Barbarie, la scusa perfetta

La barbarie è la causa più comunemente indicata da coloro che, con più o meno fermezza, hanno condannato l'attacco a Salman Rushdie. Ma come possiamo ancora pronunciare simili sciocchezze dopo l'insopportabile litania di massacri ed esecuzioni perpetrate in tutto il mondo in nome dell'islam?

Gérard Biard

È chiaro: Salman Rushdie, colpito più volte al collo, all’addome e al braccio da un fanatico religioso mentre era in procinto di partecipare a una conferenza, è stato vittima della “barbarie”. È la causa più comunemente indicata da coloro che, con più o meno fermezza, hanno condannato questo attacco. È pratica, non costa niente. Sta con tutto e con niente. Non ha nome, volto, religione, Paese e non fa politica. Inoltre, nei primi commenti, abbiamo potuto leggere o sentire che l’aggressore aveva agito per ragioni “ancora vaghe”. Insomma, ci si perde in congetture.

Come possiamo ancora pronunciare simili sciocchezze? Dopo gennaio e novembre 2015, dopo Nizza, dopo Bruxelles, dopo Strasburgo, dopo Manchester, dopo Samuel Paty, dopo l’insopportabile litania di massacri ed esecuzioni perpetrate in tutto il mondo in nome dell’islam? E in quale cloaca di incoscienza, vigliaccheria o perversione macerano coloro che le pronunciano?

Nessuna “vaghezza” circonda la tentata esecuzione di Salman Rushdie. Si tratta di un crimine religioso, commesso da un idolatra rabbioso le cui motivazioni non lasciano spazio ad alcuna ambiguità, né ad alcuna possibile “abolizione del discernimento”, tanto pratico da invocare quando si vogliono evitare questioni che offendono le “convinzioni”. È un crimine di Stato, ordinato da un regime totalitario e terroristico, l’Iran, in nome di un culto che pretende di imporsi con la forza e con la paura sull’intera umanità. Nessun religioso iraniano ha mai cancellato la fatwa di morte lanciata dall’ayatollah Khomeini, né i cosiddetti “moderati” né gli altri. In nome di questa fatwa, il traduttore giapponese di Rushdie è stato pugnalato a morte nel 1991 e il suo editore norvegese è stato gravemente ferito due anni più tardi.

Ma si tratta anche di un delitto che tante altre religioni vorrebbero perpetrare con altrettanto entusiasmo (si legga l’editoriale di Riss). È un delitto che è stato fomentato con la complicità, non sempre passiva, di migliaia di piccoli dandy e snob insignificanti, a volte essi stessi letterati, che, ben incastrati su una poltrona in un salotto borghese di una capitale occidentale, hanno consapevolmente scelto il campo dell’oscurantismo assassino contro l’irrispettoso, il “blasfemo”, l'”islamofobo”. È un crimine che ha potuto compiersi perché molti politici cinici hanno preferito condannare lo scrittore piuttosto che coloro che lo hanno minacciato. Il più famoso di tutti resta il nostro simpaticissimo Jacques Chirac, che di Rushdie ha detto: “Non ho alcuna stima per lui né per le persone che usano il blasfemo per fare soldi, come quel venditore di fumo – peso le mie parole – che va sotto il nome di Scorsese, l’autore di un pessimo film, L’ultima tentazione di Cristo. Quando scateni l’irrazionale, non devi sorprenderti di quanto succede dopo”. Sul suo letto d’ospedale, ancora tra la vita e la morte nel momento in cui queste righe vengono scritte, lo scrittore è quindi pregato di non stupirsi…

Il boia di Salman Rushdie non è venuto da solo, armato della sua fede fanatica e dell’ordine di esecuzione iraniano. Aveva dietro di sé 33 anni di codardia, bassezza, tradimento, ignominia. Nella sua ombra brulicava una moltitudine di alleati e di utili sciocchi. Sono anche loro colpevoli del reato? In ogni caso, non hanno fatto nulla per fermare il braccio dell’assassino. Anzi.

(traduzione dal francese di Ingrid Colanicchia)

L’articolo è uscito originariamente il 16 agosto 2022 su Charlie Hebdo, con il titolo “La barbarie a bon dos“.

Credit foto: Alexander Baxevanis, via Wikimedia Commons, CC BY 2.0.



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