Bob Dylan, sessant’anni fa la leggenda di The Freewheelin’

Sei decenni fa il menestrello di Duluth pubblicava il suo secondo album, quello che lo avrebbe reso il punto di riferimento di una generazione e una leggenda della musica. Ripercorriamo track-by-track il disco che ha riscritto la musica folk trasformandola in un nuovo genere narrativo.

Giovanni Carbone

Robert Allen Zimmerman o, in ebraico, Zushe Ben Avraham, cresce in una città mineraria del Minnesota, Hibbing. In America i suoi nonni c’erano arrivati da Odessa, in fuga dai pogrom antisemiti del 1905. Nella sua autobiografia Chronicles Bob scrive che la sua famiglia è originaria di Istanbul, il nonno paterno di Trebisonda, città sulla costa turca del Mar Nero, i nonni materni erano ebrei lituani. Si porta dietro il bagaglio pesante della fuga, della disperazione, d’una storia di violenze senza senso. Era roba che il rock & roll non raccontava, pure se quello fu il primo vero amore di Bob. Lo ascoltava alla radio, lo suonava con altri ragazzi non ancora ventenni, alla fine degli anni Cinquanta del secolo scorso. Una volta, durante una recita scolastica, l’esibizione con uno di quei gruppi fu talmente rumorosa che il preside dovette staccare i microfoni. Allora aveva un solo desiderio, “conoscere Little Richard”. Alla fine degli anni Cinquanta si trasferì a Minneapolis e lì, invece, la sua passione diventa il folk.
Scrive: “La questione principale a proposito del rock and roll, per me, era che comunque non era sufficiente. Tutti Frutti e Blue Suede Shoes avevano frasi di grande effetto e di grande presa, nonché un ritmo trascinante e una energia travolgente, però non erano cose serie, e non riflettevano per niente la realtà della vita. Sapevo bene, quando mi sono dedicato alla musica folk, che si trattava di una cosa molto più seria. Le canzoni folk sono colme di disperazione, di tristezza, di trionfo, di fede nel sovrannaturale, tutti sentimenti molto più profondi. (…) C’è più vita reale in una sola frase di queste canzoni di quanta ce ne fosse in tutti i temi del rock’n’roll. Io avevo bisogno di quella musica”.

Il folk lo suona in giro un po’ ovunque, ma nel gennaio del 1961 sceglie di andarsene a New York dove incontra Woody Guthrie, le cui canzoni sono per lui una vera scuola di vita. Conosce anche Ramblin’ Jack Elliott, vecchio amico dello stesso Guthrie con cui si esibisce al Saturday Of Folk Music. Poco più che ventenne comincia a farsi un nome nell’ambiente del folk, suona l’armonica nel terzo album di Carolyn Hester e continua a suonare nei locali della Grande Mela. John Hammond, talent scout della Columbia Records, rimane colpito da quel ragazzo e lo scrittura per il suo primo album che vede la luce verso la fine del 1961. Non è un disco memorabile, una decina di brani di cui solo un paio scritti da Bob, il resto sono cose scelte da Hammond pescando tra quelle già incise dalla Columbia, in tutto vende poche migliaia di copie.

La Columbia vuole sbarazzarsi del ragazzo, considera l’averlo scritturato uno dei colpi di testa di Hammond. Ma proprio Hammond fa le barricate intorno a quel giovanissimo musicista, trovando un alleato non da poco in un mito del folk come Johnny Cash. Quindi Bob ricomincia a registrare, pure, nel frattempo – è l’agosto del 1962 – dopo aver attraversato diversi pseudonimi, cambia definitivamente e legalmente il suo nome in Bob Dylan, fulminato sulla via di Damasco dalla lettura dei potenti versi di Dylan Thomas. Insieme al nome cambia manager, affidandosi ad Albert Grossman, un salto di qualità fondamentale anche se i rapporti tesi proprio tra Grossman e Hammond allontanano da Dylan il suo primo sostenitore. E comunque i tempi sono maturi per un nuovo album. Questo, The Freewheelin’ Bob Dylan, vide la luce nel maggio del 1963. È il disco che lo impone al mondo quale grande cantante, interprete, autore sorprendente. Questa volta le canzoni incise erano quasi tutte sue, pure se s’avverte forte l’influenza musicale di Guthrie, insieme a quella passione nel raccontare in musica fatti d’attualità che apparteneva a Pete Seeger. Il ventiduenne Bob Dylan si trasforma da uno dei tanti giovani che suonano folk in un punto di riferimento imprescindibile per un’intera generazione, una leggenda della musica. Dialoga alla pari con i suoi miti, inizia un sodalizio con Joan Baez cui l’accomuna l’attenzione per i diritti civili, la repulsione profonda per la guerra e le ingiustizie. La sua chitarra dal suono ottuso, l’armonica, sollevano la polvere da strade di periferie sconfinate, aprono varchi per traiettorie desuete ed iperboliche tra versi d’inedita profondità cantati dalla sua particolarissima voce. Dylan riscrive la musica folk, la trasforma da un genere semplice ed immediato, quattro accordi ed una buona storia, in un contenitore complesso di poesie ed atmosfere, in un nuovo genere narrativo.

L’album, tredici canzoni di cui undici scritte da Bob, si apre con un vero manifesto del pacifismo, Blowin’ in the Wind, brano che riecheggia un vecchio spiritual cantato in Canada dagli schiavi neri liberati dopo l’abolizione della schiavitù nei territori del Regno Unito nel 1833. È un brano potente e non se ne fa a meno, da lì ai nostri giorni, per manifestare opposizione ferma alla guerra. Ma la sua natura libertaria, il non indugiare in fatti particolari, ce la rende come perfetta colonna sonora in ogni circostanza in cui stigmatizzare l’ingiustizia sociale, la negazione d’ogni diritto.
Girl from the North Country riecheggia antiche ballate scozzesi, ma mantiene ancora il segreto su chi sia la ragazza cui è dedicata, forse una vecchia fidanzata dello stesso Dylan.
Masters of War è una canzone di protesta radicale contro la guerra, contro l’industria bellica e i signori della guerra, contro cui Dylan si scaglia senza troppi filtri, senza le metafore trasognate ed universali di Blowin’ in the Wind. Tra i versi più espliciti: “And I hope that you die” e “And your death’ll come soon”.
Più intima e personale è Down the Highway, giocata sulle classiche dodici battute del blues. Nel brano tutto il doloroso smarrimento per la lontananza della fidanzata Suze Rotolo, che aveva deciso per un soggiorno nella lontana Perugia: “My baby took my heart from me / She packed it all up in a suitcase / Lord, she took it away to Italy, Italy”.

Bob Dylan’s Blues è quasi un gioco in cui il Nostro descrive con un parlato divertito il suo pensiero sulla genesi delle canzoni folk, per poi lasciarsi andare ad una improvvisazione blues a tratti surreale.
A Hard Rain’s A-Gonna Fall, scritto nel 1962 e allora già presentato dal vivo, è forse il brano più completo e complesso dell’album. La metafora potente della pioggia che sta per abbattersi dal cielo, l’incedere a tratti drammatico della melodia, acquista enorme risonanza all’indomani dell’annuncio del Presidente Kennedy della scoperta di una postazione missilistica sovietica a Cuba. Era il 22 ottobre del 1962 e la devastante pioggia di cui Dylan parlava nel brano somigliava troppo a quella plausibile di una tempesta atomica sull’umanità, pure se lo stesso cantautore successivamente lo smentì. Il testo della canzone trascina con sé tutta la poesia degli anni Cinquanta – vi si leggono Ferlinghetti e Ginsberg, tra gli altri. Si può dire che questo brano riesce a rivoluzionare la musica folk, ne amplifica le prospettive compositive meglio di altri.

Don’t Think Twice, It’s All Right è ancora un brano dedicato alla fidanzata Suze Rotolo, al fatto che stesse meditando di stabilirsi definitivamente in Italia, ed esprime quindi ancora lo straniamento per un distacco, raccontandolo sul motivo di un brano di Paul Clayton dal titolo Who’s Gonna Buy You Ribbons (When I’m Gone), da cui Dylan attinse anche qualche verso. Fu pezzo di successo, molto apprezzato dagli amanti del country per il suo motivetto ballabile e tutto sommato assai più convenzionale rispetto ad altre cose dell’album.
Altra cosa mutuata da un repertorio tradizionale è Bob Dylan’s Dream, che si rifà al Lady Franklin’s Lament, nei cui versi originali la moglie dell’esploratore Sir John Franklin, scomparso in una spedizione al Polo, immagina di ritrovare il marito ancora vivo. Anche per Dylan c’è il desiderio di un nuovo incontro con la sua compagna, per rivivere momenti di gioia e serenità trascorsi.

Più vicino allo stile di Pete Seeger, quasi da cantastorie, dunque, è Oxford Town, la narrazione in musica della vicenda del veterano dell’aviazione James Meredith, primo studente afroamericano ad essere ammesso all’Università del Mississippi. Pezzi consistenti della comunità bianca si opposero a quell’ingresso e con una petizione, sostenuta pure dal governatore dello stato Ross Barnett, cercarono di impedirlo. Meredith, alla fine, riuscì a frequentare il suo corso di laurea solo per l’intervento delle truppe federali.
Dylan torna a Woody Guthrie, al suo particolare stile di blues parlato e in buona parte improvvisato, con Talkin’ World War III Blues. In sala d’incisione ne provò cinque registrazioni diverse: buona l’ultima con cui, in modo ironico ed assai poco apocalittico, parlava d’una possibile catastrofe nucleare.
Corrina, Corrina è un pezzo del 1928 su cui Dylan inserisce un collage di versi tratti da altri classici.
Anche Honey, Just Allow Me One More Chance si basa su un traditional del 1890 ma Dylan, tornando su un tema già affrontato in altri pezzi dell’album, la rende una sorta di appello alla sua amata lontana.
Chiude il disco I Shall Be Free, a detta di molti critici uno dei brani più leggeri e meno interessanti del disco. La melodia è ripresa da una versione già interpretata da Woody Guthrie da cui Bob fa sparire il ritornello.

Con questo disco, che a dispetto dei sessant’anni non pare tramontare, Dylan entra di fatto nella leggenda della musica. Rolling Stones lo colloca al secondo posto tra gli artisti più influenti di sempre, alle spalle dei Beatles. Nell’anno della sua pubblicazione Bob non è solo un ragazzo prodigio, è a tutti gli effetti il cantore degli ultimi, un poeta autentico del movimento per i diritti civili, un grande innovatore del linguaggio della musica quale strumento politico. Quell’anno fatidico lo consacra icona d’un movimento nascente e gli fa provare subito sulla sua pelle cosa significhi essere paladino di posizioni radicali e dirompenti. Poco prima dell’uscita dell’album viene invitato all’Ed Sullivan Show, dove vorrebbe cantare Talkin’ John Birch Paranoid Blues, ma gli viene impedito perché ritenuto un brano denigratorio della John Birch Society, un’associazione dichiaratamente anticomunista. Dylan non accetta la censura e abbandona il programma. Nell’agosto dello stesso anno partecipa alla marcia su Washington in cui Martin Luther King pronuncia il suo leggendario “I have a dream”. Su quella manifestazione storica risuona la sua Blowin’ in the Wind cantata con Joan Baez. Da allora il faro luminoso di Bob Dylan non pare si sia mai spento.

 

Foto Wikipedia | Jean-Luc 



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