Caro direttore, aboliamo il 25 aprile

Scrive un lettore: ci prepariamo a praticare quel futile esercizio di aspettare al varco i nostri governanti per prenderli in castagna su ciò che diranno o non diranno sull’argomento? Futile e sterile. Sterile perché non serve a nulla, la maggioranza non cambia certo strada, anzi. Se abolissimo il 25 Aprile eviteremmo pertanto anche di far perdere tempo al governo e a chi, nell’informazione diciamo così d’opposizione, si troverebbe a dover commentare malevolmente per iscritto, in video eccetera gesti, parole e/o silenzi del governo medesimo.

Giovanni Destefanis

Caro Direttore,
già il titolo, l’oggetto della lettera – “Aboliamo il 25 aprile” – è chiaro: non contiene punti interrogativi, né altri vocaboli che potrebbero alterarne il senso. Un verbo e un complemento. E neanche un possibile congiuntivo esortativo, ma piuttosto un imperativo.
Meglio esordire così, senza preamboli, premesse e neanche autopresentazioni di chi scrive, che si paleserà senz’altro nel prosieguo.
La Festa Nazionale del 25 Aprile deve essere abolita. Per pubblica utilità, tra cui non ultima il recupero di una giornata lavorativa, a vantaggio dell’economia e delle finanze del paese. Ma l’utilità non si fermerebbe qui. L’abolizione esimerebbe ad esempio l’allestimento, in qualche modo oneroso, di manifestazioni pubbliche, di eventi correlati, di cerimonie, di spostamenti di personaggi che se importanti e in rappresentanza dei loro ruoli istituzionali comporterebbero costi aggiuntivi di trasporto, personale di accompagnamento e di scorta ecc. Ma proseguiamo nell’enumerazione dei vantaggi: là dove ancora più o meno stancamente la ricorrenza viene celebrata, da un lato, un manipolo di anime belle si scervellano nel tentativo di trovare elementi attualizzanti, rivivificanti, il più possibile sottratti alla ritualità e alla connessa retorica che da un numero ormai cospicuo di anni caratterizzano l’evento. La cancellazione eviterebbe tali fatiche. Così come eviteremmo penosi disagi a quella categoria sempre più sparuta di nonagenari o centenari che nell’occasione vengono tirati fuori a viva forza dalle loro protette dimore, fossero anche ospizi, rivestiti di fazzoletti da collo, riappuntati di medaglie ossidate, inframmezzati da gagliardetti sbiaditi e portati in qualche luogo simbolico, non di rado impervio dove qualcuno magari meno nonagenario, ma neanche troppo, con voce roca e rotta ripete un copione che prevede orgoglio lacrime ed applausi. E dove è possibile il pranzo in trattoria.

Dall’altro lato, dove della ricorrenza non si fa neppure la più pallida menzione, a cosa serve? Pensi, signor Direttore anche a quelle scuole dove ancora qualche bravo insegnante, non il giorno stesso che è vacanza, ma magari nei giorni precedenti ha tenuto una bella lezione di storia e di antifascismo, ha poi noleggiato film d’epoca per proiettarli alla scolaresca, da “Roma città aperta” a “Schindler’s List” passando magari anche per l’onnipresente Benigni di “La vita è bella”. Anche a quei bravi insegnanti sarebbe risparmiata la fatica della quale essi stessi avvertono, di anno in anno, l’inutilità. Penso a quei bambini e ragazzi a cui viene chiesto: lo sai perché domani si fa vacanza? Utile esercizio anche per lei signor Direttore, ponga la domanda a qualche frugolo di sua conoscenza. E non scelga gli intervistati tra i figli delle classi cosiddette medie, colte, borghesi. Benché non potrebbero mancarle sorprese anche lì.

Giornali, quotidiani e periodici che si definiscono progressisti ed impegnati non si sentirebbero più moralmente costretti ad intervistare qualcuno dei già citati nonagenari o centenari (più facilmente di sesso femminile, le donne, si sa, sono più longeve), a inserire storie, commenti, articoli, narrazioni, immagini che richiamano la Resistenza e il suo vittorioso compimento. Ripetizioni di ripetizioni. Nella fattispecie poi, ed è uno degli aspetti più immediatamente percepibili, quest’anno in particolare, eviteremmo che i membri del Governo a partire dalla signora Presidente del Consiglio, chiaramente e dichiaratamente anti-antifascisti, siano costretti ad esibire una natura che non è la loro, a mentire pubblicamente o ad inventare ogni sorta di artifizio retorico (e non) per non poter mancare, obtorto collo senza dubbio, ad un rituale civile che sentono estraneo, ostile, insopportabile. Come se chiedessimo con ineludibile istanza ad un ateo professo e conclamato di salire all’ambone e tenere l’omelia della Messa, anzi a concelebrare l’intero sacro rito.

Non veda, stimato Direttore, in queste mie considerazioni, ombra di sarcasmo o anche solo di ironia, perché mi sforzo sinceramente, mi creda, di non lasciarmi trascinare. E appunto sul Governo, ribadisco senza alcuna ironia, perché questa maggioranza, liberamente scelta dal popolo italiano in regolari e legittime elezioni, dovrebbe sentirsi obbligata a celebrare un evento di cui disconosce di fatto significato, vincoli etici e comportamenti correlati? Almeno per quel che concerne il ripudio dell’antifascismo, la vicinanza culturale e anche “morale”, anzi la continuità con i valori, gli atteggiamenti, le scelte che la Resistenza combatté e che anche la Costituzione implicitamente per i suoi contenuti ed esplicitamente rigetta, questi partiti di maggioranza, sia pure con diverse intensità, non hanno certo mentito al loro elettorato. E quell’amplissima parte di esso che non ha votato né per loro né per le opposizioni (cosiddette…), nonostante i proclami e i moniti di queste ultime, specie di parte PD, non ha ritenuto necessario spendere il proprio voto per contrastarne l’ascesa. Anzi, si può dire che dalla metà degli anni 90, con la “discesa in campo” di Berlusconi che stravinse tra l’altro lottando gagliardamente contro un comunismo già affossato dalla caduta del Muro di Berlino di qualche anno prima ed evaporato ormai del tutto anche dai petti dei nostri più fieri rivoluzionari d’antan, l’antifascismo cessò di essere una “tabù” del vocabolario politico; il 25 Aprile divenne per l’Uomo di Arcore e per i suoi soci di governo una festa “divisiva”, ci si acconciò a correttivi, contorsionismi storici, artate confusioni di ruoli e di valori. Le famose “foibe” irruppero di gran carriera nel dibattito, i distinguo tra ragioni e torti storici si ispessirono, furono dirimenti. Le acque si intorbidirono. Non la faccio lunga. Anche chi successe a Berlusconi fino ai giorni nostri non manifestò poi quel gran desiderio di rimediare sul serio alla devastazione. Meloni non nasce improvvisamente sotto un cavolo nell’orto, non proprio innocente e biologico, della nostra cultura politica. I conti son presto fatti.

Ci prepariamo a praticare quel futile esercizio di aspettare al varco i nostri governanti per prenderli in castagna su ciò che diranno o non diranno sull’argomento? Futile e sterile. Come quello di chi ancora nei giorni scorsi reclamava con piglio nobile e solenne che La Russa, Presidente del Senato, Seconda Carica Istituzionale della Repubblica, fosse tenuto a discolparsi, ad abiurare il fascismo e a fare professione di antifascismo dopo la cosiddetta gaffe su Via Rasella, a tutti nota per doverla citare. O come tirare per la giacchetta Meloni quando alle Fosse Ardeatine ha parlato di “italiani” trucidati incolpevolmente per essere tali. Sterile perché non serve a nulla, la maggioranza non cambia certo strada, anzi. Se abolissimo il 25 Aprile eviteremmo pertanto anche di far perdere tempo al Governo e a chi, nell’informazione diciamo così d’opposizione, si troverebbe a dover commentare malevolmente per iscritto, in video etc. gesti parole e/o silenzi del Governo medesimo.

Pensa lei, signor Direttore, che, se non per la soppressione di una festività, di una vacanza, di un possibile “ponte” (quest’anno cadrà di martedì, quindi quale più ghiotta occasione…) la maggioranza del popolo italiano si adonterebbe, tumultuerebbe, scenderebbe in piazza? Il paese (Meloni rispolvera la Nazione…) guarda altrove, pensa ai fatti suoi. Dal combinare il pranzo con la cena al, senza molti passaggi intermedi ahimè, tenere il computo del contenuto dei propri forzieri, come uno Zio Paperone decisamente più antipatico dell’originale. Ma anche alle vacanze, allo shopping, all’auto, al mutuo e a tutti quegli altri brutti sporchi e cattivi che non si riesce a far stare a casa loro…

Aboliamolo questo 25 Aprile, caro e stimato Direttore. Si faccia promotore di una raccolta di firme alla bisogna, lei la ascoltano. Se proprio non si può cancellare la vacanza, trasformiamolo in una specie di festa pagana, una sorta di “Sacre du Printemps” giustamente primitiva e fracassona, dove fascisti e antifascisti, immemori e inconsapevoli ciascuno della propria intima collocazione, possano rotolarsi allegramente insieme sui prati e stappare bottiglie di vino novello. “In vino veritas”, chissà.

CREDITI FOTO: ANSA/Orietta Scardino. La manifestazione per l’anniversario della Liberazione con un corteo cui partecipano centinaia di persone con molti giovani a Catania, 25 aprile 2023.



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