Siamo più cattivi? E anche più vigliacchi. Vedi gli attacchi a Michela Murgia

Pierfranco Pellizzetti

Stiamo diventando sempre più cattivi? Ebbene sì, ma anche molto più vigliacchi e condiscendenti verso l’incattivimento.

La battagliera Michela Murgia segnala nel talk show della sera le intimidazioni di cui è vittima da quando ha legittimamente criticato il lunare generale Figliuolo e la sottosegretaria alla difesa – la leghista Stefania Pucciarelli – ne accredita le aggressioni (per ora fortunatamente solo verbali) emettendo una nota in cui accusa l’opinionista di aver recato offesa alla divisa; dunque, denigrato le nostre gloriose forze armate. Un fatto che dovrebbe indignare la categoria. Ma così non è: ormai tale Parnaso annovera in larga misura sedicenti professionisti più interessati a esprimere fedeltà vassallatica alla propria parte politica o blandire il proprio lettore medio, da fidelizzare assecondandone le insofferenze, che non a coltivare libertà di pensiero.

Difatti Sandro Sallusti, nella costante dedizione alle aspettative del proprio datore di lavoro (quale direttore de il Giornale di cui è proprietaria la famiglia Berlusconi), intorbida le acque accusando la Murgia di detenere un potere sostanziale che la mette sullo stesso piano dei suoi assalitori ministeriali e/o militari. Oscenità per chi pretende di appartenere alla tradizione del cane da guardia dei cittadini nei confronti dei potenti, grazie alla sola arma della propria penna. Ma altrettanto sconfortante è assistere al ponziopilatismo di Beppe Severgnini, che non trova di meglio dell’unirsi a bacchettare la Murgia per accreditarsi “moderato” agli occhi del proprio target.

Ormai siamo allo scontro per bande e al tifo da stadio. Appunto sempre più cattivi. Un processo che viene da lontano. Dall’autunno della Prima Repubblica, quando la matrice del discorso pubblico subisce una mutazione indotta dai nuovi stilemi in auge nel medium televisivo. Nella prima rottamazione di un personale politico ma anche di buone maniere reputate anacronistiche. Con i politici da strada alla Marco Pannella nel ruolo dei guastatori post-modernisti.

Nel salotto RAI di Maurizio Costanzo Vittorio Sgarbi scopre le delizie del fare il personaggio grazie all’anticonformismo lessicale (l’uso per la prima volta del termine “str…” in una diretta televisiva del marzo 1989) e Bettino Craxi irride un riverito maestro quale Norberto Bobbio apostrofandolo “intellettuale dei miei stivali”; intanto il suo mentore Rino Formica teorizza la politica come “sangue e m…”. Poi, dal laboratorio rampante di spregiudicati uomini nuovi arriva Silvio Berlusconi; lo sdoganatore definitivo, non solo del post-fascista Fini ma anche dell’estremismo verbale. Nella cassa di risonanza del primo personale di partito selezionato secondo la logica aziendalistica degli yes-men: Forza Italia. Così la cattiveria diventata strumento di bastonatura politica amplificata dalle tecnologie comunicative. Per cui Rosi Bindi viene derisa in quanto “più bella che intelligente” (e il coro della piaggeria non si perita di osservare che neppure l’ex Cavaliere è un adone); Beppe Grillo orchestrerà nel febbraio 2014 uno stupro virtuale in auto a danno di Laura Boldrini; non presagendo che chi di spada ferisce… Sicché, quando Matteo Renzi pubblica nei social l’indirizzo dell’abitazione di Corrado Formigli – ad uso di supporter disponibili, passando a vie di fatto, a fargli pagare le critiche rivolte all’italo vivo – si muove all’interno di questa non certo apprezzabile deriva. Diventata costume.

Alla base di tutto ciò c’è l’occupazione manu militari del campo pubblico di una maleducazione che stinge rapidamente nella canaglieria. E lo fa perché le viene fatto passare ogni eccesso. Perché siamo così mitridizzati da concedere ai nuovi barbari l’alibi ipocrita della spontaneità; nella liquidazione della civiltà dei modi come un ferrovecchio inservibile. E non andiamo in soccorso di una ragazza coraggiosa, dal delizioso accento del Campidano, quando propugna il principio della decenza.



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