Realtà e finzione nella politica

Nel suo “Bestiario politico” (HarperCollins, 2021), Gianluca Briguglia analizza alcune componenti dell'immaginario e del mito per decifrare il ruolo eccezionalmente peculiare della politica nella storia umana.

Alessandro Mulieri

Crocevia di personaggi e storie al confine tra finzione e realtà, Bestiario politico di Gianluca Briguglia è un testo che invita a comprendere l’oggi, rileggendo racconti, immagini e autori di un passato che ci parla con la stessa forza anche nel presente. Il testo di Briguglia, diviso in 7 capitoli, è basato su una serie di podcast che lo studioso, professore di storia delle dottrine politiche all’università Ca’ Foscari di Venezia, ha registrato per storielibere, nel corso del 2020 e del 2021. Lo spunto per il titolo della raccolta di saggi arriva dal tema medievale dei bestiari, che, come spiega l’autore, sono raccolte di descrizioni di animali reali o talvolta immaginari, che godevano di ampia circolazione e miravano a soddisfare la curiosità intellettuale di lettori e ascoltatori, sollecitandone l’immaginazione. Ed è proprio questo tema dell’immaginazione ad attraversare tutte le storie narrate da Briguglia. Immaginazione intesa come capacità di racconto della realtà, certo, ma anche come produzione di simboli, narrative, miti comuni che, nel restituire il senso del reale ne alterano i contorni, ne cambiano i connotati, ne dischiudono il potenziale di creazione di nuovi mondi. Ciascun capitolo è dedicato al racconto di un tema, un autore o un evento.

Nel primo capitolo, Briguglia affronta il problema della caduta seguita al peccato originale, tema fortemente nelle sue corde perché già analizzato in una monografia ad esso esplicitamente dedicata nel 2017[1]. Partendo dalla famosa incisione di Dürer Peccato originale su Adamo ed Eva, che rappresenta i due ancora nell’idillio del paradiso terrestre, Briguglia immagina il momento immediatamente successivo all’istante in cui Eva mangiò la mela offerta dal serpente, compiendo quel peccato mortale che portò alla dannazione del genere umano. L’analisi dell’opera d’arte fornisce lo spunto per una riflessione più ampia sulla funzione stessa del mito della caduta che, come scrive Briguglia, «non è semplicemente una favola», perché «vuole dire indicare qualcosa di più profondo e di permanente sulla natura umana»[2]. Briguglia ripercorre brevemente come il mito di Adamo ed Eva, e la condanna del genere umano che ne consegue, furono discussi nel dettaglio da vari autori medievali, che li utilizzarono come punti di partenza per raccontare il loro punto di vista sia sulle origini del potere, che sul tema dei limiti che accompagnano tale potere una volta istituito. Insomma, un mito delle origini che non smette di plasmare il presente.

Alla storia del popolo fantastico dei Cinocefali, «esseri dal corpo umano ma dalla faccia di cane e dalla voce latrante»[3], Briguglia dedica il secondo capitolo. Da Agostino a Pietro Diacono per arrivare fino a da Pian del Carpine, Giovanni di Mandeville e Ratamno, gli avvistamenti o le descrizioni di questo popolo, metà uomo e metà animale, si moltiplicano, e Briguglia ne ripercorre la presenza in opere filosofico-politiche, mosaici, incisioni, cronache storiche. La particolarità che viene sottolineata nel Bestiario, a proposito di tutti gli avvistamenti di questo popolo, è che essi sono concordi nel dipingerlo con sembianze semi-canine ma con abitudini solidamente umane. I Cinocefali hanno leggi che ne regolano la convivenza civile, conoscono l’agricoltura, hanno il senso del pudore e, aggiunge Briguglia, hanno persino un santo, san Cristoforo Cinocefalo, che è modellato sull’antico dio egizio Anubi, viene raffigurato con la testa a forma di cane ed è venerato da varie chiese orientali. Insomma, la trattazione di Briguglia ci ricorda quanto non sia in effetti rilevante la questione se i Cinocefali siano un popolo reale o fantastico, ma sia più importante il fatto che essi ci aiutano a capire cosa distingue l’umano dall’animale, e alla fine ad accettare l’idea, hobbesianamente rilevante anche in politica, che ci sia una certa «porosità tra l’animalità bestiale e quella umana»[4].

Nel terzo capitolo sono i giganti a farla da protagonisti. Spaziando dal Leviatano a Nimrod e i suoi figli, per arrivare a Morgante, Briguglia si sofferma sul ruolo fondamentale che l’immaginario dei giganti ha rivestito e continua a rivestire nel determinare e strutturare la vita politica degli uomini. Tra i vari uno, Nimrod, figura biblica rievocata da molti autori medievali, è il simbolo di un gigante che dà ordine al mondo sociale e politico, un mondo talvolta caotico e violento. Come scrive Briguglia, «Questo Nimrod non è certo un Leviatano, non è in nessun modo una figura dello Stato al modo di un Hobbes» ma egli «ci suggerisce quanta forza sia necessaria per tenere insieme gli uomini»[5]. Tutto sommato, è questo di Nimrod il ruolo che Briguglia ascrive ai giganti, e cioè quello di estrinsecare la violenza profonda degli esseri umani e visualizzarla nell’enormità delle proporzioni. Certo, non tutti i giganti sono uguali e, a Nimrod, Briguglia oppone un semi-gigante come Morgante, che muore letteralmente per il troppo ridere, ricordandoci come alla fine gli esseri umani possano essere semplici «granchietti»[6] che infastidiscono il gigante violento. Insomma, i vari giganti raccontati da Briguglia sono un modo per riflettere su forze e debolezze del politico nel mondo umano.

Dei restanti 4 capitoli del Bestiario politico, tre sono dedicati a due figure fondamentali della storia del pensiero politico, Christine de Pizan e Machiavelli, e uno, quello finale, si dedica al tema della peste. Anche se l’attenzione di Briguglia in questi capitoli si sposta dalla trattazione di miti e racconti fantastici a quella di figure o episodi realmente esistenti, rimane il tema del complesso rapporto tra realtà e finzione, riformulato attraverso i sogni o attraverso i complessi meccanismi dell’auto-rappresentazione degli autori o di certi eventi ad alta significazione politica. E’ così che nel quarto capitolo, dedicato a Christine de Pizan, Briguglia si sofferma sul sogno che quest’ultima, forse la più grande scrittrice donna del Medioevo, racconta in una sua operetta giovanile, il libro sulla mutazione della fortuna. Un sogno in cui l’autrice, in un momento difficile della sua vita e dopo aver perso improvvisamente il padre e un marito molto amato, immagina di trasformarsi in un uomo. Nelle parole di Briguglia, il sogno di De Pizan «ci mostra l’immane lavorio psicologico, la fortissima tensione emotiva che devono avere attraversato questa donna medievale, che cerca le risorse interiori per non perdere se stessa»[7], ed è un sogno in cui Christine non ripudia il proprio essere donna ma riconosce se stessa come pari agli altri e uguale ai maschi «in un linguaggio che non può che essere quello dell’epoca»[8]. Il sogno è solo l’inizio di un percorso che porta Christine a scrivere uno dei suoi capolavori, La città delle dame, in cui immaginando una città di sole donne, Christine risponde alle idee misogine pensate da tutti i grandi autori uomini prima di lei.

Machiavelli è il protagonista dei capitoli 5 e 6 del Bestiario politico, che vanno letti insieme perché in entrambi Briguglia sceglie alcuni passi significativi dell’opera di Machiavelli, per raccontarci le due fasi della vita di questo grande pensatore italiano ma anche molto di più. Nel quinto capitolo, Briguglia si sofferma sulla famosa lettera che Machiavelli indirizzò a Francesco Vettori il 10 dicembre 1513, tracciando i contorni del momento disperato in cui, a causa del ritorno dei Medici a Firenze, l’ex segretario fiorentino si ritrova senza lavoro e ritirato in esilio a Sant’Andrea in Percussina. E’ la famosa lettera a Vettori in cui Machiavelli gli annuncia la composizione del Principe. Briguglia rilegge questo documento in due modi diversi ma collegati l’uno all’altro. Da una parte, ne sottolinea il carattere di manifesto rappresentativo di un’epoca intera, l’umanesimo italiano, e della storia complessa in cui questo fenomeno culturale si dispiega. Come scrive Briguglia, in questa bellissima lettera di Machiavelli c’è «l’amore per l’azione e per lo studio, per il pensiero e la politica, c’è la necessità, espressa in modo limpido ed emozionante, di non perdere il contatto con ciò che ci nutre, che ci coltiva, con ciò che noi siamo». Tra invasioni straniere in Italia, predicazioni millenaristiche di Savonarola a Firenze, guerre interne tra i Medici e i propri detrattori, la lettera rappresenta, però, anche una testimonianza del travagliato percorso personale di un Machiavelli che, nel biennio 1512-1513, ancora non ha scritto nessuno dei capolavori per i quali diventerà poi noto in tutto il mondo. E’ a questa seconda fase della vita di Machiavelli e delle sue riflessioni sulla politica che Briguglia dedica il capitolo successivo. Rileggendo alcuni passi dell’opera machiavelliana, e in special modo del Principe e dei Discorsi, Briguglia attualizza le idee di Machiavelli sul rapporto tra morale e politica, sul ruolo civile e sociale della religione, sui dilemmi talvolta tragici dell’agire politico ma anche sull’importanza del concetto di libertà per il mantenimento di istituzioni repubblicane. Se dunque è vero che il sesto capitolo affronta il tema, che per molto tempo è stato caratteristico di certa letteratura sul segretario fiorentino (si pensi a Leo Strauss o Friedrich Meinecke), di Machiavelli come teorico del male, è altresì importante notare come, nella lettura di Briguglia, l’interpretazione delle opere di Machiavelli rimanga aperta e pronta anche a sostenere un’importante riflessione sulla natura della politica democratica.

La raccolta di saggi del Bestiario politico si conclude con un pezzo sulla peste. E forse non poteva che essere così nel momento storico particolare che stiamo tutti vivendo. Alcuni dei podcast sono stati pensati in piena pandemia. E la rilevanza della pandemia è una delle chiavi per dare un senso a tutte le storie raccontate da Briguglia. Il momento che stiamo vivendo rivive, nelle parole dell’autore, attraverso il confronto con esempi simili di epidemie raccontati da cronisti e scrittori del passato: Pietro Diacono, Giovanni Boccaccio, Alessandro Manzoni. Le immagini delle quarantene, della desolazione, della malattia e dell’abbandono del passato si alternano, nel capitolo, a quelle della speranza, della rinascita e dell’inizio di una nuova epoca che ogni grande epidemia della storia ha portato con sé. Come ricorda l’autore, parlando della famosa peste medievale e del famoso inizio del Decameron, la peste è certo «Il momento più nero di un’epoca», ma è anche «il momento in cui nel nero inconsolabile della peste tutta una generazione, senza dimenticare nulla del passato, ha visto la luce della propria umanità, ha scrutato la possibilità di un nuovo inizio»[9].

Tre temi importanti sono al centro del bel libro di Briguglia, tutti e tre fondamentali per comprendere il complesso rapporto tra fatti e immagini, realtà e immaginazione, diventato così centrale nel mondo in cui viviamo. Il primo è il tema del mito. Nel libro, il mito si presenta come una chiave per la comprensione profonda della realtà, una lente attraverso la quale possiamo capire meglio il mondo in cui viviamo e, più nello specifico, i complessi meccanismi di umanizzazione e disumanizzazione della politica. D’altra parte, Briguglia non è nuovo al tema, visto la sua particolare attenzione alla ricostruzione della riflessione medievale e moderna sul ruolo delle metafore politiche. Quest’attenzione particolare al ruolo del mito porta Briguglia a raccontare storie e favole che sono presenti in testi molto diversi tra loro, sfidando, per il fascino della narrazione, divisioni disciplinari che troppo spesso impediscono all’accademia di parlare a un pubblico più ampio. E questa è proprio una delle sfide del testo di Briguglia. Far uscire il racconto di miti, che sono troppo spesso appannaggio di pochi addetti ai lavori, dal ristretto cerchio delle discussioni erudite per farli interagire con il mondo esterno, allo scopo di decifrarne i significati. Perché, come spiega efficacemente l’autore, «la realtà non è solo quello che si tocca o si vede quotidianamente, ma è tutto ciò che ci consente di dare un senso, anche attraverso ciò che ci sembra irreale»[10]. Il secondo tema che attraversa le storie di Bestiario politico è quello del ruolo che le immagini, sia quelle create nella e dalla nostra mente che quelle esterne che si relazionano alla realtà, giocano nel decifrare i significati profondi dell’esistenza umana nel sociale e nel politico. A ogni episodio raccontato nel Bestiario corrispondono una o più immagini, che siano un quadro, un’incisione, un mosaico o un’iconografia evocata in uno o più testi. Anche qua, Briguglia va oltre l’idea che fare cultura voglia dire riproporre rigide distinzioni disciplinari che finiscono per ostacolare una divulgazione efficace. L’analisi di Briguglia interpreta quadri, affreschi, incisioni, mosaici e, allo stesso tempo, rilegge cronache, trattati, opere di filosofia, lettere, forte dell’idea che ricostruire l’immaginazione di ogni epoca sia un’operazione warburghianamente riconducibile a entrambi i codici di comunicazione delle iconologie e dei testi scritti. Il terzo elemento che pervade i vari episodi del Bestiario di Briguglia è quello della rappresentazione dei limiti e degli aspetti più estremi della politica. In fondo, la lezione dello studioso è che il modo migliore di comprendere l’eccezionalità profonda che ha sempre caratterizzato la politica e la sua storia è attraverso la propria rappresentazione per immagini e miti. In un momento come questo dove tutto, forse troppo, viene spesso ridotto all’impressione efficace di immagini fugaci e incisive, il messaggio di Briguglia va più nel profondo, senza però sconfessare il carattere marcatamente estetico di ogni comunicazione politica. Briguglia sembra dirci che le immagini sono sempre creatrici bellissime di verità parziali, scomode, talvolta spaventose, che non riescono a essere raccontare completamente a voce. Il punto è che però, dobbiamo imparare a leggerle, queste immagini, dando loro significato, oltre che fermarci a goderne l’istante nella rappresentazione estetica.

All’incontro di storie fantastiche, miti ricorrenti ma anche racconti da realismo duro e puro della politica più vera, i racconti di Briguglia sono intrisi di quello che potremmo definire un realismo mitico, sospeso tra la complessità profonda della narrazione storica erudita e il mondo immaginifico della finzione narrativa. L’autore sembra dirci che, se vogliamo davvero provare a capire la politica e la sua storia, dobbiamo forse imparare a praticare quell’arte che ha sempre salvato l’uomo da se stesso, anche nei momenti peggiori del suo passato: raccontare storie. Ed è proprio questo che Bestiario politico fa in modo originale e avvincente.

[1] G. Briguglia, Stato d’innocenza: Adamo, Eva e la filosofia politica medievale, Roma, Carocci, 2017.

[2] G. Briguglia, Bestiario politico, Milano, HarperCollins, p. 16.

[3] G. Briguglia, Bestiario politico cit., pp. 30-31.

[4] Ivi, p. 47.

[5] G. Briguglia, Bestiario politico cit., p. 63.

[6] Ivi, p. 66.

[7] Ivi, pp. 73-74.

[8] Ivi, p. 74.

[9] Ivi, p. 156.

[10] Briguglia, Bestiario politico cit., p. 16.



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