Caravaggio e il Casino Ludovisi: la vendita del secolo

Mancano pochi giorni all’asta milionaria del Casino Ludovisi, un angolo di paradiso nel centro di Roma dove sono custoditi capolavori di Caravaggio e Guercino. In attesa di sapere chi sarà il nuovo proprietario, cerchiamo di fare luce tra le molte polemiche.

Mariasole Garacci

“Lo Stato acquisti il Casino dell’Aurora”: la petizione su change.org perché il governo italiano usi parte del PNRR per acquistare lo storico edificio tra Villa Borghese e Via Veneto, a Roma, in poco tempo ha raggiunto quasi 35.000 firme e le pagine di tutte le testate italiane e internazionali. Scrigno di opere d’arte preziose (è ormai celebre il murale di Caravaggio, da molti impropriamente chiamato “affresco” per la disperazione degli storici dell’arte), tra pochi giorni il Casino dell’Aurora, detto anche Casino Ludovisi dal nome dei suoi proprietari (Gregorio XV lo acquistò nel 1622 per il nipote Ludovico Ludovisi), andrà all’incanto con una base d’asta di 353 milioni di euro su un valore stimato di 471, con rilanci di un milione per volta. La vendita, a cui sono stati invitati ventimila milionari da tutto il mondo, la cui identità resta segreta, si svolgerà telematicamente per 24 ore a partire dalle 15.00 del prossimo 18 gennaio, e vi sarà ammesso solo chi abbia versato il 10% dell’importo di partenza.

La vendita del Casino Ludovisi è stata disposta dal Tribunale di Roma con una sentenza che costringe a risolvere una situazione di stallo tra eredi: dopo la morte, nel 2018, del principe Nicolò Boncompagni Ludovisi, ultimo proprietario e rampollo della famiglia, infatti, è scoppiata una contesa tra la vedova Rita Jenrette Boncompagni Ludovisi, née Carpenter in Texas, che tuttora risiede nella proprietà, e i tre figli maschi nati dal primo matrimonio del principe Nicolò. “In confronto – ha raccontato la principessa a Forbes – “la serie Succession di HBO sembra un gioco da bambini”.

Se la proprietà romana fosse venduta al prezzo del valore stimato, batterebbe il record per la casa più costosa mai acquistata, superando il Pollock Path’s Estate di Hong Kong battuto da Christie’s, nel 2017, per 360 milioni di dollari. Ma c’è chi prevede che l’asta andrà deserta: poco conveniente, anche per un milionario, investire su un bene dichiarato di interesse culturale sottoposto a vincoli di tutela. Per di più nel cuore di Roma, ormai culturalmente ed economicamente stagnante rispetto al fervore di altre capitali mondiali. E, allora, si dovrà procedere a successive aste con prezzi sempre più bassi.

Ma com’è stato fissato il valore di questo insieme pittorico e architettonico unico, inamovibile e vincolato? La cronaca ci ha abituati alla compravendita di opere d’arte a cifre astronomiche, e dunque al fatto che il loro valore venga quantificato e determinato dal gioco della domanda e dell’offerta. Sappiamo, dunque, che il prezzo di un’opera d’arte è, molto semplicemente, quello che il mercato è disposto a pagare. Basti pensare al Salvator Mundi, ritenuto un’opera di Leonardo da Vinci, reso noto in una mostra alla National Gallery di Londra solo nel 2011 e venduto da Christie’s nel 2017 a oltre 450 milioni di dollari facendone l’opera d’arte più costosa mai acquistata. Il quadro, ora, si trova in una collezione privata con ubicazione sconosciuta, forse negli Emirati Arabi.

Eppure ci sono opere d’arte a cui ci sembra di non poter dare un valore. Quanto vale la Cappella Sistina? Quanto valgono le Stanze di Raffaello, gli affreschi di Piero della Francesca ad Arezzo? Quanto vale Fontana di Trevi? Sono testimonianze dell’ingegno e della creatività umana che riteniamo inestimabili. E, considerazione un meno ideale, sono effettivamente beni complessi, cioè insiemi inscindibili dal loro contesto.

Ebbene, il valore del Casino Ludovisi, con il dipinto murale attribuito a Caravaggio, è stato stimato da uno storico dell’arte, docente della Sapienza e accademico dei Lincei, Alessandro Zuccari, applicando il metodo dei comparables, che in alta finanza si usa per attribuire un prezzo considerando gli assets analoghi venduti precedentemente. In questo caso, si è fatto riferimento al dipinto caravaggesco Giuditta che decapita Oloferne, ritrovato nel 2014 in una soffitta di Tolosa e affidato per la vendita alla casa d’aste Labarbe con una stima di circa 150 milioni di euro.

Un dipinto, quest’ultimo, la cui attribuzione al pittore lombardo è in realtà molto dubbia. E c’è chi ha argomentato che, procedendo in questo modo, si dovrebbero piuttosto considerare le stime assicurative di opere di Caravaggio che, a differenza della Giuditta francese, siano certe e documentate. C’è anche da considerare il fatto che il Casino Ludovisi costituisce un insieme di opere pittoriche e architettoniche inserite in un bene complesso: nello stesso edificio si trovano altri capolavori (trascurati dai testi delle petizioni online) tra cui l’Aurora di Guercino, che dà il nome a questo luogo, insieme con i lavori di Paul Brill e di Agostino Tassi, e i mosaici di Marcello Provenzale.

Ma la vendita di una proprietà storica da sempre appartenuta a privati è legittima oppure no? Il Casino Ludovisi è in pericolo? Cosa può fare lo Stato italiano per proteggere questo pezzo di storia dell’arte nel cuore della città già dilaniato dalla lottizzazione dell’area alla fine del XIX secolo? Per rispondere obiettivamente a queste domande, è anzitutto necessario sgomberare il campo da alcune inesattezze diffuse dal testo della popolare petizione su change.org, secondo il quale il Casino “verrà venduto all’asta a privati quando lo Stato avrebbe dovuto esercitare il diritto di prelazione sull’inestimabile affresco di Caravaggio”.

In Italia abbiamo un Codice dei Beni Culturali, ossia il decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, noto anche come Codice Urbani. Il diritto di prelazione dello Stato è disciplinato dal Capo IV – Sezione II (articoli 60, 61 e 62): potrà regolarmente essere esercitato soltanto dopo la conclusione della gara ed entro sessanta giorni dall’accordo economico tra venditore e acquirente. Quando, cioè, sarà stato pattuito un prezzo finale secondo le regole di mercato. Non è invece percorribile in questa situazione specifica, come ipotizzato da alcuni osservatori, la strada dell’esproprio, disciplinato dal Capo VII – Sezione II del codice (articoli 95-100).

Inoltre, è opportuno fare ancora qualche passo indietro e cercare di capire cosa si intende per “bene di interesse culturale dichiarato” e quali vincoli questa definizione comporta. Secondo il nostro codice, una serie di beni mobili e immobili appartenenti a persone giuridiche private diventano beni culturali quando sia intervenuta la dichiarazione prevista dall’articolo 13. Una volta dichiarato l’interesse culturale, il bene è soggetto a una serie di vincoli.

Per esempio, alla domanda se il dipinto murale di Caravaggio possa essere staccato dalla sua sede, magari per essere venduto o incorniciato nel soggiorno di un attico a Dubai, la risposta – negativa, per fortuna – è fornita dall’articolo 50 relativo al “distacco di beni culturali”, che al comma 1 stabilisce: “è vietato, senza l’autorizzazione del soprintendente, disporre ed eseguire il distacco di affreschi, stemmi, graffiti, lapidi, iscrizioni, tabernacoli ed altri ornamenti, esposti o non alla pubblica vista”. L’autorizzazione, comunque, può essere rilasciata, soltanto qualora dalla alienazione non derivi un grave danno alla conservazione o al pubblico godimento dei beni medesimi (articolo 57). Ancora, l’articolo 104 dello stesso codice, che tratta la fruizione di beni culturali di proprietà privata, stabilisce che “possono essere assoggettati a visita da parte del pubblico per scopi culturali” i beni culturali immobili indicati all’articolo 10, comma 3, lettere a): cioè le cose immobili e mobili che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico particolarmente importante e – d), quelli che rivestono interesse eccezionale.

Dunque la questione sembrerebbe pacifica: il bene è vincolato, e anche se continuerà a essere una proprietà privata, la legge consentirà allo Stato italiano di prescriverne la pubblica godibilità a scopi culturali. E allora le proteste sono del tutto infondate? No. Ci sono dei leciti motivi di apprensione: come abbiamo visto, esiste un codice; ma la prassi è, purtroppo, diversa. Soltanto a Roma si potrebbero citare diversi casi di beni appartenenti a soggetti privati, dichiarati alla soprintendenza ma non fruibili al pubblico. Sul fatto che un bene storico-artistico possa appartenere al privato o debba essere nella piena disposizione dello Stato, si possono certamente avere diverse opinioni. Ma in questo momento è soprattutto importante mantenere la lucidità sulle attuali e realistiche condizioni per il rispetto e la garanzia dei vincoli di tutela e fruibilità del Casino Ludovisi. Se, da una parte, la nostra giurisprudenza riconosce e rispetta i diritti della proprietà privata, e l’esercizio della prelazione si inserisce in una regolare negoziazione tra le parti, l’acquisto di beni culturali attraverso la prelazione è precisamente indirizzato alla tutela del patrimonio e a rimuovere i limiti alla sua fruibilità. Chiunque sia il prossimo proprietario (un privato, ma anche lo Stato) dovrà avere consapevolezza della responsabilità che assume acquistando un pezzo di storia dell’arte, e il Ministero della Cultura dovrà anzitutto pensare a formule più incisive e più chiare di quella attuale per la regolamentazione della fruibilità al pubblico.



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