Quelle bandiere da evitare alle manifestazioni contro la guerra

In alcune piazze per la pace è, per fortuna sporadicamente, comparsa la bandiera rosso e nera, simbolo dei neonazisti ucraini.

Giuseppe Florio

È comparsa durante la manifestazione contro la guerra in Ucraina, organizzata a Caserta lo scorso 27 febbraio, dove padre Ihor Danylchukil, sacerdote greco-cattolico della città, attivo anche nel reclutamento di volontari per il fronte ucraino, ha addirittura deciso di indossarla. Ma è stata avvistata anche in altre piazze italiane, riunite in solidarietà con il popolo ucraino. Si tratta di una bandiera rossa e nera che, seppure fortunatamente solo in casi sporadici, ha fatto nuovamente la sua comparsa in questi giorni. Ma di cosa si tratta e perché sarebbe opportuno evitarla in un momento come questo?

Vladimir Putin, nell’annunciare l’invasione dell’Ucraina, ha parlato apertamente di “denazificazione” del Paese. Quella dell’Ucraina nazista o in mano a una junta (sic!) di nazisti è un argomento molto popolare anche nelle Repubbliche popolari di Donetsk e Luhansk. Un’etichetta che è stata affibbiata a tutti i 3 governi sorti dopo JevroMaidan (Turčynov, Porošenko, Zelensky).

La narrazione del Cremlino e delle Repubbliche autoproclamate, infatti, tende a identificare l’intero movimento di JevroMaidan – e la classe dirigente sorta dalle sue ceneri – con i gruppi estrema destra (Svobova, Pravyj Sektor). A maggior ragione, perché sono stati proprio questi gruppi a organizzare e finanziare i primi battaglioni paramilitari per combattere contro le due Repubbliche separatiste (tra questi Azov, Aidir, Tornado, OUN), accusati dalla popolazione delle suddette Repubbliche di una serie di crimini di guerra contro i civili, soprattutto nel primo periodo del conflitto (aprile 2014), prima che fossero presenti osservatori internazionali.

Sebbene il ruolo di questi gruppi estremisti durante le proteste di JevroMaidan e nel conflitto in Donbass sia innegabile, più discutibile è il loro effettivo peso politico nei governi post-Maidan. Nonostante la visibilità e popolarità avuta tra la fine del 2013 e l’inizio del 2014, alle elezioni di ottobre 2014, infatti, Svoboda (che aveva fatto parte della coalizione del governo ad interim di Oleksandr Turčynov, proclamato a febbraio 2014) otterrà solo il 4.7% dei voti al proporzionale, non superando la soglia di sbarramento del 5%, ma ottenendo comunque 6 seggi nei collegi uninominali, mentre Pravij Sektor otterrà l’1.8% e solo 1 seggio agli uninominali. Alle elezioni del 2019, invece, Svoboda ha ottenuto 1 solo seggio alla Rada (Parlamento ucraino) contro gli 0 ottenuti da Pravij Sektor.

Ma cosa lega quei gruppi alla bandiera apparsa a Caserta? La bandiera rossa e nera è diventata nota al grande pubblico europeo proprio in occasione delle proteste del 2013, quando venne adottata da una serie di piccoli gruppi di estrema destra, che decisero di unirsi sotto l’egida di “Pravyi Sektor” (Settore Destro). Oltre alla bandiera, il gruppo ha adottato come simbolo anche il Tridente (tryzub) stilizzato, mutuato a sua volta da altri gruppi di estrema destra ucraini, attivi soprattutto a partire dagli anni Novanta e Duemila.

Entrambi i simboli, però, hanno una storia più antica e si collocano in quel controverso processo di revisione storica del passato ucraino avviato dal presidente Viktor Juščenko tra il 2005 e il 2010, in un’ottica di fortificazione dell’identità nazionale. La bandiera rosso-nera è infatti stata, a partire dai primi anni Quaranta, la bandiera dell’UPA, l’Esercito Insurrezionale Ucraino, ala paramilitare dell’OUN, l’Organizzazione dei Nazionalisti Ucraini nata nel 1929 dalla fusione di diversi gruppi nazionalisti ucraini. Scopo del gruppo, che ideologicamente si rifaceva al fascismo italiano, era creare uno Stato che riunisse tutti gli ucraini, cercando l’indipendenza sia dalla Polonia che dall’Unione Sovietica. Intorno al 1940, con il patto Molotov-Ribbentrop e la divisione della Polonia, l’Ovest del Paese passò sotto il controllo sovietico. Fu in quel momento che il movimento si scisse in un’ala moderata (OUN-M) e in un’ala rivoluzionaria OUN-B, guidata da Stepan Bandera. Qui la storia si intorbidisce. Nel 1941, infatti, l’OUN decise di collaborare con la Germania nazista in funzione anti-sovietica, partecipando alla nascita del Battaglione Nachtigall, sotto il comando dell’esercito nazista. Fu in quella occasione che l’OUN si sarebbe macchiata di crimini di guerra contro la minoranza ebraica di Vinnytsja (Ucraina Centrale).

Pochi giorni dopo l’inizio dell’Operazione Barbarossa, però, l’OUN emanò la Dichiarazione di Indipendenza dell’Ucraina, prendendo il controllo dell’Ovest del Paese. L’atto portò all’arresto, da parte della Gestapo, dei capi del Movimento (incluso Bandera). Tuttavia, tra il 1943 e il 1945, l’OUN-B, e il suo braccio armato UPA, ebbero un ruolo di controllo in Galizia e Volinia, dove si sarebbero macchiati del massacro della minoranza polacca dell’area, in un’ottica di pulizia etnica. Si stima che le vittime siano state tra le 50 e le 100 mila. Sebbene sia un personaggio controverso, considerato un criminale di guerra in Polonia e dagli ebrei ucraini, nel 2010 Bandera è stato proclamato Eroe d’Ucraina dall’allora presidente Viktor Juscenko.

In questo contesto, l’appello del presidente ucraino Volodymir Zelensky ai combattenti stranieri può rappresentare un pericolo enorme. Se dovesse riproporsi lo scenario del 2014, sarebbe assolutamente probabile che dall’Europa (e dall’Italia) partano alla volta dell’Ucraina militanti e combattenti italiani di estrema destra (in particolare CasaPound). Come forse si ricorderà, già nel 2014 l’ultradestra italiana si divise tra gruppi vicini ai nazionalisti ucraini (come appunto CasaPound) e gruppi vicini ai separatisti (Forza Nuova e altri).

La presenza di quelle bandiere e di quei simboli nelle manifestazioni di piazza in Italia, e l’attenzione mediatica che probabilmente verrà riservata ai militanti che forse partiranno per il fronte ucraino, rischiano quindi di creare la situazione congeniale per dare manforte alla narrazione del Cremlino. Il tutto, senza che spesso il pubblico italiano, che con sincera partecipazione sta prendendo parte alle manifestazioni, abbia la possibilità di rendersi conto dei messaggi che, in maniera più o meno volontaria, vengono veicolati dai simboli.

 



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