Vaccini anti-Covid19, siamo a un bivio: o i brevetti o la vita

La Giornata mondiale per la salute è dedicata alla sospensione dei brevetti: nei Paesi più poveri 9 persone su 10 non riusciranno ad accedere al vaccino entro l’anno.

Rita Cantalino

La Giornata Mondiale per la Salute (7 aprile) quest’anno è dedicata ai vaccini e alla sospensione dei brevetti che li privatizzano. “O i brevetti, o la vita” è il titolo della diretta andata in onda sui canali Facebook della campagna Right2cure, Diritto alla Cura: artisti e personalità varie, da Moni Ovadia a Paolo Rossi passando per Ascanio Celestini e Brunori Sas, si sono alternati spiegando le ragioni della campagna.

Gli ospiti hanno chiesto al pubblico di firmare l’ICE (Iniziativa dei Cittadini Europei) che richiede la sospensione dei brevetti vaccinali: al raggiungimento di un milione di firme in tutta l’Unione (53.580 la soglia da raggiungere in Italia), la proposta verrà sottoposta al Parlamento Europeo perché la renda una legge comunitaria.

La mappa della distribuzione dei vaccini, una mappa delle diseguaglianze

L’obiettivo è garantire l’accesso ai vaccini a tutta la popolazione globale, riuscendo a tutelare l’approvvigionamento dei Paesi a basso reddito. La situazione al momento è drammatica. Nei Paesi più poveri 9 persone su 10 non riusciranno ad accedere al vaccino entro quest’anno. Su 8,6 milioni di dosi complessivamente ordinate, 6 milioni sono per i Paesi ricchi, che rappresentano il 20% della popolazione globale. Per raggiungere l’immunità è necessario arrivare al 70%.

Nel mondo sono state distribuite 7 milioni di dosi, 7 vaccini ogni 100 abitanti. Le percentuali di diffusione sono emblematiche: il 27,5% al Nord America; segue l’Unione Europea, con il 20,2%; molto distante l’America Latina, con appena i 6,16% e, in fondo, l’Africa, con il suo 1,78% di dosi inoculate. A metà gennaio erano state vaccinate circa 40 milioni di persone in 49 Paesi ad alto reddito. Appena 25 quelle nei paesi a reddito basso. A febbraio l’Organizzazione Mondiale della Sanità denunciava che 130 nazioni fossero ancora a zero dosi. E sono 55 i Paesi del mondo che a oggi non hanno ancora ricevuto nemmeno una fiala.

Appena un anno fa, agli inizi della pandemia, i rappresentanti istituzionali assicuravano che il vaccino contro la Covid-19 sarebbe stato trattato dall’UE come un bene pubblico globale. Adesso che il traguardo è stato raggiunto si sta delineando tutt’altro scenario, con i Paesi più ricchi che si sono garantiti già il 53% delle dosi, pur rappresentando appena il 14% della popolazione globale.

O i brevetti o la vita

La proposta, sottoscritta dai Premi Nobel Yunus e Stiglitz, è stata portata al WTO (Organizzazione Mondiale del Commercio) il 2 ottobre 2020 da India e Sud Africa, con il sostegno di altri 100 paesi e 58 governi, ma ha incontrato il contrasto di Stati Uniti, Unione Europea, Regno Unito, Giappone, Brasile, Canada, Svizzera, Australia e Singapore. Essa si sostanzia in una deroga agli accordi internazionale sulla proprietà intellettuale, i Trips (Trade-Related Aspects of Intellectual Property Right). I TRIPs legiferano su diversi ambiti e prevedono al proprio interno la possibilità di deroghe e contrappesi in circostanze particolari e di emergenza per le quali uno Stato può allentare il sistema dei brevetti. Una Risoluzione dell’Assemblea Mondiale della Sanità (AMS), l’organo legislativo dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), prevede che in caso di pandemia i governi possano mettere in atto tutte le misure necessarie a fornire farmaci e vaccini, anche intervenire sui TRIPs.

La proposta, presentata e bocciata otto volte da ottobre, verrà nuovamente portata nella prossima seduta del WTO, l’8 giugno. La campagna europea è diffusa in cento Paesi e sostenuta da importanti organizzazioni internazionali: l’OMS, il Programma delle Nazioni Unite per HIV e AIDS (UNAIDS), la Drugs for Neglected Diseases Initiative (DNDi), South Centre, Unitaid e Third Worlds Network, cui hanno fatto seguito centinaia di organizzazioni in tutto il mondo.

Anche la Casa Bianca starebbe valutando la sospensione dei brevetti. La portavoce alla Camera Nancy Pelosi avrebbe scritto, in forma privata, alla Presidenza. Apertura americana registrata anche per il meccanismo COVAX, il programma internazionale fondato da OMS, Governo francese e Commissione Europea per garantire vaccini ai Paesi più poveri. Gli USA avrebbero contribuito con 33 milioni di fiale.

Oltre 115 membri del Parlamento Europeo si sono fatti portatori della proposta presso la Commissione e il Consiglio, chiedendo a questi organismi di non opporvisi.

La Rete Europea contro la Commercializzazione della Salute ha prodotto una lettera in cui si richiede la sospensione temporanea dei diritti di proprietà intellettuale (IPR) e la condivisione di competenze e know how utili alla produzione dei vaccini. Per la vicepresidente di Fairwatch, Monica Di Sisto, “non ci sono alternative: bisogna cambiare le regole e le logiche commerciali che oggi proteggono la proprietà intellettuale oppure saremo condannati dai nostri Governi a ritrovarci impreparati e esposti a ogni imprevisto presente e futuro”.

Medici senza Frontiere è scesa in campo con una lettera al Presidente del Consiglio Draghi; tra i primi firmatari Silvio Garattini, Presidente dell’Istituto Mario Negri, e Claudia Lodesani, Presidente di Medici senza frontiere Italia. Insieme a questi ultimi, numerose personalità della cultura e della scienza.

Gianni Tognoni, firmatario e medico esperto di epidemiologia clinica e comunitaria, Segretario Generale del Tribunale Permanente dei Popoli, afferma che il Covid19 ha avuto la capacità di creare un effetto straniante, che ha imposto una ridefinizione delle priorità: “La pandemia è il primo evento globale che rende visibili, come oggetto, protagonisti, destinatari gli umani e non le supply chains. Si è rivelata nella sua realtà da decenni ormai sempre più affermata: gli umani, i loro bisogni, le loro vite sono, molto gerarchicamente, una variabile dipendente dai diritti del mercato e della finanza. E la prima ‘merce’ disponibile è un vaccino, che promette la fine del tunnel: il sistema globale promette tutto, ed ottiene tutte le facilitazioni: ma quando gli viene fatto presente che per gli umani il problema è la ‘universalità’ dei diritti, che sono inviolabili, il globale si pronuncia come potere rigido, che non ammette eccezioni”.

Il diritto alla salute viene prima dei profitti

La proposta non è inedita nella storia mondiale, nel II Dopoguerra era stato un meccanismo simile a garantire la produzione su larga scala della penicillina. Il Sud Africa era nella morsa dell’AIDS quando, il 12 dicembre 1997, il presidente Mandela promulgò il Medical Act Sud Africa, che sospendeva la tutela della proprietà intellettuale sui farmaci antiretrovirali. Le case farmaceutiche reagirono con un’azione legale, bloccata solo grazie a una forte e diffusa indignazione internazionale.

Quel precedente poteva aprire una breccia importante: nel 2003 fu approvata la Dichiarazione di Doha secondo la quale i Paesi in via di sviluppo potevano godere di deroghe per l’accesso ai farmaci. Da allora, tuttavia, non è cambiato quasi nulla. L’idea che tutti e tutte possano avere accesso alle cure indispensabili cozza con il principio a fondamento dei monopoli farmaceutici: la proprietà intellettuale e i brevetti, ma perché è così automatico che essi appartengano alle aziende? Le ricerche che hanno portato alla produzione dei vaccini sono state finanziate largamente dal pubblico che in questo momento paga due volte: nella ricerca e nell’acquisto delle dosi. Tre, se consideriamo l’assunzione dei rischi di eventuali effetti collaterali. Quattro, annoverando anche gli investimenti ordinari in ricerca e innovazione.

Le case farmaceutiche hanno ricevuto 83,5 miliardi di fondi pubblici per lo sviluppo del vaccino. La Banca Europea per gli Investimenti ha finanziato con 100 milioni la ricerca di Pfizer, la Commissione ha acquistato 200 milioni di dosi di Pfizer e 80 milioni di Moderna. Per la ricerca, lo sviluppo e l’acquisto delle dosi di Astrazeneca sono stati investiti 336 milioni di euro. Negli USA Moderna ha percepito 2,5 miliardi di dollari per la ricerca, continuando a vendere le singole dosi a prezzi esorbitanti. La ricerca di Pfizer si è basata sull’applicazione della tedesca BionTech, che ha richiesto 450 milioni di dollari. Tutti i finanziamenti sono stati erogati a scatola chiusa: l’acquisto delle dosi è stato posto a garanzia della ricerca, a prescindere dagli esiti, e non viceversa.

Un regime del genere è irrazionale anche ai più convinti fautori del liberismo: il rischio è completamente socializzato, dagli investimenti alle possibili conseguenze, mentre è privatizzato il profitto, anche se questo implica mettere a rischio vite umane.

Sappiamo già che questa è stata la prima pandemia della contemporaneità, ma non sarà l’ultima: è urgente farci trovare pronti a prevenirli e contrastarli. Nel mondo sono morte quasi tre milioni di persone, quasi un milione di queste erano europee, più di 110mila i deceduti italiani. La vera battaglia contro le pandemie dovrebbe cominciare adesso e avere come priorità la salute delle persone, anche se questa toglie profitti alle case farmaceutiche.

 

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