Artisti in lotta: “Il mondo della cultura è marginalizzato, lo sviluppo di Roma è affidato solo al turismo”.

Le nuove nomine lottizzate al Teatro di Roma sono la punta dell'iceberg di un mondo della cultura in ginocchio, precario, senza spazi, e sottoposto rispetto a un modello di sviluppo urbano che, a Roma come nel resto del paese, riesce a rilanciarsi e a immaginarsi esclusivamente attraverso il turismo. Intervista a Christian Raimo, ex assessore alla Cultura del terzo Municipio di Roma.

Mosè Vernetti

Il tentativo da parte del ministero della Cultura e della Regione Lazio di scavalcare l’amministrazione capitolina sulla nomina del direttore del Teatro Stabile di Roma ha scatenato la comunità di artisti e attori della Capitale nelle ultime settimane. Da un lato c’è una destra intenta a occupare, anche dove ancora non governa, gli spazi culturali del Paese. Dall’altro un Sindaco che si dice soddisfatto del timido compromesso ottenuto in risposta a questo golpe: ad affiancare Luca De Fusco, nuovo direttore del Teatro di Roma voluto dal deputato di Fratelli d’Italia Federico Mollicone, sarà una figura manageriale nominata dall’amministrazione della Capitale. Di questa vicenda e degli avvenimenti che sono seguiti ne parla ampiamente Checchino Antonini su MicroMega.
Il sistema di nomine è la punta dell’iceberg di un mondo della cultura in ginocchio, precario, senza spazi, e sottoposto rispetto a un modello di sviluppo urbano che, a Roma come nel resto del Paese, riesce a rilanciarsi e a immaginarsi esclusivamente attraverso il turismo. Un mondo di lavoratori e lavoratrici dello spettacolo che, contro le aspettative dello stesso sindaco Roberto Gualtieri, ha deciso di dire basta. La protesta ha preso corpo con una manifestazione alle porte del Teatro Argentina martedì 30 gennaio. Ad aspettare i manifestanti le forze dell’ordine in tenuta anti sommossa. E la scena si è ripetuta il giorno seguente mentre alcuni artisti volantinavano davanti al Teatro India. Da allora sono state numerose le assemblee, sempre più partecipate. L’ultima, con più di 400 persone, si è tenuta negli spazi di Spin Time Labs domenica 4 febbraio.
“Anger35 è il modo in cui  – ancora provvisoriamente – ci stiamo chiamando”, raccontaa MicroMega una portavoce del neonato collettivo che nella mobilitazione raccoglie i giovani artisti. “Non amiamo segnare una distanza troppo marcata dalle generazioni prima di noi, ma Anger35 è una nome autoironico che rimanda alla dicitura under 35, ovvero il limite anagrafico imposto per poter partecipare a molti bandi, nazionali e internazionali. Stiamo intercettando istanze, necessità, dubbi e desideri della nostra generazione, che è plurale ed esprime esigenze e nature diverse. Uno dei punti di riflessione centrale è la richiesta di spazi, che a Roma sono molto pochi. Quanto accaduto al Teatro di Roma è in sé un pretesto per affrontare questioni che da troppo tempo ci stanno strette. Vogliamo unire il nostro istinto incendiario a una sana ragione, che ci renda consapevoli, lucidi e capaci di domandare con coerenza ciò che, crediamo, ci debba offrire il sostegno alla cultura nazionale”.
Sono numerose le lotte che oggi non trovano una risposta concreta da parte dell’amministrazione Gualtieri, come è ormai pratica consolidata della destra la repressione plateale del dissenso. Ne parliamo con Christian Raimo, scrittore, insegnante ed ex assessore alla Cultura del terzo Municipio di Roma, attivo in questa nuova mobilitazione.

Quello che sta succedendo rappresenta un momento di svolta o una dimostrazione del peggioramento della vita del settore culturale a Roma?
Io non guardo mai il bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto. Lo guardo sempre mezzo rotto. Se si conoscono le ferite e le fratture della comunità sociale e culturale, si sa che quelle ferite ci sono sempre. È importante però un lavoro di continua riparazione. Quindi non penso che ci sia un momento di particolare felicità o di particolare crisi nel mondo culturale. Le crisi alle volte portano a sviluppi anche politici di avanguardia. Altre volte sono dissanguamenti. In questo momento le linee di frattura sono molteplici. Roma è una città che si prepara al Giubileo e che vivrà una stagione ininterrotta di turismo, per cui immaginare il progetto pubblico e sociale della cultura a Roma cozza con un evidente progetto per cui la cultura in questa città ad oggi la fanno gli albergatori e i pacchetti turistici. Questo è il vero conflitto che si consuma. Non si possono fare dichiarazioni di intenti rispetto a quello che sarebbe l’optimum per la città, ma si può partire dalle condizioni. In queste condizioni va trovato spazio per un’idea di cultura più vicina alla Costituzione: quindi che promuova la coesione sociale.

Il sindaco Gualtieri ha reale volontà di cambiare la gestione della cultura della capitale? Pensi che ne abbia le forze?
Io penso che la volontà ci sia, ma che ne abbia meno la possibilità. Ma in qualche modo deve fare una revisione del proprio coraggio a partire dalla capacità di leggere il contesto. E, secondo me, Gualtieri purtroppo il contesto non riesce a leggerlo. Né della città, né della comunità culturale e artistica. Che è un contesto che vive di precariato e di mancato riconoscimento, e di un’energia che viene da persone che di questo stato di precariato fanno conflitto. È evidente che c’è un governo protofascista in Italia che ha capito che una parte dell’economia del Paese si regge sul turismo, anche di bassa qualità, che però porta tanto denaro…

Solo il governo di destra?
Il governo ha abbracciato una visione che è quella di un’Europa che non ha una vocazione produttiva a livello culturale. L’Italia in questo senso è un disastro, al centro della produzione culturale mette lo storytelling del turismo. Che è la versione più vigliacca del potenziale della cultura. L’investimento sul lavoro culturale e su quello creativo può essere un sistema produttivo forte. Negli ultimi anni ci sono stati una serie di ministri terrificanti. Da Walter Veltroni a Dario Franceschini, fino a Gennaro Sangiuliano.

Secondo te il sindaco si aspettava questa risposta della comunità degli artisti?
No, non se l’aspettava. Non ha capito che a Roma c’è un pezzo di città che vive la turistificazione della cultura come un grande problema. E di fatto la grossa parte delle politiche sulla cultura a Roma non sono gestite dall’assessorato della cultura, ma sono di fatto governate dal turismo e dagli eventi. A Roma questa cosa è più evidente, ma accade in tutto il Paese. Il Sindaco, che è uno storico di professione, dovrebbe avere un po’ più di attenzione a quella che è la scena culturale contemporanea. E purtroppo, per avere più attenzione alla scena contemporanea, bisogna conoscerla, non si può improvvisare. Non è facile fare una ricerca sul contemporaneo. Ed è ancora più difficile con un governo di destra. Il Comune dovrebbe trovare spazi da gestire in modo indipendente. Da quegli spazi poi parte la visione. Pensare che tutti gli spazi autogestiti e autonomi in città sono stati sgomberati e desertifcati, e che  l’unico spazio che ha avuto più di quello promesso è il Cinema America, diventa devastante per un mondo culturale che vive delle elemosine dei bandi municipali.

Come vi state mobilitando e quali sono i prossimi passi?
Io non avevo idea che da qui partisse una mobilitazione. Invece è partita perchè esisteva il desiderio di farlo, e perchè c’era un’onda che stava montando. Un’onda anche a me sconosciuta. Il gruppo di giovani attori e attrici under 35, chiamato Anger35 sta liberando un’energia reale. La destra di oggi ha capito che deve attaccare tutto il sistema culturale per eliminare l’opposizione. E lo fa in modo spesso squadrista e cialtrone al tempo stesso. La resistenza del mondo dell’arte dev’essere stratificata su due livelli: deve proporre progetti di qualità e attivare un lavoro democratico culturale. Il lavoro culturale e democratico è il grande argine a questo tipo di destra.

Cosa ostacola una risposta politica dei lavoratori della cultura?
Uno dei problemi più grandi che ci sono all’interno del teatro di Roma è il sindacato. Un sindacato corporativo, considerato da molti un corpo estraneo, che spesso è stato prevaricatorio nei confronti degli stessi artisti. Che all’interno di uno dei più importanti teatri pubblici in Italia ci sia un sindacato che talvolta boicotta la produzione artistica è assurdo.

Da un lato c’è il governo di destra, con cui c’è un certo conflitto, dall’altro il conflitto con il Sindaco.
Il Sindaco in questo momento si trova in un limbo. C’è una comunità che si è riunita chiedendo un metodo, un coinvolgimento e un teatro pubblico diverso. Una tutela dei diritti veri. Oltre il 40% dei lavoratori del teatro di Roma è precario. Chiaramente dalla comunità è arrivato un no. Gualtieri l’ha interpretato come un no aperto al compromesso, ma molti artisti dicono no e basta. Non pensavamo di essere così tanti e tante. Il sindaco deve scegliere come schierarsi e come porsi di fronte a questa comunità. Roma campa di funzione pubblica, turismo e di lavoro culturale. Se Gualtieri vuole esser il sindaco della città deve essere anche e soprattuto il sindaco di chi lavora nella cultura. Di quelle persone che s’impegnano per una città antifascista e democratica.

Gli artisti e i teatranti non sono gli unici a dire di no. Parlando di turismo penso a lotte come quelle di Spin Time, minacciati qualche tempo fa di essere sgomberati entro il giubileo per la costruzione di un hotel di lusso. Si parla quindi della lotta per il diritto alla casa, anch’esso minacciato dalla turistificazione che divora gli spazi. Ci sono possibilità di convergenza con queste lotte?
Penso ci sia una convergenza di fatto. E penso che tutto questo vada nella stessa direzione: anche qui il sindaco deve scegliere. È possibile un turismo sostenibile? Le città sono dei ricchi o di chi le abita? È una scelta questa. Non facile, ma rimane una scelta che a un certo punto va fatta. Riuscire a pensare che cosa farà Roma a parte il turismo. Penso che Roma possa essere un grande centro di produzione culturale internazionale.

Per ottenere un cambiamento in questo senso non credi sianecessaria una convergenza fra soggetti, di intenzioni oltre che di fatto?
Ci stiamo muovendo, ci sarà un’assemblea aperta venerdì 9 febbraio. Serve una spinta nazionale che si mobiliti anche a partire dalla Biennale, dal Piccolo di Milano. Se il metodo utilizzato per il Teatro di Roma passa, vuol dire il disastro per tutti. I teatri sono luoghi di resistenza.

È un momento adatto per riportare in auge tutte le rivendicazioni del mondo dello spettacolo emerse durante la pandemia?
Di certo l’occupazione del Globe Theatre è stata un momento di altissima pratica politica, ma l’interlocuzione con le istituzioni porta spesso alla creazione di strumenti inefficaci. Le forme di protezione degli spazi rispecchiano questa dinamica. Ad esempio la delibera 104 (Deliberazione di Assemblea Capitolina n. 104 del 16 dicembre 2022), il nuovo regolamento sull’utilizzo degli spazi sociali nel Comune di Roma, offre alternative innovative sull’assegnazione e la concessione di spazi comunali ad associazioni culturali. Ma non è mai stata messa realmente in pratica.

Rispetto agli anni della pandemia cosa cambia oggi?
Che ci sono i fascisti.

E nella mobilitazione?
C’è una nuova generazione che non è stata sfiancata dalle continue ondate di sgomberi, non è ancora così delusa e stanca. Lo sgombero del Teatro Valle, del Cinema Palazzo, di Scup Palestra Popolare, del Rialto, hanno inciso sul tessuto sociale. Se questi spazi ci fossero ancora, la città sarebbe molto diversa.

Quindi bisogna tornare a occupare?
Premesso che occupare non è una pratica da demonizzare, bisogna avere gli spazi. Ci sono tanti spazi che possono essere dati in concessione. Un sindaco intelligente dovrebbe provare a immaginarsi una gestione diversa di questi spazi, civica, concordata. Ma deve fidarsi degli interlocutori.

Rendere quindi operativa la delibera 104?
Esattamente, altrimenti diventa un dispositivo inefficace. A che cosa serve fare i pronunciamenti in Consiglio comunale, se non si capisce che le persone riunite in assemblea a Spin Time he hanno diritto a uno spazio in cui lavorare ed esprimersi.
CREDITI FOTO: CLAUDIA BORGIA



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