Ad esempio, anziché chiedersi se il tasso di fertilità sia troppo alto o basso, chiediamoci: è importante capire se le persone siano in grado di realizzare i loro diritti sessuali e riproduttivi? In caso contrario, che cosa è necessario per colmare le lacune? E in particolare: quanto sono in grado donne e ragazze di decidere sui loro corpi? Hanno accesso completo all’assistenza sanitaria? E ancora, è garantito per tutte e tutti lo spazio per poter scegliere come richiedono gli standard dei diritti umani?
Non sono domande retoriche considerando che Unfpa è stata creata nel 1969 lo stesso anno in cui l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite dichiarava che “i genitori hanno il diritto esclusivo di determinare liberamente e responsabilmente il numero e la distanza tra i loro figli”. Eppure, nel 2023, secondo i dati provenienti da 68 Paesi, il 24% delle donne e delle ragazze con un partner non è in grado di dire di no a un rapporto sessuale e l’11% delle donne con un partner non è in grado di prendere decisioni sulla contraccezione.

Anche a partire da questo, il rapporto esplora “il modo in cui le persone – il pubblico in generale, il mondo politico e accademico e altri opinionisti – tengono in considerazione le attuali tendenze demografiche e come le loro opinioni possono avere un impatto sulla salute e sui diritti sessuali e riproduttivi. Le tendenze demografiche influenzano la cultura e le relazioni sociali, le economie e le politiche; influenzano il modo in cui affrontiamo il cambiamento climatico, l’allocazione delle risorse, la risposta ai cambiamenti della forza lavoro e altro ancora. Ma proprio perché le tendenze demografiche sono così importanti, dobbiamo superare la tendenza a ridurre l’intera umanità a una minaccia come se fosse una ‘bomba’ o un ‘arresto’ demografico”, scrivono da Unfpa.

Anche perché, “dal punto di vista demografico, il raggiungimento dell’8 miliardesimo abitante del pianeta è senza ombra di dubbio un risultato positivo. Questo perché la crescita della popolazione mondiale è stata determinata dalla forte diminuzione della mortalità infantile nella maggior parte dei paesi del mondo. – ha spiegato Elena Ambrosetti, Professoressa Associata di Demografia a Sapienza di Roma intervenuta alla presentazione – “Nonostante ciò, al di là dei numeri, le disuguaglianze all’interno dei paesi e tra i paesi sono di fatto un ostacolo al raggiungimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile. Le sfide future per la popolazione mondiale riguarderanno la riduzione delle disuguaglianze in modo da poter consentire alle coppie di poter avere il numero e l’intervallo dei figli che desiderano, nel pieno godimento dei diritti umani e dell’accesso alla salute sessuale e riproduttiva”.

La demografia globale sta, infatti, cambiando rapidamente: due terzi delle persone vivono in contesti a bassa fertilità mentre, entro il 2050, otto Paesi conteranno la metà della crescita prevista della popolazione mondiale (Repubblica Democratica del Congo, Egitto, Etiopia, India, Nigeria, Pakistan, Filippine e Repubblica Unita di Tanzania), ridisegnando la classifica mondiale dei Paesi più popolosi.
A partire da questa complessità, Unfpa suggerisce di attuare politiche che mettano in essere una maggiore parità tra i sessi nella forza lavoro, utile per sostenere le economie delle società che invecchiano e che hanno una bassa fertilità, piuttosto che avere come obiettivo un maggior numero di figli per donna.

Ma soprattutto, ed è un aspetto molto interessante di un rapporto multidisciplinare che ha coinvolto esperte/i in ecologia, femminismo, economia e diverse altre discipline, Unfpa sottolinea l’importanza del linguaggio che usiamo quando si parla dei cosiddetti ‘problemi di popolazione’. A riguardo si legge: “La parola popolazione viene usata in modo intercambiabile per descrivere gruppi che sono locali o nazionali, etnici o religiosi, regionali o globali. Questo porta ad ambiguità su chi, esattamente, viene contato. La popolazione del paese comprende migranti e rifugiati irregolari? In caso negativo, dispongono tali persone dei meccanismi necessari per garantire i propri diritti? Quando il mondo politico parla in generale di popolazioni che crescono troppo rapidamente o troppo lentamente, si riferiscono implicitamente a certe persone o a certi gruppi minoritari, e non ad altri? Quando i commentatori si torcono le mani sull’imminente ‘collasso della popolazione’, stanno dicendo che le donne stanno fallendo nel loro ruolo di macchine riproduttive, o stanno dicendo che le condizioni economiche, sociali e legali non stanno consentendo alle donne e alle coppie di realizzare i loro obiettivi riproduttivi? Quando i leader chiedono di aumentare l’uso di contraccettivi per ridurre i tassi di fertilità nelle comunità meno servite, stanno dicendo che quelle comunità dovrebbero avere meno figli, o che quelle persone non hanno sufficienti diritti e condizioni per esercitare la loro autodeterminazione?”.

Ca va sans dire, è molto facile incanalare paure e responsabilità verso i corpi delle donne, delle persone straniere e dei gruppi più emarginati. O usare l’alibi dei cambiamenti climatici dandone la colpa alla fertilità e non attribuire le vere responsabilità̀ ai Paesi che emettono più carbonio. Su 8 miliardi di persone, circa 5,5 miliardi non guadagnano abbastanza, ossia circa 10 dollari al giorno, per contribuire in modo significativo alle emissioni di carbonio.
Per dirlo con le parole della presidente Aidos, Maria Grazia Panunzi: “Non si tratta tanto di decidere le politiche per contrastare il calo della natalità o regolare il tasso di fertilità ma di rimettere al centro il godimento dei diritti sessuali e riproduttivi quale prerequisito indispensabile dell’agency delle persone, in particolare delle donne e delle ragazze”.



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