Bielorussia: una testimonianza di lotta e passione nell’ultima dittatura d’Europa

L’Europa orientale è una regione che in Italia viene quasi completamente ignorata, dal punto di vista sia culturale sia politico. Riscoprirne la vitalità, la complessità e la potenzialità è invece oggi di centrale importanza. "Cresciuta nell’ultima dittatura d’Europa", della bielorussa Viktoryia Andrukovič, offre preziosi spunti in proposito. Andrukovič – nata nel 1994, anno di inizio della trentennale dittatura di Lukašenka – accompagna il lettore nelle varie tappe della storia del paese, così strettamente legate sia alla Russia sia all’Ucraina.

Simone Zoppellaro

Pochissima è l’attenzione e la cura riservata negli ultimi anni in Italia alle culture dell’Europa orientale che ancora si definiscono post socialiste. Oscillando fra indifferenza e disprezzo, una parte del nostro continente sembra come inabissata per molti di noi; e questo nonostante il lavoro fatto da studiosi, traduttori e giornalisti di valore lasciati ai margini di un dibattito culturale monopolizzato – persino in anni così drammatici – da fenomeni mediatici fin troppo noti, che neanche vale la pena di citare.
Basta entrare in una libreria tedesca per vedere come le pubblicazioni sulla politica, la storia e le letterature dell’Est trovino ben altro spazio – e i dati di vendita lo confermano. È un po’ come se per la cultura italiana questa parte di mondo fosse scomparsa con la fine del socialismo, colpevole forse di aver voltato le spalle ad esso, di aver tradito quel sogno – cosa che molti di noi hanno compreso troppo tardi – che da tempo si era tramutato in un incubo.
Eppure grande è la vitalità culturale, artistica e sociale di un mondo assai più dinamico del nostro, anche se non privo, al pari del nostro, di contraddizioni e pulsioni identitarie. A nulla vale purtroppo ricordare le parole ironiche e taglienti di Adriano Sofri, che ci ammoniva: “Il concetto di “denazificazione”, insensato in ambedue i casi, a prenderlo sul serio peserebbe più sull’Italia contemporanea che sull’Ucraina” – e sull’Europa orientale tutta, aggiungerei, salvo forse quella del putiniano Orbán, nostro alleato.
Fra i luoghi meno battuti dalla pubblicistica e dal dibattito italiano c’è senza dubbio la Bielorussia – e forse è un bene, se si considerano i reportage di propagandisti vecchi e nuovi che ci assicurano che “sembra la Svizzera”. A maggior ragione, dunque, vale la pena leggere un libro agile e informativo come quello scritto da Viktoryia Andrukovič in collaborazione con il giornalista tedesco Carsten Görig, Cresciuta nell’ultima dittatura d’Europa, pubblicato da Ledizioni nel 2023.
Un lavoro che ha il pregio di dare voce – anziché ai soliti tromboni della geopolitica – a una giovane attivista bielorussa che racconta la sua testimonianza di lotta e passione, culminata nelle grandi proteste del 2020 contro il regime di Lukašenka. “Qualcosa a metà fra un romanzo di formazione e un diario”, come lo definisce Marta Ottaviani nella prefazione. Il libro di Andrukovič – nata nel 1994, proprio come questa dittatura ormai trentennale – accompagna il lettore nelle varie tappe della storia del paese, così strettamente legate sia alla Russia sia all’Ucraina.
Scrive l’autrice: “
I bielorussi sanno che senza una Ucraina libera non può esserci una Bielorussia libera e, pertanto, la guerra in Ucraina è anche la nostra guerra, che dobbiamo vincere. Anni di terrore, guerra, violenza e oppressione in Europa orientale devono finire una volta per tutte. I nostri due popoli hanno sofferto per troppo tempo”.
Chi abbia una nozione anche solo approssimativa della storia dei due paesi sa che quest’ultima frase è tutt’altro che retorica. Quel film straordinario del 1985 che è Va’ e vedi di Ėlem Klimov può rendere bene l’idea di una delle tante pagine di sangue che li ha segnati.
Ma è la parte narrativa – raccontata in presa diretta – la più avvincente del volumetto, che testimonia di una miriade di azioni di protesta e creative (le due cose vanno spesso insieme), oltre ai sabotaggi e agli attacchi hacker contro il regime e l’esercito russo. Qui un piccolo esempio: “
Alla fine di settembre del 2020, l’ensemble del Teatro cittadino di Grodno mise in scena il romanzo di Bradbury in uno spettacolo che si tenne all’aperto perché il teatro, come altri in Bielorussia, era stato chiuso per ordine delle autorità in seguito alla partecipazione alle proteste contro il governo. Molti attori erano già in prigione ma gli altri, non volendo tacere, salirono su un palco improvvisato nel cortile del teatro e misero in scena Fahrenheit 451. Fu una performance avvincente e coinvolgente che permise a circa 700 spettatori di guardare direttamente nell’anima del regime”.
Nelle pagine di Andrukovič, piene di una fede salda nel futuro, traspare quello stesso entusiasmo per l’Europa che mi è capitato di vedere – come in nessun altro luogo, senza dubbio – a Kyiv e a Tbilisi. Di questa linfa vitale, a ben guardare, oggi abbiamo un bisogno disperato, nella nostra vecchia Europa che sembra aver perso la bussola.
Eppure, così poco viene fatto da noi per sostenere la lotta di persone straordinarie come la nostra autrice. La cortina di ferro, violata e superata da manifestazioni di massa straordinarie, e infine travolta dalla caduta del Muro, sembra paradossalmente sopravvivere in tante coscienze a Occidente. Anche e soprattutto per questo – per superare dei limiti così profondi che in molti casi non sono neppure più percepibili – quello di Andrukovič è un libro necessario. Il presente e il futuro dell’Europa oggi, che ci piaccia o meno, passano anche da qui.



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