Blasfemia? Un reato inconsistente da abolire al più presto

Dobbiamo abolire le leggi contro la blasfemia, in Italia, in Europa e poi in tutto il mondo. Perché punire un cittadino per il reato di blasfemia (fosse anche solo con una multa di un euro) significa riconoscere che quel reato ha senso e che una punizione è necessaria.

Giovanni Gaetani

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Questo contributo di Giovanni Gaetani è contenuto nel numero di MicroMega+ del 21 maggio 2021.

Le streghe hanno smesso di esistere quando noi abbiamo smesso di bruciarle”, recita una frase attribuita a Voltaire. Lo stesso accadrà un giorno con i cosiddetti “blasfemi”: smetteranno di esistere quando noi smetteremo di punirli. Perché la blasfemia è a tutti gli effetti un reato inconsistente, proprio come la stregoneria, e a chi verrebbe mai in mente di criminalizzarla nuovamente, nel 2021? A pochissimi esagitati, che giustamente attirano su di sé lo scherno degli italiani, i quali avvertono l’assurdità di una simile proposta. Ma allora perché lo stesso non accade con chi difende ciecamente le leggi italiane contro la blasfemia?

La tesi che sosterremmo in questo articolo è questa: dobbiamo abolire le leggi contro la blasfemia, perché non esiste un motivo uno per mantenerle in piedi, mentre al contrario ne esistono numerosi per abolirle.

Ma vediamo innanzitutto cosa sono queste leggi e come vengono applicate nel mondo.

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Le leggi contro la blasfemia sono misure punitive che criminalizzano quelle espressioni che un’autorità giudiziaria consideri “ingiuriose” nei confronti di una o più confessioni religiose, sia in nome del rispetto di una non meglio definita “sacralità” religiosa, sia in nome del mantenimento dell’ordine pubblico che quelle espressioni turberebbero, come successo recentemente in Austria con l’incredibile avallo della Corte europea dei diritti umani. La Cedu ha infatti confermato la multa di 480 euro comminata a una donna austriaca, colpevole di aver affermato che il Profeta Maometto può essere considerato un “pedofilo”, visto che secondo alcuni hadith sposò una bambina di 6 anni quando lui ne aveva più di 50. Secondo la sentenza, la colpa della donna sarebbe quella di essersi espressa con l’obiettivo di “denigrare l’islam”, e le autorità austriache sarebbero giustamente intervenute per preservare “la pace religiosa in Austria”.

Ancora oggi 75 Paesi al mondo puniscono la blasfemia, con misure che vanno dalla multa (come accade ad esempio in Italia o in Spagna) fino alla pena di morte (come accade in Afghanistan, Arabia Saudita, Brunei, Iran, Mauritania, Nigeria, Pakistan, Somalia).

Ora, non tutti i 75 Paesi applicano queste leggi allo stesso modo. Perché se è vero che molti (non solo le teocrazie musulmane) continuano con regolarità a perseguitare e punire i presunti blasfemi, in molti altri le leggi contro la blasfemia non sono altro che dead letter law, ovvero leggi formalmente ancora valide sulla carta ma generalmente mai applicate. In Germania, ad esempio, è ancora in vigore una norma (la 166 del Codice penale tedesco, introdotta da Hitler) che punisce la blasfemia con la prigione fino a tre anni: spesso invocata da alcuni gruppi religiosi, è stata recentemente applicata solo nel 2006 e nel 2016.

Il paradosso è che a volte rispolverare certe leggi dimenticate costituisce il primo passo verso la loro abolizione, come già accaduto in Danimarca nel 2017 quando il parlamento danese, venuto a sapere che un giudice aveva invocato una legge del 1683 (sic!) per punire un cittadino che aveva bruciato una copia del Corano, nel giro di qualche mese ha votato la sua abolizione.

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Purtroppo lo stesso non può dirsi dell’Italia, che continua imperterrita ad applicare le leggi contro la blasfemia nell’indifferenza generale. Ne è esempio la multa di 4 mila euro comminata a Oliviero Toscani, condannato nell’ottobre 2019 con l’accusa di “vilipendio della religione” dopo aver sostenuto che, agli occhi di un extraterrestre appena atterrato sulla Terra, una chiesa cattolica apparirebbe come “un club sadomaso”. Frase, questa, già pronunciata da Toscani in un’intervista nel 2016, ma che allora sfuggì agli occhi della legge. Non potendo scendere qui nei dettagli, vi invito a leggere il testo della sentenza contro Toscani, che è a dir poco medievale.

Ora, le nostre leggi contro la blasfemia – è bene ricordarlo – furono introdotte per Regio Decreto il 19 ottobre 1930, sotto il regime fascista, a un anno di distanza dai Patti Lateranensi. Nello specifico, gli articoli del Codice penale in questione sono il 724 (che punisce la “bestemmia e [le] manifestazioni oltraggiose verso i defunti”) e gli articoli 402403404405 che puniscono in vari modi il vilipendio della religione. A nulla sono valse le modifiche concordatarie del 1984, né la sentenza della Corte Costituzionale del 2000, la quale sancì l’incostituzionalità dell’articolo 402, il quale fa riferimento a una “religione di Stato” ormai inesistente.

Le leggi contro la blasfemia in Italia restano dunque saldamente in vigore, nonostante il Consiglio d’Europa abbia promulgato una Raccomandazione (la 1805 del 2007) nella quale si afferma che la blasfemia non dovrebbe costituire reato e che la libertà di espressione va estesa anche a quelle espressioni che potrebbero causare “shock, offesa e disturbo” di una parte della popolazione, perché “ogni società democratica deve permettere un dibattito aperto sulla religione e sulle sue credenze”.

Agli antipodi di questa Raccomandazione, in molti difendono le leggi antiblasfemia sostenendo che, abolendole, si legalizzerebbe l’odio nei confronti delle persone credenti. Un’affermazione che non ha fondamento: l’ordinamento italiano, infatti, già punisce i cosiddetti “crimini d’odio” per motivi religiosi (attraverso la tanto discussa legge Mancino del 1993) così come punisce l’ingiuria, la diffamazione e la calunnia nei confronti delle persone in carne e ossa. In tal senso, la cosiddetta “tutela del sacro” fornita dalle leggi contro la blasfemia è a tutti gli effetti una forma di discriminazione tra cittadini di serie A (i cattolici, la cui “sensibilità religiosa” viene de facto prima di tutte le altre), di serie B (i cittadini appartenenti alle varie minoranze religiose) e di serie C (atei, agnostici e umanisti che – per definizione – a simili leggi non possono fare appello).

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Qualche segnale positivo però c’è. Dal 2015, negli anni del post Charlie Hebdodieci Paesi al mondo hanno abolito le leggi contro la blasfemia: Norvegia e Islanda nel 2015; Malta e Francia (limitatamente alla regione dell’Alsazia-Lorena) nel 2016; Danimarca nel 2017; Canada nel 2018; Nuova Zelanda e Grecia nel 2019; Irlanda nel 2020; Scozia nel 2021. Agli antipodi di questo trend, il primo ministro pakistano, Imran Khan, ha appena annunciato il suo piano di esportazione delle leggi antiblasfemia nel mondo: secondo Khan, attraverso misure di boicottaggio commerciale le teocrazie musulmane potrebbero costringere i Paesi occidentali a varare nuove leggi antiblasfemia a tutela dell’islam.

In Italia, invece, non c’è nemmeno l’ombra di un dibattito sul tema. Eppure i motivi a favore dell’abolizione delle leggi contro la blasfemia sono davvero tanti. Proviamo a riassumerli qui.

Innanzitutto, il dato più elementare: le leggi contro la blasfemia negano la libertà di espressione dell’individuo, un diritto riconosciuto dalla Dichiarazione universale dei diritti umani (all’articolo 19), dalla Costituzione italiana (all’articolo 21) e da molti altri trattati internazionali, come ad esempio la Convenzione internazionale sui diritti civili e politici (all’articolo 19).

In seconda battuta, le leggi contro la blasfemia sono labili e inconsistenti, poiché il reato di blasfemia non è oggettivamente identificabile: chi è che stabilisce se qualcosa è o non è blasfemo? E come stabilirlo con un metodo oggettivo e imparziale? Impossibile, perché il sentimento di offesa di un cittadino è interiore e soggettivo: cittadini diversi possono avere reazioni diverse (o addirittura opposte) di fronte alla stessa espressione accusata di “blasfemia”, anche tra cittadini appartenenti alla stessa confessione religiosa. In tal senso, un giudice nell’esercizio delle sue funzioni ha una discrezionalità del tutto arbitraria. Un esempio? Toscani è stato condannato per la frase di cui sopra, ma nel 2017 Maurizio Belpietro è stato assolto dal reato di “offesa a una confessione religiosa mediante vilipendio di persone” per aver scritto “Bastardi islamici” in prima pagina sul Giornale. Esempio perfetto della citata disparità tra cittadini di serie A, B e C.

Le leggi contro la blasfemia, poi, vanno abolite per una ragione ancora più cogente: per un motivo o per un altro, siamo tutti potenzialmente blasfemi (ora per il nostro orientamento sessuale, ora per le nostre filosofie di vita, ora per il nostro attivismo eccetera) e dunque siamo tutti esposti al rischio di venire puniti per la libera espressione dei nostri pensieri e delle nostre identità.

Per fare un esempio che mi sta molto a cuore, nel 2017 l’attore britannico Stephen Fry venne denunciato per blasfemia dopo aver ribadito uno degli argomenti classici della teodicea atea, e cioè che un Dio onnipotente e buono non può coesistere con l’evidenza del male nel mondo. La polizia archiviò l’inchiesta, e tre anni più tardi l’Irlanda ha abolito le leggi contro la blasfemia tramite referendum. Ma ha senso tutto ciò? Dobbiamo davvero aver paura di esprimere le nostre idee? E che dire di coloro che, a differenza di Fry, sono finiti in carcere e poi sotto processo, come il comico spagnolo Willy Toledo? O dei tantissimi senza nome incarcerati o giustiziati per blasfemia in Nigeria, Iran, Arabia Saudita, Pakistan eccetera?

Al di là dell’assurdità di investire tempo e risorse nella criminalizzazione di un crimine inesistente, bisogna ribadire con forza un concetto chiave: le leggi contro la blasfemia sono un ostacolo al progresso umano. Sono il cappio nelle mani dei regimi teocratici (e non), che utilizzano la scusa della blasfemia per mettere a tacere ogni tentativo di progresso o di critica del regime. Pensate all’attivista mauritano Mohamed Cheikh Ould Mkhaitir, condannato a morte per blasfemia e apostasia solo per aver sostenuto che il Corano legittima il sistema di schiavitù in Mauritania (dopo sei anni in carcere Cheikh ha poi trovato asilo politico in Francia). O a Gulalai Ismail, attivista femminista e umanista, costretta a fuggire negli Stati Uniti, lasciando la sua famiglia alla mercé del regime pakistano.

Non tutti possono permettersi di essere coraggiosi come Cheikh o Gulalai, e tantissimi scelgono inconsciamente la via dell’autocensura e del silenzio. Altri sfuggono alla legge, ma non alla vendetta della folla: è il caso di Mashal Khan ucciso a mani nude in un campus universitario.

Non abbiamo più scuse. Dobbiamo abolire le leggi contro la blasfemia, in Italia, in Europa e poi in tutto il mondo. Perché punire un cittadino per il reato di blasfemia (fosse anche solo con una multa di un euro) significa riconoscere che quel reato esiste e che una punizione è necessaria, giustificando implicitamente così l’operato delle teocrazie appena citate. Perché punire i blasfemi “solo” con una multa non fa di noi degli illuminati progressisti, bensì solo dei timidi (e ipocriti) aspiranti inquisitori.



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