Assange: basteranno appelli, manifestazioni, film e proteste per liberarlo?

Il co-fondatore del sito WikiLeaks è ancora imprigionato a Londra, dopo tre anni e sette mesi trascorsi a Belmarsh, carcere di massima sicurezza. Il suo delitto? Quello di avere detto la verità e averla fatta conoscere al mondo, "rendendo pubblici i crimini di alcuni governi che erano stati secretati ingiustamente".

Rossella Guadagnini

Lo scorso 10 dicembre, Giornata Mondiale dei Diritti Umani promossa dall’Onu in Italia e nel mondo con il tema la “Dignità, Libertà e Giustizia per Tutti”, è stata l’occasione per i gruppi di sostegno a Julian Assange di dedicare le loro numerose manifestazioni a favore della liberazione del giornalista australiano. Il co-fondatore del sito WikiLeaks infatti è ancora imprigionato a Londra, dopo tre anni e sette mesi trascorsi a Belmarsh, carcere di massima sicurezza. Il suo delitto? Quello di avere detto la verità e averla fatta conoscere al mondo, “rendendo pubblici i crimini di alcuni governi che erano stati secretati ingiustamente”, come sottolineano i comitati Free Assange Italia e 24hAssange.

Il giornalista è sottoposto a un duro regime di detenzione senza processo e, quindi, senza aver ricevuto una sentenza che giustifichi una pena giudicata “sproporzionata” anche dal gruppo di lavoro delle Nazioni Unite sulla detenzione arbitraria. La sua reclusione – ricordano i sostenitori – è “una palese negazione del suo diritto alla giustizia”. L’isolamento totale inflitto ad Assange dal Regno Unito e quello che gli Stati Uniti vorrebbero infliggergli a vita, con una condanna a 175 anni in una prigione Usa di massima sicurezza, qualora riuscissero a farlo estradare nel loro Paese, dimostrano il terrore suscitato nei due governi anglosassoni dalla sua persona e da ciò che egli potrebbe ancora rivelare dei loro crimini e illeciti, qualora  fosse libero o, perlomeno, qualora “egli avesse accesso a un computer o ad altri strumenti di comunicazione”.
Un gruppo di parlamentari del Brasile ha approvato, di recente, una risoluzione che esorta le autorità americane a ritirare le accuse contro Julian Assange. In una lettera inviata al Presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, e alla Speaker della Camera dei Rappresentanti, Nancy Pelosi, i parlamentari esprimono la loro contrarietà all’estradizione di Assange, da processare in territorio nordamericano, e “avvertono che questo fatto creerebbe un precedente negativo per la libertà di espressione e il libero esercizio della stampa in tutto il mondo”. Il sostegno al giornalista si è manifestato in una riunione dei banchi della Federazione, alla Camera dei Deputati, alla quale hanno partecipato il caporedattore di WikiLeaks, Kristinn Hraffsson, e Joseph Farrell, ambasciatore di WikiLeaks.
Ecco il testo della lettera: “Vi scriviamo come parlamentari brasiliani per esprimere la nostra preoccupazione collettiva per la richiesta statunitense di estradizione del giornalista ed editore, Julian Paul Assange, dal Regno Unito agli Stati Uniti”, sostengono nella missiva in spagnolo, che poi sottolinea l’influenza che “il precedente di questa estradizione creerebbe per la libertà di espressione e di stampa in tutto il mondo”. E’ interessante soprattutto la motivazione addotta: “la natura politica del reato ne vieta l’estradizione. L’accusa emessa contro Assange il 24 giugno del 2020 contiene 18 accuse, tutte relative esclusivamente alle pubblicazioni di documenti del governo degli Stati Uniti del 2010. Le accuse da 1 a 17 sono state avanzate in base alla legge americana di spionaggio (l’Espionage Act, che risale al 1917), nonostante il fatto che oggi lo spionaggio sia ampiamente riconosciuto come reato politico ai sensi del diritto internazionale. Il trattato di estradizione Regno Unito-Usa, che ha costituito la base della richiesta di estradizione, vieta specificamente all’estradizione per i reati politici. Così come la Convenzione Europea sull’Estradizione del 1957 e la Convenzione Europea sui Diritti Umani o il Modello di Trattato di Estradizione delle Nazioni Unite, la Costituzione dell’Interpol e altri trattati bilaterali ratificati dagli Usa. Anche questo principio è sancito nel Sistema interamericano dei diritti umani”.

Assange, secondo i brasiliani, ha adottato “pratiche che sono essenzialmente del giornalismo investigativo, che includono la ricezione di informazioni classificate da una fonte all’interno del governo, quando pubblicare queste informazioni è un fatto di pubblico interesse. Le accuse contro di lui criminalizzerebbero queste pratiche, che sono protette dal Primo Emendamento alla Costituzione degli Stati Uniti”. Quindi viene ricordata la posizione di Obama che aveva ragione, quando “ha rifiutato di perseguire Assange per spionaggio, perché è una criminalizzazione dell’esercizio del giornalismo”.
Quanto è capitato al fondatore di Wikileaks serve a intimidire tutti i giornalisti, specie quelli investigativi. La sua  prigionia rappresenta anche un memento e un attacco alla libertà di stampa, tutelata dall’articolo 19 nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani. A Roma gli attivisti di FreeAssange Italia nella loro manifestazione del 10 dicembre a Porta Pia, davanti all’Ambasciata Britannica, in collegamento con un analogo evento davanti alla prigione di Belmarsh, dove è rinchiuso l’australiano, hanno organizzato un sit in- cui partecipato anche il presidente della Federazione Nazionale della Stampa, Giuseppe Giulietti. E’ stata composta una pila di scatole-regalo e letto al microfono le relative etichette, ognuna delle quali menzionava una rivelazione di WikiLeaks e il corrispondente diritto umano che è stato così tutelato. Altri hanno ‘ricreato’ l’opera di Davide Dormino, “Anything to say?”, con Assange, Snowden e Manning a rammentare i diritti umani negati, seduti accanto a un sedile vuoto con un punto interrogativo: chi sarà il prossimo?
La Giornata dei diritti umani e dei quelli di Assange è stata celebrata con successo in molte altre città italiane e nel mondo: da Venaus (Torino) a Trieste: e poi Milano, Venezia, Reggio Emilia, Perugia, Napoli e Palermo, mentre all’estero si è manifestato non solo a Londra e Berlino, ma anche a Girona in Spagna, in Belgio e  Portogallo.  Il comitato 24hAssange ha creato una mappa in cui si possono leggere i nomi delle diverse città e delle proteste effettuate dai molti che sono scesi in piazza in segno di solidarietà.
Domani martedì 13, infine, ricordiamo che nella capitale, al “Nuovo cinema Aquila” sarà proiettato -in prima visione nazionale- il film “Ithaka”, diretto da Ben Lawrence e prodotto dal fratello di Julian, Gabriel Shipton. Un ritratto privato e politico di una persona perseguitata per avere svelato i segreti del potere. Il film è stato di recente rifiutato dai Festival del cinema di Roma e Torino. La serata, promossa dalla testimonial di Amnesty International  Isabella Russinova, vedrà l’intervento della responsabile delle campagne dell’associazione Tina Marinari. Prima del film sarà diffuso un video di montaggio con i contributi di numerose personalità del mondo della cultura e dello spettacolo, curato dal comitato “La mia voce per Assange”. Saranno presenti, tra gli altri- la coordinatrice Grazia Tuzi, Flavia Donati, Giuseppe Gaudino e Laura Morante.
Basteranno eventi e proteste, sit-in, articoli, interviste, film e prese di posizione? Il potere è quel che è, per parafrasare Erich Fried. Il poeta lo diceva dell’amore, ma questo è un altro argomento. A noi intanto per Assange – come per la guerra e le donne dell’Iran – in questo momento occorrono soprattutto dignità, libertà e giustizia. Per uno, per tutti.



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