Con l’esclusione dei riformisti l’Iran è sempre più vicino a un governo conservatore

I nomi dei sette candidati ammessi a competere alle elezioni presidenziali iraniane del 18 giugno sono stati finalmente svelati. Il conservatore Ebrahim Raisi, attuale capo del potere giudiziario ed ex-sfidante di Hassan Rouhani alle elezioni del 2017, ha il sostegno della Guida Suprema Ali Khamenei e sembra essere il candidato favorito a succedere alla leadership moderata.

Giulia Della Michelina

Martedì 25 maggio il Consiglio dei Guardiani, l’organo composto da 6 religiosi nominati dalla Guida Suprema e 6 giuristi confermati dal Parlamento su proposta del Capo del sistema giudiziario, ha annunciato i nomi dei candidati selezionati per la corsa alle presidenziali. Su 592 aspiranti (tra cui anche quaranta donne), solo sette sono stati ammessi alla competizione, di cui cinque appartenenti all’ala conservatrice. Tra gli esclusi eccellenti ci sono l’ex-presidente Mahmoud Ahmadinejad e l’attuale vice-presidente riformista Eshaq Jahangiri. L’esclusione di Ahmadinejad, su cui non c’erano dubbi considerando che la sua candidatura era già stata respinta nel 2017, ha provocato l’ira dell’ex-presidente. Nonostante l’avvertimento di un generale dei pasdaran che l’avrebbe sconsigliato di ribellarsi alla decisione del Consiglio, Ahmadinejad ha affermato di non aver intenzione di arrendersi. Molto discussa è anche la bocciatura della candidatura di Ali Larijani, ex presidente del parlamento iraniano e probabilmente unico credibile competitor di Raisi. Pur appartenendo allo schieramento dei conservatori, le posizioni di Larijani sono spesso state definite pragmatiche, come quando si schierò a favore dell’Accordo sul nucleare (JCPOA) del 2015. Il fratello di Larijani, Amoli Larijani, ha definito la scelta del Consiglio dei Guardiani “indifendibile”, pur essendo egli stesso un membro del Consiglio, e ha sottolineato il crescente coinvolgimento dei servizi segreti nella politica iraniana.

Tra i candidati il principale favorito sembra essere dunque il religioso conservatore Raisi, forte dell’appoggio della Guida Suprema e politico di lungo corso nel regime di Teheran. Famoso per aver fatto parte delle cosiddette “commissioni della morte” nel 1988, Raisi è stato tra i responsabili dell’oscura stagione che portò all’esecuzione sistematica di migliaia di prigionieri e oppositori politici della Repubblica Islamica, specialmente tra le fila del partito comunista Tudeh. Il suo nome è legato al lato più repressivo, conservatore e intransigente del nizam (il sistema politico iraniano) e la sua eventuale elezione difficilmente contribuirebbe a distendere i rapporti internazionali e ad alleviare l’isolamento del paese. La preoccupazione più imminente per gli osservatori occidentali riguarda i negoziati sull’Accordo sul nucleare, ripresi tra diverse difficoltà con l’insediamento di Joe Biden alla Casa Bianca, dopo che il suo predecessore Donald Trump se ne era ritirato unilateralmente nel 2018.

I candidati riformisti ammessi a partecipare alle elezioni sono il governatore della Banca Centrale Abdolnaser Hemmati e l’ex vice-presidente durante il secondo governo Khatami Mohsen Mehralizadeh, che non sembrano però rappresentare un vero pericolo per il favorito Raisi. Per il fronte dei moderati le prospettive sono piuttosto fosche, considerando la mancanza di un candidato di peso, ma anche le pressioni e le critiche avanzate dai conservatori, che rappresentano la maggioranza parlamentare dopo le elezioni del 21 febbraio 2020. La grave crisi economica che sta attraversando l’Iran e la sciagurata gestione della pandemia hanno eroso il consenso dell’ala moderata, mentre i falchi hanno approfittato del fallimento del JCPOA per stigmatizzare l’apertura all’Occidente. Le sanzioni imposte dal governo americano gravano pesantemente sull’economia iraniana, piegata dal costante aumento dell’inflazione ma anche dall’endemica corruzione e dalla difficoltà del governo ad adottare misure adeguate a risollevare la situazione economica. Secondo Ahmad Tavakoli, membro del Consiglio di convenienza del regime, il 60% della popolazione vive sotto la soglia di povertà. Gli iraniani sono ormai allo stremo e se il governo non interverrà con decisione e lungimiranza – ha continuato Tavakoli – dovremmo aspettarci una rivolta contro questa situazione insostenibile.

La procedura di selezione ad opera del Consiglio dei Guardiani avviene secondo i requisiti elencati nella costituzione iraniana, ma l’organo non è tenuto a comunicare le motivazioni delle sue scelte inappellabili. Inoltre, il recente annuncio per cui sarebbero stati considerati soltanto i candidati tra i 40 e i 75 anni che non avessero riportato condanne (incluse quelle per reati politici) è stato letto da molti come un’illegittima forzatura delle prerogative del Consiglio previste dalla legge. In questo modo infatti si decretava implicitamente l’esclusione del candidato riformista Mostafa Tajzadeh, che ha scontato sette anni di carcere per aver essersi schierato apertamente con le proteste del movimento Onda Verde del 2009, e l’attuale ministro dell’Informazione e della Comunicazione Tecnologica Mohammad Javad Azari Jahromi, non ancora quarantenne. Tajzadeh ha contestato con forza la decisione del Consiglio dei Guardiani, affermando che farà «di tutto per eliminare questo tipo di sorveglianza e mettere fine alla manipolazione delle elezioni». Anche altri esponenti riformisti hanno criticato questa scelta, come Azar Mansouri del Fronte dei Riformisti Iraniano, che ha accusato il Consiglio di aver agito illegalmente «violando il diritto del popolo a votare in libere elezioni».

Se questo meccanismo di selezione rende già poco credibile il processo di partecipazione democratica, va anche sottolineata l’arbitrarietà dell’operato della Guida Suprema che, come già avvenuto in passato, potrebbe riammettere i candidati esclusi a suo insindacabile giudizio. Considerando la tendenza sempre più marcata all’astensionismo degli elettori e delle elettrici, Khamenei potrebbe approfittare del suo potere per riammettere dei candidati e scongiurare il rischio di una partecipazione ancora più bassa di quella registrata alle legislative dello scorso anno (la più scarsa nella storia della Repubblica Islamica). In questo senso andrebbe anche una lettera che l’attuale presidente Rouhani ha inviato alla Guida per chiedere la riammissione dei candidati riformisti e moderati. Rouhani ha sottolineato attraverso il proprio portavoce che «la bassa partecipazione non avvantaggia nessuno e il principale perdente sarà il popolo».

Lo scollamento evidenziato dal giornale riformista “Etemad” tra la lista dei candidati approvata dal Consiglio dei Guardiani e le reali esigenze degli iraniani rischia effettivamente di concretizzarsi in un boicottaggio di massa delle elezioni. I conservatori ne uscirebbero vincitori, ma con una scarsissima legittimità di voti e la sfiducia e la frustrazione degli iraniani potrebbe riaccendere le proteste che hanno infiammato le strade del paese nel 2018 e nel 2019.

Queste elezioni potrebbero inoltre portare Raisi a capitalizzare il consenso già ottenuto nella tornata del 2017 (dove si era aggiudicato il 38% dei voti) e addirittura spianargli la strada verso mire ancora più ambiziose. Il problema della successione della Guida che si pone ormai da anni potrebbe infatti risolversi con l’imporsi del conservatore, qualora ottenesse la legittimità dell’elezione presidenziale.
La presa di coscienza di un più che probabile cambio di linea di Teheran potrebbe d’altra parte accelerare i negoziati di Vienna sull’Accordo sul nucleare, dal momento che questa potrebbe essere l’ultima possibilità per cercare di rianimare un’intesa di cui entrambe le parti hanno bisogno.

 

(credit Mehr News Agency, CC BY 4.0 via Wikimedia Commons)



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