Carlo III, ovvero le forme e i paradossi della Corona

Oggi democrazie solide come l’Inghilterra sono paradossalmente monarchie e talvolta sembra che questi capi di stato non eletti, riescano a tenere insieme i loro cittadini meglio di alcuni loro omologhi repubblicani. Nei reami del Commonwealth, però, la monarchia inglese sembra dare segni di cedimento. Nelle ex colonie, l'immaginario della Corona appare sempre più estraneo e legato ad un passato di oppressione coloniale di cui non si può certo dirsi orgogliosi oggi

Kevin De Sabbata

Occasioni come l’incoronazione di Carlo III d’Inghilterra, a cui abbiamo assistito sabato, portano inevitabilmente ad interrogarsi su che senso abbiano oggi monarchie e troni. In eventi del genere, l’anacronismo del rito e delle forme è evidente (ed è uno degli elementi che affascinano i turisti). Tuttavia, non bisogna dimenticare che spesso le istituzioni vivono di forme antiche e perfino antiquate, che però si riempiono di contenuti e assumono ruoli nuovi man mano che le società sottostanti evolvono.
Nella Roma di Augusto o nella Firenze dei Medici, un potere sostanzialmente assoluto veniva esercitato tramite istituzioni repubblicane. Così, all’opposto, oggi democrazie solide come l’Inghilterra, l’Olanda, i Paesi Scandinavi, sono monarchie. Anzi, talvolta si ha paradossalmente l’impressione che questi capi di stato non eletti, proprio perché al di fuori della politica, riescano a tenere insieme i loro cittadini meglio di alcuni loro omologhi repubblicani, che sono pur sempre espressione del gioco dei partiti. La forza (e il vantaggio) dei monarchi (costituzionali) sta nell’essere costretti alla completa neutralità. Come mostrato dal volume, recentemente curato da Robert Hazell e Bob Morris, le monarchie europee sopravvissute nel XX e XXI secolo sono quelle che sono riuscite a contenersi entro un ruolo meramente decorativo[1]. In Gran Bretagna il re non nomina giudici, non traghetta crisi di governo, non ricompone maggioranze e da queste non viene eletto. La Corona non falla perché non fa.

Questa neutralità è cruciale perché permette all’istituzione di essere buona per tutti e per tutte le stagioni. Nel nostro sistema repubblicano, finora, il Capo dello Stato è generalmente riuscito a rimanere una figura super partes, ma non sono mancati momenti in cui l’istituzione è rimasta quasi irreparabilmente vittima di controversie partitiche e critiche da parte di questo o quel leader. Inoltre, visto com’è andata l’ultima elezione per il Quirinale, c’è da aspettarsi che man mano che lo scontro politico si farà più polarizzato, sarà sempre più difficile trovare una figura veramente unificante da eleggere. Invece, come dice Walter Bagehot in The English Constitution (1867), “se la nazione è divisa in partiti la Corona non è di nessun partito’’[2], ma si limita ad essere l’“elemento nobile” (dignified), che sta lì ed ispira reverenza e senso di appartenenza con “elementi teatrali, che fanno appello ai sensi, che pretendono di essere l’incarnazione dei più grandi ideali umani”[3]. È qui che entrano in gioco le anacronistiche cerimonie reali.

In Paura, reverenza, terrore, Carlo Ginzburg mostra magistralmente quanto immagini e simbologie siano sempre intensamente politiche e costituiscano un potente strumento di potere. Lo sono a maggior ragione nella nostra società della comunicazione e dei social media, in cui la rappresentazione conta spesso più dell’azione politica. Chi, come me, era per le strade di Londra ad assistere all’incoronazione, ha potuto constatare come il sapiente uso dell’evento, della musica e della coreografia militare, ancora paradossalmente in sintonia con un certo culto dell’immagine e dell’apparire a tutti i costi tipico dei giorni nostri, possano essere efficaci nel creare un magari superficiale, ma comunque importante, senso di appartenenza collettiva. Si tratta di qualcosa che, in Italia, non ha mai funzionato del tutto e per un buon motivo.

Infatti, vi è una fondamentale differenza storica fra noi e gli inglesi, ed è ovviamente che noi abbiamo vissuto come nostro il trauma della dittatura fascista. Ciò ci ha reso certe forme di stato e certe cerimonie sospette e ci ha costretti (per fortuna) a fondare la nostra identità su cose più concrete di un uomo in carrozza dorata. Gli inglesi non hanno avuto questa esperienza e, mentre guardano le truppe verso Buckingham Palace, possono ancora raccontarsi che sono loro che hanno liberato l’Europa dalla tirannia. Questa retorica ha contribuito al sempreverde eccezionalismo british che è in parte alla base della Brexit. Inoltre, la mancanza di un vero momento di redde rationem istituzionale è anche alla base di una serie di debolezze del sistema costituzionale e sociale britannico, da un lato regolato ancora da una costituzione flessibile e non codificata, che si affida più al self-restraint dei vari attori istituzionali che a chiare norme costituzionali, e dall’altro ad un sistema sociale ancora piuttosto classista, in cui i posti di potere tendono ad essere occupati dagli ex-studenti di un pugno di scuole private ed università d’élite. È un sistema che non manca di far sentire i suoi scricchiolii, come dimostrano le recenti crisi politico-istituzionali avvenute sotto i governi di Boris Johnson e Liz Truss.

Anche la Corona sembra naturalmente dare qualche segno di cedimento. Non mi riferisco alle diatribe con Harry e Meghan, né ai (per ora) minoritari movimenti antimonarchici e separatisti, ma piuttosto a quello che sta succedendo con i reami del Commonwealth. Proprio perché la monarchia vive essenzialmente in una dimensione simbolica il contenuto a cui il simbolo rimanda è fondamentale. Se all’interno dei confini del Regno Unito l’immaginario monarchico ha ancora il suo appeal, perché rimanda ad una storia di cui la maggioranza si sente ancora orgogliosa, nelle ex colonie del Nord America, dei Caraibi, dell’Oceania e dell’oceano Indiano, questo immaginario appare sempre più estraneo e legato ad un passato di oppressione coloniale di cui non si può certo dirsi orgogliosi oggi. È un capitolo della storia con cui l’Inghilterra non ha fatto del tutto i conti e che, probabilmente, la famiglia reale non potrà mai affrontare fino in fondo, perché vi è troppo invischiata sia a livello storico che simbolico. Del resto, un sovrano Europeo a capo di paesi lontani miglia è sicuramente un fatto bizzarro e questo sì veramente paradossale. Di tutti gli anacronismi e i paradossi che una monarchia deve affrontare nel mondo moderno, questo sarà probabilmente il più difficile da superare, indipendentemente da quanto splendide saranno le forme sotto le quali la Corona si presenterà.

[1] R. Hazell e B. Morris (a cura di), The Role of Monarchy in Modern Democracy. European Monarchies Compared, London, Hart, 2020.

[2] W. Bagehot, The English Constitution (1867) edito da Oxford University Press, 2001, p. 45. Trad. It. disponibile in W. Bagehot, La Costituzione Inglese, trad. di S. Pastorino, Bologna, Il Mulino, 1995.

[3] W. Bagehot, The English Constitution, cit., p. 9

 

Foto Flickr | Department for Culture, Media and Sport

 



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