Basta paragoni tra Gaza e l’Olocausto. Una lettera alla redazione

Nonostante la risposta del governo di Netanyahu ai feroci attacchi di Hamas del 7 ottobre sia "scandalosamente eccessiva", chi continua a paragonare i bombardamenti su Gaza allo sterminio nazista degli ebrei commette un atto di disonestà intellettuale. 

Fabio Della Pergola

Dopo tanti mesi di guerra e di dibattito sempre al limite (e spesso oltre) del mandarsi a quel paese anche tra vecchi amici o perfino parenti, siamo tutti un po’ esausti.
Figuriamoci come devono stare gli abitanti di Gaza! O gli ostaggi che, mi sembra, in questo momento sono gli ultimi degli ultimi: non solo innocenti (e fra loro anche lavoratori asiatici, che non hanno nemmeno l’inesistente colpa di essere israeliani). Non solo sotto le bombe come tutti, non solo affamati e terrorizzati come e più di tutti, chiusi come sono probabilmente nelle celle ricavate in quei cunicoli. Non solo privi anche della speranza di poter andare a respirare un po’ d’aria nei rari momenti di tregua che l’assurda cocciutaggine dei rispettivi leader politici rende così evanescenti, ma anche puramente e semplicemente “dimenticati”. Atrocemente dimenticati anche dalle sdegnate proteste di chi chiede il cessate il fuoco ora, ma non si rende conto che dimostrerebbe palesemente un più realistico e credibile “restare umani” se ci fosse l’aggiunta, a quella richiesta, anche di un “liberate gli ostaggi ora!” Ma questo non usa, o usa poco, non pare bello, forse un po’ fastidioso, si direbbe.
Eppure, bisogna occuparsi anche del dibattito e del tifo da stadio tra chi “sta” per l’uno o per l’altro e così raramente “sta” per una soluzione della guerra dei cent’anni, che da conflitto arabo-ebraico è diventato arabo-israeliano e infine israelo-palestinese. Che poi “stare per la soluzione del conflitto” pare facile, ma mica è vero. Ci prova Pancho Pardi su queste pagine: “Terra in cambio di pace, Israele rinunci alla Cisgiordania” e il gioco è fatto (lo stesso slogan che si beccò, ahimé, i “tre no di Khartoum” nel 1967). E poi, come la mettiamo con lo statuto di Hamas che quella terra la vuole tutta?
Occuparsi di questo dibattito significa anche farsi carico dell’annoso problema, un po’ stucchevole ma esistente, del tema antisemitismo-antisionismo.
Che riaffiora in continuazione, basta scavare un po’ e riappare. Gli argomenti che ho individuato, lo fanno tanti altri meglio di me per capacità di approfondimento e di sintesi, li ha riassunti in un articolo del 14 marzo Iain Chambers sul Manifesto: la responsabilità della Shoah è dell’Occidente (e di chi altro sennò?), “eppure una ennesima impennata colonialista ha fatto sì che siano gli arabi, e i palestinesi in particolare, a convivere con le sue conseguenze omicide”. l’Occidente, sterminando gli ebrei, ha poi fornito loro “strumenti e linguaggio al progetto coloniale del sionismo”, continua Chambers. Quindi “il senso di colpa occidentale per l’Olocausto” che porta a “difendere Israele, si risolverà nel trovare una nuova legittimazione al meccanismo stesso – la costituzione coloniale della modernità occidentale – che ha reso possibile l’Olocausto.”
Il parallelo quindi è presto fatto: il sionismo non è diverso per origine ed essenza (la costituzione coloniale della modernità occidentale) da quell’Occidente che ha sterminato gli ebrei. Con buona pace di tutti i necessari e irritanti (lo rinfacciano sempre: “non mollate mai!”) distinguo tra genocidio e non-genocidio (cioè sterminare un popolo per quello che è o colpire un nemico per quello che ha fatto), tra colonialismo imperialista e immigrazione forzata (dall’antisemitismo europeo e dalla conferenza di Evian), tra sterminio programmato e autodifesa (pur nelle sue esecuzioni scandalosamente eccessive), fino all’accusa più letta e sentita, in quanto estremamente popolare: “fate ai palestinesi quello che i nazisti hanno fatto a voi” che nella versione odifreddiana suona pure peggio. Fatto il calcolo della decimazione delle Fosse ardeatine, gli israeliani avrebbero fatto molto peggio dei nazisti (fatto salvo il cambio di paradigma, prendi il ghetto di Varsavia invece di Roma e devi rifare tutti i conti). In sintesi: mai che si senta dire che “i russi hanno fatto ai ceceni quello che i tedeschi fecero a loro”, suonerebbe fantasmagorico. Eppure è la stessa logica che, nel caso di Israele sembra così tanto “logica” da ripeterla in continuazione, oltre che allargata spesso a un “voi” che implicitamente coinvolge tutti gli ebrei del mondo – da qui le aggressioni verbali, le minacce fisiche, le lettere anonime, anche a incolpevoli ebrei genovesi o milanesi. Per non parlare di quello che passano i francesi, o le contestazioni alla ragazza colpevole di ricordare gli stupri di Hamas e per questo cacciata dalla manifestazione “femminista” (le virgolette sono d’obbligo, queste sono femministe quanto io sono cinese) o alla presentazione del libro di Elisabetta Fiorito su Golda Meir e altro ancora.
Che dire? È così stucchevole continuare a tirar fuori l’antisemitismo quando qui si critica solo il governo di quel farabutto di Netanyahu e magari ci si limita a considerare il sionismo (che fu movimento di liberazione nazionale, ommioddio cosa ho detto?!) una manifestazione del colonialismo europeo (avete presente no? Il Congo belga, l’India dei vicerè, il posto al sole di mussoliniana memoria eccetera, poi se va male si torna a casa) se non un qualcosa non così dissimile da quel nazismo che sterminò un popolo per quello che era, non perché aveva votato chi nel frattempo aveva pubblicato uno statuto in cui programmaticamente si prefiggeva di far sparire la Germania “from the river to the sea”.
D’altra parte i paragoni tra Gaza oggi e La zona d’interesse fioccano alla grande. Poi se l’ha detto pure il regista che è ebreo, ci sarà da crederci, no?


CREDITI FOTO: EPA/MANUEL DE ALMEIDA



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