La sinistra polacca a quella occidentale: sostenete gli ucraini

Un appello di alcuni membri del partito polacco di sinistra Razem affinché la sinistra occidentale non sia corriva con Putin.

Z. Malisz M. Milenkovska D. Kolarska J. Gronowski

Da decenni, la Russia cerca di presentarsi come una vittima circondata da forze ostili che ne minacciano la sicurezza. I fatti contraddicono queste affermazioni. È la Russia, con il suo potente esercito, il suo imponente arsenale di testate nucleari e le sue ambizioni imperiali, che sta cercando di imporre la propria volontà ai Paesi vicini – ed è a questo che la sinistra deve opporsi.

In un recente articolo sulla Berliner Zeitung, Michael von der Schulenburg afferma che il dispiegamento da parte della Russia di oltre 100 mila soldati al confine con l’Ucraina è stata una risposta all’annuncio della Nato che un giorno l’Ucraina potrebbe diventare un membro del Patto atlantico. Questa opinione fa eco alla sinistra occidentale a Berlino, Parigi, Madrid, che dall’inizio delle ostilità in Ucraina ha avuto la tendenza a guardare la situazione dal punto di vista di Mosca.

La paura della Russia per la propria sicurezza viene addotta come argomento supremo per giustificare l’azione militare russa. Lo sguardo critico si sposta da Putin alla Nato che, accusata di «espansione» o «aggressione», starebbe sconvolgendo gli equilibri di potere in Europa e interferendo nella «sfera di influenza» russa.

Nonostante il nostro scetticismo rispetto alla Nato e alla politica statunitense, vediamo una trappola in questo ragionamento. Conduce facilmente a trascurare le vere ragioni dietro le azioni di Mosca: un illegittimo senso di sovranità sull’Ucraina e aspirazioni neoimperialistiche. Crediamo che la politica estera debba essere guidata dall’antimperialismo e dalla preoccupazione di preservare l’autonomia dei cittadini, la loro capacità di autodeterminazione. La denuncia dell’imperialismo russo non esclude la critica agli Stati Uniti, anzi permette di andare oltre un punto di vista geopolitico derivante dalla guerra fredda, o addirittura da un’epoca coloniale.

Da quale posizione parlate?

Razem è un partito politico polacco fondato nel 2015. Tra i suoi obiettivi c’è quello di introdurre il punto di vista dell’Europa centrale e orientale in seno alla sinistra europea. L’assenza di questa prospettiva nei discorsi dei politici di sinistra in Germania, Francia e Spagna ci ha colpito, soprattutto quando si tratta di questioni di difesa europea, per giunta sul confine orientale dell’Ue. Vogliamo, offrendo il nostro punto di vista – venendo dal centro di una regione che vive un teso vicinato con la Russia – introdurre alcune sfumature nella visione occidentale della guerra della Russia contro l’Ucraina. Se i nostri partner e amici occidentali potessero cogliere questi elementi, ciò ci permetterebbe di evitare le perniciose semplificazioni che portano a un sostegno ingenuo alla versione russa. Qualcosa che non possiamo permetterci. Non in un momento in cui la Russia sta cercando incessantemente di minare lo Stato e la sovranità dell’Ucraina, così come la capacità degli ucraini di decidere il proprio destino.

L’annessione della Crimea nel 2014, la partecipazione al conflitto separatista nel Donbass, il dispiegamento di oltre 100 mila soldati ai confini dell’Ucraina e infine l’aperta aggressione iniziata il 24 febbraio: tutto questo persegue la strategia russa di sottomissione politica e militare delle ex repubbliche sovietiche situate al suo confine occidentale. Ci opponiamo a un mondo in cui il più forte cerca di imporre la propria volontà al più debole con la forza, eppure questa è l’unica interpretazione che si può dare delle ultime manovre di Mosca.

Il Cremlino ha cercato per decenni di ribaltare questo equilibrio di potere. Per giustificare le sue azioni, usa la retorica di una Russia “circondata” da forze ostili che rappresenterebbero una minaccia per la sua sicurezza. Nel frattempo, queste affermazioni sono contraddette dai fatti: a differenza della Russia, la Nato non ha mai preso in considerazione l’idea di invadere un membro della Comunità degli Stati Indipendenti e le capacità militari russe superano di gran lunga quelle a disposizione degli Stati del Patto atlantico in Europa. Inoltre, i dibattiti spesso trascurano l’enclave di Kaliningrad, un’“isola” russa pesantemente armata situata al centro della regione baltica. Infine, di fronte a un enorme arsenale di testate nucleari, la narrazione della Russia come vittima è difficilmente difendibile.

L’invasione militare russa è accompagnata anche da un’aggressione verbale. Le richieste e le dichiarazioni ufficiali che ignorano la sovranità dell’Ucraina e dell’Europa orientale forniscono alla suddetta forza militare un’interpretazione e un contesto: quello della volontà russa di ricolonizzare la regione e ristabilire l’ordine della guerra fredda. Un esempio tra i tanti è la dichiarazione del viceministro degli Esteri Ryabkov: «Chiediamo conferma scritta che l’Ucraina e la Georgia non aderiranno mai e poi mai alla Nato».

Aggiungete a ciò i numerosi esempi di revisionismo storico, la fantasia di Putin della Grande Russia, in cui bielorussi, ucraini e russi formano un’unica nazione. Dichiarazioni simili hanno una risonanza fortissima nei Paesi dell’Europa centrale e orientale e sono percepite come un disconoscimento aggressivo, da parte di un impero vicino, dell’emancipazione della regione, compiuta o in corso.

La richiesta di Putin di riportare le forze Nato allo status quo del 1997 è una palese manifestazione delle ambizioni di ricolonizzazione della Russia nell’Europa centrale e orientale. Ricordiamo che Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca, secondo i loro desideri, hanno aderito al Patto atlantico nel 1999 e gli Stati baltici nel 2004.

Al di là del cliché imperiale

Questi fatti purtroppo sembrano essere trascurati da alcuni dei nostri partner tedeschi di sinistra. Gregor Gysi e Sevim Dagdelen di Die Linke usano spesso espressioni come «espansione» o addirittura «aggressività della Nato»; Jean-Luc Mélénchon parla in Francia dell’«annessione» dell’Ucraina da parte della Nato. Rolf Muetzenich dell’SPD, nella settimana precedente all’aggressione russa, ha espresso la sua comprensione rispetto alle «legittime preoccupazioni della Russia in materia di sicurezza». Tali affermazioni ancorano questi politici, spesso senza che ne siano consapevoli, nella retorica della guerra fredda, dalla quale la sinistra sta cercando nondimeno di allontanarsi.

Michael von der Schulenburg, che abbiamo già citato, va nella stessa direzione quando presenta l’invasione dell’Ucraina come «uno scontro tra le due forze nucleari più potenti del mondo, gli Stati Uniti e la Russia, sul terreno europeo». Dalla Grecia, Yanis Varoufakis osserva che la difesa del diritto degli ucraini di scegliere la Nato è solo la postura morale di «coloro che pongono l’autoreferenzialità al di sopra degli interessi degli ucraini», affermando – senza consultare alcun Paese interessato – che l’Ucraina dovrebbe diventare «neutrale», come la Finlandia. Il mito della neutralità è stato respinto con veemenza dal finlandese Alexander Stubb, ex primo ministro del Paese, il qaule ha sottolineato che la neutralità «non era una scelta, ma una necessità» e che «la finlandizzazione è l’ultimo insulto a un Paese costretto a compromettere i propri valori democratici di fronte a un aggressore».

In Francia, Ségolène Royal si oppone alle sanzioni contro la Russia, esprimendo la sua nostalgia per il «generale de Gaulle che si fece rispettare dai nostri amici americani dicendo loro di ritirare le truppe». Lo fa in nome del diritto della Russia al «rispetto degli accordi sulla sicurezza ai suoi confini», che pone ancora una volta l’aggressore nella posizione della vittima. Condurre la discussione su tali aspetti senza coinvolgere le voci dell’Europa centrale e orientale porta in definitiva all’esclusione e all’oggettivazione dei Paesi direttamente colpiti dal conflitto.

Se fosse necessaria un’ulteriore prova del fatto che la storia dell’Europa centrale e orientale venga scritta senza il coinvolgimento dei diretti interessati, la troviamo nel gasdotto Nord Stream 2 che, più volte criticato dai leader dell’Europa orientale, mostra oggi il suo potenziale distruttivo. Dal nostro punto di vista, tali parole e tali atti fanno spontaneamente pensare a un tipo di politica paternalistica che l’Occidente ha da tempo perseguito (e persegue a volte tuttora) nei confronti dell’Africa o del Medio Oriente.

Non possiamo accettarlo. Ci aspettiamo una strategia completamente diversa dai Paesi europei, e soprattutto dai movimenti di sinistra occidentali. Qui l’imperativo della pace e lo slogan «Niente più guerra» potrebbero piuttosto indicare la costruzione di un consenso attraverso azioni concrete all’interno di alleanze strategiche e di un dialogo pragmatico, e non un ingenuo pacifismo. Ci auguriamo inoltre che, al posto delle consuete critiche alla Nato, la sinistra possa formulare proposte alternative specifiche circa il modo di garantire la pace nell’Europa orientale, nei Paesi nordici e negli Stati baltici – e potremmo discuterne insieme. Una simile proposta non ci è stata ancora presentata. Il partito Razem, dal canto suo, propone lo sviluppo di una forza europea di autodifesa come elemento chiave per preservare la pace di fronte alla politica aggressiva della Russia.

Abbiamo tutto da perdere dalla guerra – Ascoltiamo l’Est

Non abbiamo alcun dubbio: perderemo tutti se questa guerra si espande. La sua escalation, a prescindere dalla sua ampiezza, porterà al caos devastante della guerra, e saranno i cittadini ucraini a soffrirne di più. Gli scenari più foschi stimano che più di un milione di civili indifesi potrebbero fuggire verso la sola Polonia; in decine di migliaia si sono già rifugiati lì. Ne soffriranno anche i cittadini russi, che devono essere considerati separatamente da Putin e dalle élite non democratiche. Come mostrano i sondaggi, i russi non sono disposti a morire per il progetto della Grande Russia del Cremlino e molti si stanno assumendo rischi significativi protestando contro le azioni del governo. Infine, perderemo anche noi cittadini dell’Unione Europea. Dal punto di vista della Polonia, vicina dell’Ucraina e situata sul fianco orientale dell’Ue, questo scenario è particolarmente preoccupante, poiché rappresenta una minaccia diretta per la sua sicurezza.

Ci opponiamo categoricamente alla guerra: la diplomazia dovrebbe essere lo strumento principale per la risoluzione dei conflitti. Tuttavia, come suoi alleati europei, dobbiamo sostenere l’Ucraina nel rafforzamento delle sue capacità difensive. Sono particolarmente necessari la cooperazione in materia di intelligence e il sostegno in termini di equipaggiamento militare.

Tuttavia, lo scopo di queste azioni non deve essere quello di costruire i nostri strumenti di pressione e imporre la nostra volontà all’Ucraina, ma di creare uno spazio in cui quest’ultima avrà la possibilità di prendere una decisione sovrana sul proprio futuro, anche se questa decisione non corrisponde alle ambizioni del Cremlino o non soggiace alle pressioni del capitalismo occidentale.

Pertanto, sulla scia del Movimento sociale ucraino, chiediamo una revisione del percorso socio-economico proposto all’Ucraina dall’Occidente: invece delle distruttive riforme neoliberiste sotto la pressione del Fmi, la liquidazione incondizionata del debito estero del Paese.

La guerra in corso dal 2014 ha lasciato tracce sulla sua situazione economica e le attuali tensioni non fanno che rafforzare l’entità della crisi. Dobbiamo quindi essere pronti a offrire un maggiore sostegno finanziario alle regioni colpite dal conflitto, sostegno che sosterrebbe soprattutto i relativi abitanti.

Tuttavia, non possiamo permetterci di continuare a tollerare la violazione del sistema finanziario europeo da parte dell’élite oligarchica russa. Ciò deve cambiare: non possiamo tollerare un sistema che minaccia l’Europa e sfrutta i russi. Dobbiamo sostenere misure simili di fronte all’oligarchia ucraina, che da decenni ostacola l’ulteriore democratizzazione del Paese.

Una soluzione europea

Razem non sostiene con entusiasmo l’alleanza transatlantica della Nato nella sua forma attuale, ma ne accettiamo l’esistenza come il più efficace garante, oggi, della sicurezza polacca ed europea. Allo stesso tempo, riteniamo che l’Europa abbia i mezzi per evolversi verso l’autonomia in questo campo e che abbia il potenziale per costruire un arsenale di difesa collettiva al suo livello. Le porte alla co-creazione di questa struttura dovrebbero essere sempre lasciate aperte all’Ucraina.

Dobbiamo sollecitare i Paesi dell’Unione Europea a discutere di un sistema di sicurezza comune, ivi compresa la sicurezza energetica. Questo è un punto essenziale se vogliamo avviare un vero dialogo di partenariato con gli Stati Uniti e negoziare su un piano di parità con la Russia. È necessario anche un impegno multidimensionale e solidale dei Paesi, delle istituzioni e dei leader dell’Unione Europea a favore della sicurezza del continente. Non possiamo permetterci di essere limitati dagli interessi nazionali dei singoli Stati membri.

L’Europa si aspetta che la Germania assuma un ruolo guida negli sforzi per creare un sistema di sicurezza comune. L’attacco della Russia all’Ucraina ha messo in evidenza la necessità prendere misure decisive in questo settore. Uno scenario del genere è anche nell’interesse della Germania: la creazione di un’iniziativa europea più ampia consentirebbe di distribuire la responsabilità della sicurezza tra tutti i membri della comunità.

Verso un dialogo inclusivo

La voce della nostra parte d’Europa deve finalmente essere ascoltata. Chiediamo un dialogo con le società dell’Europa centrale e orientale, basato sul rispetto della loro soggettività e su un partenariato sincero. Con questo, intendiamo anche riconoscere e sostenere i movimenti di emancipazione della sinistra emergenti nella nostra regione, inclusa la Russia. La solidarietà internazionale basata sulla comprensione reciproca è la nostra occasione per costruire un’alternativa praticabile.

La recente presa di posizione dei leader di Die Linke dovrebbe essere vista come una svolta in materia di politica orientale, indicando un’apertura al dialogo. È proprio un tale dialogo e supporto che Putin teme, non senza motivo, dal momento che sostiene l’estrema destra in tutta Europa, da Madrid a Varsavia, minando così il comune progetto democratico europeo. Non permettiamogli di farlo.

Gli autori (Zofia Malisz, Magdalena Milenkovska, Dorota Kolarska e Jakub Gronowski) fanno parte della segreteria per gli affari internazionali del partito polacco di sinistra Razem.

(traduzione dal francese di Ingrid Colanicchia)

L’appello è apparso in francese sul sito Le Courrier d’Europe centrale.

Credit foto: Frankfurt/Main, 3 febbraio 2022. ANSA Frank Rumpenhorst/dpa



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