“La residenza è un diritto, l’articolo 5 del decreto Renzi-Lupi va cancellato”

La protesta a sette anni dall’entrata in vigore del dispositivo che vieta la residenza e l’allaccio delle utenze a chi ha occupato immobili e alloggi, anche se in condizione di necessità

Daniele Nalbone

Che l’articolo 5 della legge 23 maggio 2014 n. 80 – contenente “Misure urgenti per l’emergenza abitativa, per il mercato delle costruzioni e per Expo 2015” – sia un problema lo ha riconosciuto anche il ministro delle Infrastrutture, Enrico Giovannini, nell’intervista rilasciata a MicroMega lo scorso 6 aprile. L’articolo 5 è del cosiddetto Piano Casa Renzi-Lupi, in breve, vieta la residenza e l’allaccio delle utenze a chi ha occupato immobili e alloggi, anche se in condizione di necessità. Ed è contro l’articolo 5 che è stata indetta per venerdì 9 aprile una mobilitazione presso la sede dell’Anagrafe centrale di Roma che ha come primi firmatari dell’appello che lo ha promossa diverse realtà, da A Buon Diritto Onlus ad ActionAid Italia, passando per Medici senza Frontiere Italia e il Movimento per il diritto all’abitare.

“Diritto di residenza e libertà di movimento dentro e oltre la pandemia” è lo slogan della proposta contro le conseguenze di questa legge, che porta – come si evince dal nome del decreto – l’esclusione per migliaia di persone di esercitare concretamente diritti sociali, civili e politici costituzionalmente garantiti.

Senza residenza non è possibile godere a pieno del diritto alla salute, in quanto l’iscrizione anagrafica è una condizione necessaria ai fini dell’assegnazione di un medico di famiglia e di un pediatra. Oltre all’impossibilità di partecipare ai programmi di prevenzione, ciò significa non poter godere di cure basilari se non rivolgendosi all’assistenza emergenziale, ossia recandosi al pronto soccorso.

Per quanto riguarda la scuola, la residenza non è un requisito formalmente previsto per l’iscrizione ai cicli formativi primari e secondari, sebbene in diversi casi sia di fatto richiesto, mentre costituisce una condizione necessaria per l’accesso ad alcuni servizi, quali la mensa e il buono libri, subordinati all’ISEE: chi non ha la possibilità di produrre questa certificazione, legata a doppio filo alla registrazione anagrafica, rimane tagliato fuori dalle misure di sostegno. Senza residenza, inoltre, non è possibile effettuare l’iscrizione alla scuola materna né agli asili nido.

“A distanza di quasi sette anni dall’entrata in vigore dell’articolo 5”, spiegano i promotori della mobilitazione, “ogni tentativo di smontare anche parzialmente questo strumento fortemente coercitivo per decine di migliaia di persone – costrette, data la loro condizione di povertà, a vivere in alloggi o in immobili occupati – è risultato vano”.

Con la pandemia e la nuova legislazione sulla sicurezza urbana e sull’accoglienza, le conseguenze dell’articolo 5 si sono ulteriormente aggravate. “Tra i suoi effetti nefasti, va sicuramente annoverata la spada di Damocle dei distacchi delle utenze, che i gestori possono attuare in qualsiasi momento e che, infatti, sono stati minacciati (e talvolta eseguiti) dentro occupazioni a scopo abitativo e alloggi di edilizia residenziale pubblica”.

“Con il Piano casa Renzi–Lupi” concludono i promotori, “i poveri vengono espulsi dallo stato di diritto e privati di diritti basilari per un’esistenza dignitosa. In nessun altro modo, infatti, è definibile la privazione di acqua, luce, riscaldamento, assistenza medica, istruzione, cittadinanza. E questo, francamente, non può più essere accettato”.

 

 

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