Vigilates armati e legittima difesa negli Stati Uniti: lezioni dall’assoluzione di Kyle Rittenhouse

Il caso Rittenhouse riaccende il dibattito sul diritto di armarsi e di andare in giro armati negli Stati Uniti. Una questione cruciale su cui sta per pronunciarsi la Corte Suprema.

Elisabetta Grande

Il 25 agosto 2020, durante la terza notte di protesta del movimento Black Lives Matter contro la violenza armata della polizia, il diciasettenne Kyle Rittenhouse si aggira per le strade di Kenosha Wisconsin con un kit di soccorso e il suo fucile semi automatico di tipo militare (stile AR-15) addosso, per portare ordine e sicurezza nella cittadina messa a ferro e fuoco dai manifestanti. Confrontandosi con Joseph Rosenbaum, che cerca di portargli via il fucile, lo ammazza. Fredda anche, sparandogli, Anthony Huber dopo che questi, avendolo rincorso per il timore che potesse ancora sparare e causare altre morti, gli tira in testa uno skateboard. Ferisce infine Gaige Grosskreutz che, nel tentativo di bloccarlo gli punta una pistola contro. Venerdì scorso, 19 novembre 2021, Kyle Rittenhouse è assolto da tutte le imputazioni – fra cui omicidio, tentato omicidio e messa in pericolo della vita altrui – mossegli dal prosecutor locale Thomas Binger. Dopo più di tre giorni di camera di consiglio, la giuria decide, infatti, che l’accusa non ha provato al di là di ogni ragionevole dubbio l’inesistenza degli estremi della legittima difesa, sollevata quale causa di giustificazione dai difensori di Kyle.

Secondo la legge del Wisconsin agisce in legittima difesa “chi usa una forza letale se crede ragionevolmente che quella forza sia necessaria per prevenire una morte imminente o un grave danno all’integrità fisica”. Ciò che rileva non è, insomma, se effettivamente la vita o l’incolumità fisica di chi si difende uccidendo sia in pericolo, ma se quest’ultimo ritiene che sia così, secondo un parametro di ragionevolezza. Si tratta di un criterio che, per quanto lo si voglia oggettivizzare – facendo riferimento allo standard dell’uomo medio che si trovi nelle stesse condizioni e circostanze – nella valutazione laica sfuma con facilità su un piano soggettivo e individuale. Difficilmente una giuria riesce, cioè, a evitare di mettersi nei panni di chi si difende, di tenere conto della sua prospettiva personale, delle sue paure –anche idiosincratiche – e spesso finisce per considerare sempre ragionevole la sua convinzione di doversi difendere da un pericolo di aggressione (assai seria o mortale) imminente, purché sia onesta. È quanto ci racconta chi, come George Fletcher, nel ricostruire ex post il percorso logico seguito dai giurati nel famoso caso Goetz – il vendicatore della pericolosa metropolitana di New York degli anni ’80 – dimostra come gli stessi (che, come si sa, non motivano le loro decisioni) tendano a filtrare la regola giuridica da applicare attraverso i parametri della “gente ordinaria”, così che “gli edifici giuridici eretti con la più grande cura si sgretolano al tocco del buon senso di giurati”[1]. Nel processo a carico di Goetz che, alla ripetuta richiesta di 5 dollari da parte di quattro giovani neri, aveva risposto sparando alcuni colpi di pistola – l’ultimo dei quali aveva reciso il midollo spinale di uno dei quattro paralizzandolo a vita –, la giuria infatti ritiene addirittura che l’onesto desiderio di difendersi escluda la volontà omicida, scartando a monte l’esistenza del reato.

Non è davvero, dunque, attraverso la via della condanna penale di chi finisce per usare l’arma che porta legittimamente con sé, che tante morti inutili potranno essere evitate nel futuro negli Stati Uniti. Per quanto possa sembrare vero il contrario, la soluzione non sta nel sanzionare, magari con la pena dell’ergastolo, un ragazzino di 17 anni che, autoproclamatosi tutore dell’ordine, spara e uccide credendo di doversi difendere. Così come il problema delle troppe vite assurdamente spezzate non risiede nell’assoluzione per legittima difesa dei vari vigilantes armati, come Bernard Goetz o ancora come George Zimmerman, che nel 2012 in Florida – nel corso di una ronda di vicinato – aveva sparato al giovane Trayvon Martin, scambiando il sedicenne nero per un pericoloso sospetto, colpevole in verità solo di essere andato una sera a comprarsi un pacchetto di caramelle e un thè al limone nel negozio sotto casa.

Il tema da affrontare, a monte, è invece il diritto di armarsi e di andare in giro armati che, solo allorquando trovi drastica limitazione, potrà garantire che nel futuro uno scontro fra due o più persone, in momenti concitati e di alta tensione emotiva, possa concludersi con un occhio nero invece che con uno o più cadaveri. È noto come nel 2008[2], e poi nel 2010[3], rovesciando il suo precedente orientamento giurisprudenziale, la Corte Suprema statunitense abbia dichiarato costituzionalmente protetto dal secondo emendamento il diritto dei cittadini americani di possedere un’arma. Il tema ancora aperto, tuttavia, è se e quanto sia concepibile una pari tutela in relazione al porto d’armi. Il diritto di possedere un’arma da fuoco significa, cioè, avere anche il diritto di andare in giro con quell’arma, che eventualmente potrebbe essere anche un fucile d’assalto – come nel caso di Kyle Rittenhouse – magari mettendola pure in bella mostra, oppure no?

È questa la cruciale questione che proprio in questa sessione la Corte Suprema sta affrontando, alla luce dei tanti Stati che negli ultimi anni hanno concesso con sempre maggiore generosità ai propri cittadini la possibilità di girare armati, a volte addirittura senza necessità di un porto d’arma o di superare basilari test di sicurezza. A differenza di qualche tempo fa, in moltissimi Stati – fra cui il Wisconsin – le cosiddette open carry laws consentono poi a chi ha il permesso di portare armi, e a volte perfino a chi non ce l’ha, di andare in giro tenendo in bella mostra pistole e fucili (anche d’assalto) non solo per le strade, ma anche nei ristoranti, nelle biblioteche, nelle chiese, nelle scuole o nei parchi. In almeno venti Stati è inoltre consentito di ottenere il porto d’armi anche a pregiudicati per reati violenti.

Si tratta di leggi che, estendendo esponenzialmente la possibilità di invocare un diritto di difesa armata, finiscono per accrescere il numero dei morti ammazzati. È un diritto ad armarsi che dà priorità al desiderio di giocare ai cow-boys rispetto alle vite dei troppi di loro che di quel gioco diventano vittime, siano essi i tanti Kyle Rottenhouse, che si armano per collaborare a riportare l’ordine e la sicurezza, oppure i molti che da quelli come lui sono uccisi.

Nel 2012 il giudice Richard Posner, scrivendo l’opinione per la maggioranza del settimo circuito federale, ha interpretato il secondo emendamento nel senso che il diritto di difendersi armati va oltre l’ipotesi di chi si trovi a casa propria. Da qui la dichiarazione di incostituzionalità di una legge dell’Illinois, che restringeva la possibilità di ottenere il porto d’armi a coloro che lo richiedessero per particolari e dimostrabili motivi. Di opposto parere è stata, nel 2017, la Corte del nono circuito che, per la penna di maggioranza di Willy Fletcher, ha invece mantenuto in vigore una legge analoga approvata in California.

Nel risolvere il contrasto fra circuiti, in relazione a una legge dello Stato di New York che limita il diritto di portare le armi fuori casa, sta adesso alla Corte Suprema fare tesoro di quanto accaduto a Kenosha il 25 agosto dell’anno scorso. Le probabilità che ciò accada paiono però per il momento parecchio limitate e in molti già scommettono che i giudici supremi si schiereranno con Richard Posner piuttosto che con Willy Fletcher.

NOTE

[1] George Fletcher, Eccesso di difesa, Giuffrè, 1995, traduzione italiana di A Crime of Self-Defense. Bernhard Goetz and the Law on Trial, Mac Millan, 1988, p.221.

[2] Con il caso District of Columbia v. Heller

[3] Con il caso Mc Donald v. City of Chicago

(Credit foto Mark Hertzberg/ZUMA Press Wire)



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