Assange: estradizione sospesa finché gli Usa non forniranno maggiori garanzie

L’Alta Corte di Londra ha stabilito che Julian Assange, fondatore di WikiLeaks, non può essere immediatamente estradato negli Stati Uniti: le autorità americane devono prima offrire garanzie sul suo trattamento, compresi i diritti derivanti dal Primo Emendamento e la tutela dalla pena di morte.

Redazione

L’Alta Corte di Londra ha stabilito che Julian Assange, fondatore di WikiLeaks, non può essere immediatamente estradato negli Stati Uniti: le autorità americane devono prima offrire garanzie sul suo trattamento, compresi i diritti derivanti dal Primo Emendamento e la tutela dalla pena di morte. La Corte ha stabilito che concederà il permesso di ricorrere in appello per motivi limitati, a meno che non venga fornita una garanzia soddisfacente da parte del governo degli Stati Uniti d’America, cui sono state concesse tre settimane a questo scopo. Se tali assicurazioni non verranno fornite, allora ad Assange verrà concesso il diritto a un’udienza di appello completa. Se gli Stati Uniti forniranno invece le garanzie richieste, ci sarà un’ulteriore udienza il 20 maggio per decidere se “sono soddisfacenti e per prendere una decisione definitiva sull’autorizzazione al ricorso”. Riproponiamo qui di seguito l’articolo di Rossella Guadagnini scritto il 16 febbraio scorso.

“Day X” lo chiamano i sostenitori di Julian Assange: è il momento in cui si conoscerà il suo destino. Tra il 20 ed il 21 febbraio, infatti, sarà riunita l’Alta Corte di Giustizia Britannica per decidere in merito all’istanza d’appello, presentata dai legali del giornalista australiano, al fine di scongiurare la sua estradizione negli Stati Uniti. Questo provvedimento lo sottoporrebbe a un processo per 18 capi d’imputazione, in cui rischia un condanna fino a 175 anni di reclusione, oltre ai quattro che il fondatore di Wikileaks ha già trascorso, senza alcun processo e in regime di isolamento, nella prigione di massima sicurezza di Belmarsh a Londra, detta la Guantanamo inglese. Che hanno seguito alla ‘reclusione’ volontaria nell’ambasciate dell’Ecuador nella capitale britannica per sfuggire a chi voleva incarcerarlo.
La storia incredibile di Assange assomiglia a una matrioska: più si torna indietro e più si trovano condanne per reati mai commessi. Dal presunto stupro in Svezia degli anni 10 ai giorni nostri. Assange ha subito condanne, ingiustizie, negazioni per nascondere, mascherare e delegittimare le verità che ha condiviso con il mondo.
È accusato di aver ottenuto e divulgato illegalmente documenti classificati relativi alla difesa nazionale degli Usa, comprese prove che rivelano crimini di guerra compiuti dagli americani in Iraq e Afghanistan. Tuttavia le carte pubblicate da Wikileaks fino a oggi non avrebbero causato alcun danno alla rete di persone coinvolte, stando alle cronache. Ma allora cos’è che ha messo in moto l’infernale macchina da guerra di un processo che – secondo alcuni – è il caso Dreyfus del XXI secolo?
Alice Jill Edwards, relatrice speciale delle Nazioni Unite sulla tortura, ha di recente chiesto al governo del Regno Unito di bloccare la possibile estradizione di Julian Assange negli Usa. L’esperta ha invitato le autorità britanniche a valutare l’appello del fondatore di Wikileaks “alla luce del timore fondato che, se estradato, sarebbe a rischio di trattamenti equivalenti alla tortura o ad altre forme di maltrattamento o sevizie”.
“Assange soffre di un disturbo depressivo ricorrente e di lunga data. È considerato a rischio di suicidio. Negli Stati Uniti deve rispondere di numerose accuse, anche in base a una legge sullo spionaggio del 1917 per la presunta diffusione illegale di cablogrammi e documenti diplomatici e di altro tipo tramite Wikileaks. Se estradato, potrebbe essere detenuto in isolamento prolungato in attesa del processo o come prigioniero. Potrebbe essere condannato fino a 175 anni di carcere”, ha dichiarato Edwards.
“Il rischio di essere messo in isolamento prolungato, nonostante il suo precario stato di salute mentale, e di ricevere una condanna potenzialmente sproporzionata, solleva dubbi sulla compatibilità dell’estradizione del signor Assange negli Stati Uniti con gli obblighi internazionali del Regno Unito in materia di diritti umani. In particolare ai sensi dell’articolo 7 del Patto internazionale sui diritti civili e politici, nonché dei rispettivi articoli 3 della Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura e della Convenzione europea sui diritti umani”, ha aggiunto la relatrice speciale dell’Onu.
“Le assicurazioni diplomatiche di trattamento umano fornite dal governo degli Stati Uniti non sono una garanzia sufficiente per proteggere Assange da questo rischio”. – ha continuato Edwards – “Non sono legalmente vincolanti e hanno una portata limitata”. Pertanto “invito il governo del Regno Unito a rivedere attentamente l’ordine di estradizione del signor Assange, al fine di garantire il pieno rispetto del divieto assoluto e inderogabile di consegna alla tortura o ad altre forme di trattamento o di punizione crudeli, inumani o degradanti. Invito inoltre a prendere tutte le misure necessarie per salvaguardare la salute fisica e mentale del signor Assange”.
La relatrice Onu segue perciò le orme del suo predecessore, Nils Meltzer, autore de Il processo a Julian Assange (pubblicato in Italia da Fazi editore) in cui si racconta  – come recita il sottotitolo – la storia di una persecuzione. E come altro si può definire l’accanimento su un uomo a cui è stata preclusa qualsiasi forma di esistenza e di espressione?
In Italia intanto si moltiplicano le iniziative per concedere la cittadinanza onoraria al fondatore di Wikileaks. La Giunta comunale di Bari ha approvato poco tempo fa la delibera che conferisce ad Assange ufficialmente la cittadinanza onoraria, a seguito del voto unanime in Consiglio Comunale del 28 Dicembre scorso. “È un segnale importante da parte del sindaco Antonio Decaro, presidente dell’Anci”. – sostengono gli attivisti dell’associazione Free Assange Bari – “Ci auguriamo che questa notizia possa dare slancio a tutto il Paese nel proseguire la lotta per la sua liberazione”. Una battaglia che riguarda non solo la sua persona, ma la libertà dell’informazione nel mondo occidentale di cui Assange è divenuto il simbolo.
Il 15 febbraio il Comune di Roma ha attribuito la cittadinanza onoraria della capitale al giornalista australiano. Un gesto simbolico, ma significativo: “Civis romanus sum” dicevano i latini con orgoglio. Frase ripetuta da diversi personaggi storici, per far valere i privilegi concessi loro dall’avere la cittadinanza romana. Anche ai prigionieri, se potevano vantare tale prerogativa, veniva riservato un trattamento di favore. E se c’è un prigioniero che negli ultimi anni è stato al centro dell’attenzione nel mondo è proprio Julian Assange.
Sua moglie, Stella Moris, che ha sposato in carcere, è un’avvocata sudafricana che difende i diritti umani. In una conferenza stampa a Londra, tenuta nello stesso giorno dell’attribuzione del riconoscimento capitolino, ha lanciato l’allarme, sostenendo che “se Julian verrà estradato morirà”. Descrive un uomo molto provato, sia psicologicamente che fisicamente, che “rischia ogni giorno la vita in carcere”. La detenzione rigida lo ha logorato e le forze diminuiscono sempre più col passare dei giorni. Nel caso in cui l’appello dovesse essere respinto dalla Corte suprema, ha aggiunto Moris, Julian si rivolgerà alla Corte Europea per i diritti dell’uomo contro quello che definisce ”un caso politico”.
Si mostra preoccupato anche il primo ministro australiano, Anthony Albanese. Il Parlamento ha approvato a larga maggioranza, con 86 voti a favore e 42 contrari, la mozione presentata dal deputato verde Andrew Wilkie, che chiedeva di liberazione del fondatore di Wikileaks.
“Questo sarà il momento per tutti noi di prendere posizione, di stare dalla parte di Assange, di difendere i principi della giustizia, i principi della libertà dei media e i diritti dei giornalisti di fare il loro lavoro (…). Questa storia è andata avanti troppo a lungo e deve finire. Sono certo che se il Parlamento sosterrà questa mozione oggi, invierà un segnale politico molto forte al governo britannico e a quello statunitense”, ha dichiarato Andrew Wilkie, prima del voto, conclusosi con l’approvazione della mozione da lui presentata.
“L’accusa di spionaggio è una classica arma di offesa politica.Se la pubblicazione di notizie viene inquadrata come spionaggio o collegata ad una cospirazione tesa allo spionaggio, allora si giustifica un’estradizione di natura politica, impiegata a scopo di difesa”. Così Assange, che ha sempre difeso il diritto ad informarsi delle persone. Non siamo molto lontani dal clima di sospetto di Complotto contro l’America, di cui ha scritto Philip Roth. Solo che questo non è un romanzo di fantapolitica.
CREDITI FOTO: ANSA-ZUMAPRESS /Alexander Pohl



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