Berlusconi al Quirinale, un’onta per la Repubblica

L'elezione di Silvio Berlusconi a Presidente della Repubblica rappresenterebbe uno sfregio alle Istituzioni, una vergogna senza precedenti.

Alessandro Brescia

Novembre 2019. Aula bunker dell’Ucciardone. Quella del maxiprocesso. È di scena il processo d’Appello sulla Trattativa tra pezzi dello Stato e Cosa nostra. Per alcuni minuti Silvio Berlusconi siede sulla stessa seggiola che ha visto sfilare mafiosi e mafiosi pentiti, in qualità di test citato dagli avvocati della difesa di Dell’Ultri. Giusto il tempo di pronunciare pochi brevi parole “Su indicazione dei miei avvocati, mi avvalgo della facoltà di non rispondere. Grazie, grazie a tutti”. Lui, l’uomo delle Televisioni, questa volta, ha negato il permesso a farsi riprendere e fotografare. Un paradosso del destino cui, si sa, non manca il senso dell’umorismo.

È andata male a Marcello Dell’Ultri, braccio destro del Cavaliere, già condannato a 7 anni per concorso esterno in associazione mafiosa, sperava che l’amico Silvio comparisse in aula in sua difesa per ripetere parole simili a quelle pronunciate in una conferenza stampa dell’aprile 2018, quando da Premier, poco dopo il verdetto di primo grado sulla Trattativa, aveva dichiarato che il suo Governo non aveva mai ricevuto minacce mafiose. Ma è andata diversamente.

Basterebbe da solo quest’ultimo recente “dettaglio” in ordine di apparizione per avere evidenza di quali siano stati i tratti distintivi del quasi ventennio (dalla discesa in campo) berlusconiano. Certo, avvalersi della facoltà di non rispondere è legittimo, è previsto dalla legge. Ma se sei stato 4 volte Presidente del Consiglio e l’argomento è la trattativa Stato-mafia, per contribuire a far luce sugli anni bui 1992-94, il silenzio è troppo poco, anche se a norma di legge.

Né val più la pena stare a raccontare il curriculum politico-giudiziario del Cavaliere tra bugie, reati, gesta ero(t)iche e barzellette. Ogni cittadino conosce fatti e parole, lette in mille articoli, sentite in centinaia di dibattiti, viste in decine di film. O peggio ancora dare retta al magistrato Nino Di Matteo quando ci ricorda la sentenza d’appello confermata in Cassazione nel 2014: “Dell’Utri fu intermediario di un accordo tra il 1974 e il 1992 con le famiglie mafiose palermitane, che in cambio della protezione personale e imprenditoriale di Berlusconi prevedeva il versamento di somme ingenti di denaro da parte di Berlusconi a Cosa Nostra, e questo è emerso da una sentenza definitiva”. Senza contare che a oggi Berlusconi risulta indagato a Firenze per il reato di concorso nelle stragi del 1993.

Purtroppo non è la trama di un film di Coppola ma la realtà. Peraltro, è doveroso sottolineare che se fossimo in un paese normale, un cittadino con il passato di Berlusconi non avrebbe potuto rappresentare le Istituzioni, o ne sarebbe stato espulso subito dopo, una volta attivati gli anticorpi. Ma il sistema Italia è carente di almeno due anticorpi fondamentali, e forse anche dei vaccini sostitutivi. Il primo è la mancanza di una cultura diffusa e condivisa che la legalità sia una pre-condizione per occuparsi della cosa pubblica, qualunque che sia il credo politico; il secondo è la mancanza di un chiaro e rigido sistema di incompatibilità tra cariche pubbliche e interessi privati. Una zona grigia che ha permesso (va detto, non solo a Berlusconi), e continua a permettere, a gruppi di potere di vivere in un vantaggioso (e permanente) stato di conflitti di interesse a svantaggio della collettività.

Se così non fosse, oggi saremmo qui a ritenere inimmaginabile anche solo la remota ipotesi che Berlusconi possa diventare Presidente della Repubblica. Invece, il centro destra unito ha avanzato la candidatura, ritenendolo idoneo (bontà loro) per “autorevolezza ed esperienza”. Del resto, la Lega e la stessa Meloni (al di là delle ricostruzioni di comodo nel suo libro) a Silvio devono gran parte del successo politico. Sanno benissimo di candidare un impresentabile, piduista e pregiudicato per frode al fisco. Evidentemente basterà turarsi il naso, come quando votarono la mozione bufala di Ruby nipote di Mubarak e le numerose leggi ad personam.

Ma dai suoi supporters di sempre altro non ci si poteva attendere. E guardando nell’altra metà del campo di gioco che ci si aspettava una tempestiva reazione “a tono”, anziché derubricare il tutto soltanto un’ipotesi troppo divisiva e non super partes. Ci si aspettava che in casa Partito Democratico si avesse memoria degli errori (e orrori) del passato, come quando nel 1997 davanti a una crostata chez Letta (lo zio Gianni) si scambiò Berlusconi per uno statista con l’idea di riformare insieme la Costituzione; o qualche anno più tardi, nel 2003, quando Violante rassicurò in Parlamento “che gli è stata data la garanzia piena – non adesso, nel 1994, quando ci fu il cambio di Governo – che non sarebbero state toccate le televisioni”.

Berlusconi candidato al Quirinale non è soltanto una proposta irricevibile (un po’ tardivamente Conte lo ha dichiarato). Qualora questa sciagurata proposta acquistasse concretezza rappresenterebbe un’onta per la Repubblica, uno sfregio alle Istituzioni, una vergogna senza precedenti.

Più di quanto non sia già stato fino a oggi.

 

(immagine di Edoardo Baraldi)



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