Antimafia, il dovere di ricordare Pio La Torre e Carlo Alberto dalla Chiesa

Gian Carlo Caselli

Nel 2022 abbiamo ricordato il XXX anniversario delle stragi di Capaci e via d’Amelio e della morte di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Ma il 2022 è anche il XL anniversario di due tragici fatti che hanno segnato una svolta nella storia della mafia.

Il 30 aprile del 1982 veniva ucciso da Cosa nostra, insieme all’amico e autista Rosario Di Salvo, il politico siciliano Pio La Torre. Dalla Chiesa, che ne era stato estimatore e amico, alla domanda di Giorgio Bocca: “generale, perché fu ucciso il comunista Pio La Torre?”, rispose: “per tutta la sua vita; ma, decisiva, la sua ultima proposta di legge”. Eppure, questa proposta era stata relegata in qualche oscuro cassetto. Fu recuperata soltanto dopo l’omicidio di dalla Chiesa con la strage di via Carini (anch’essa nel 1982, 3 settembre) nella quale furono trucidati insieme al generale-prefetto la moglie Emanuela e il loro autista Domenico Russo. Sull’onda dell’indignazione e ribellione degli italiani onesti per la morte del generale-prefetto, la proposta di La Torre fu ripescata e convertita nella legge 646 del 13 settembre 1982, intitolata appunto a La Torre, oltre che all’allora ministro Rognoni.

Ed ecco che la mafia, di cui prima si negava spudoratamente l’esistenza, nell’art. 416 bis del codice penale è finalmente vietata e punita di per se stessa, come reato associativo, indipendentemente dalla commissione di reati specifici. Così dotando forze dell’ordine e magistratura di uno strumento di eccezionale importanza, senza il quale (parola di Falcone) pretendere di sconfiggere la mafia era come pensare di poter fermare un carrarmato con una cerbottana. Difatti il pool di Falcone sul 416 bis costruì il “maxiprocesso”, che rappresenta una vera e propria rivoluzione nella storia giudiziaria italiana. È la prima volta che – potendo colpire l’associazione mafiosa in quanto tale – si condannano non solo i “soldati” semplici e i capi intermedi, ma anche il cuore e il cervello dell’organizzazione. Si dimostra che Cosa nostra non è solo una mentalità, un insieme di malavitosi e spacciatori che compiono rapine o omicidi, ma molto di più: una sorta di “stato illegale” organizzato, con una sua politica, e relazioni con la società, l’economia e le istituzioni. Crolla finalmente il mito della impunità di Cosa nostra.

Ma la proposta di Pio La Torre (fatta propria dalla legge 646/82 dopo l’uccisione di dalla Chiesa) non si limitava al reato associativo. Inaugurava anche una “filosofia” ispirata alla necessità di affiancare alle indagini tradizionali interventi sulla accumulazione delle ricchezze derivanti dall’agire mafioso. Di qui i nuovi istituti del sequestro e della confisca dei beni appartenuti, direttamente o indirettamente, ai soggetti indiziati di far parte delle organizzazioni mafiose. Con obiettivi ben precisi. Non solo impedire che le risorse rimaste in possesso di tali soggetti alimentino altri crimini; non solo contrastare il riciclaggio che inquina l’economia legale e danneggia gli operatori onesti; ma anche indebolire in radice il potere e il prestigio delle cosche, posto che boss e picciotti temono sì di finire in galera, ma ancor più di perdere i “piccioli”, la ricchezza che è la spina dorsale (con la violenza e l’intimidazione) del loro potere.

La legge La Torre ha poi innescato altri interventi legislativi. Uno sviluppo, decisivo per la sua originalità, si è avuto con la legge n. 109 del 1996, un’iniziativa popolare fortemente sostenuta da Luigi Ciotti e da “Libera” con la raccolta di un milione di firme: una spinta irresistibile che “costrinse” il Parlamento ad approvare la legge all’unanimità, introducendo il riutilizzo a fini sociali e/o istituzionali dei beni confiscati alle mafie. In questo modo – con la restituzione del “maltolto” – l’impegno antimafia ha assunto anche una forte valenza simbolica di compensazione (giustizia riparatoria) delle sofferenze inferte alla comunità. Aprendo nuove prospettive di sviluppo, dal momento che i beni sottratti ai mafiosi possono essere al centro di operazioni di rilancio economico.

Pio La Torre e Carlo Alberto dalla Chiesa sono quindi all’origine, seppur nel più tragico dei modi, di snodi fondamentali per la lotta alla mafia. Perciò vanno ringraziati e celebrati, senza alcuna retorica, oggi e sempre.



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