La sentenza della Consulta sul caso “Open”. Quale giornalismo nello Stato di diritto?

Un commento alla decisione della Consulta che giovedì 27 luglio ha accolto il conflitto di attribuzioni sollevato dal Senato contro la Procura di Firenze.

Giuseppe Panissidi

Deflagra sui media la traduzione politichese fast food della recente pronuncia costituzionale sull’affaire Open. La (pretesa) vittoria di Matteo Renzi e la (pretesa) sconfitta della procura di Firenze. Il gioco delle fazioni si esibisce in servizio permanente effettivo.
Il diritto e lo Stato dileguano.
In realtà, l’oggetto proprio dei conflitti tra poteri dello Stato sono le attribuzioni, previste e garantite dalla Costituzione, ogniqualvolta sembrino compromesse da atti o comportamenti concreti. E la Corte è chiamata a ripristinare il corretto esercizio delle attribuzioni costituzionali, allo scopo di mantenere quell’equilibrio di “pesi e contrappesi” tra i poteri, indefettibile garanzia di libertà e di buon funzionamento delle istituzioni democratiche.
Nel caso che occupa, un potere dello Stato, il Senato della Repubblica, ha lamentato che la propria sfera di attribuzioni, costituzionalmente garantite, sia stata ferita dal comportamento, ritenuto illegittimo e comunque lesivo, posto in essere da un altro potere dello Stato, la giurisdizione penale, nell’esercizio di una funzione propria di quest’ultima. Un vulnus schematizzato in dottrina come “conflitto da menomazione”, e che, peraltro, nella prassi è il più frequente.

In altri termini, l’intervento della Corte, alla stregua della sua funzione costituzionale, lungi dal distribuire torti e ragioni tra o a singoli, è finalizzato unicamente alla protezione del quadro democratico-costituzionale sovraordinato.
Ci si trova, infatti, in presenza di una sentenza esemplarmente limpida, seguita da un comunicato che non lascia margini per dubbi. “La Corte costituzionale ha accolto il conflitto di attribuzione proposto dal Senato nei confronti della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Firenze, nella parte in cui era diretto a contestare la legittimità dell’acquisizione di corrispondenza del sen. Renzi in violazione dell’art. 68, terzo comma, Cost.”.
Cosicché, sebbene la controversia sia stata causata dal sequestro da parte della procura fiorentina di alcuni messaggi scambiati mediante l’applicazione Whatsapp da Matteo Renzi, il senatore rileva incidenter tantum, in via puramente incidentale, quale membro pro tempore del Senato della Repubblica che ha formalmente sollevato il “conflitto di attribuzione”.

E potrebbe finanche sembrare la riscoperta dell’acqua calda, visto che i giudici costituzionali si limitano a sancire e ribadire che la messaggistica elettronica rientra nella nozione ordinaria di “corrispondenza” ed è inviolabile in costanza delle speciali garanzie previste qualora sia spedita da o diretta a parlamentari.
Posto che la corrispondenza è uno scambio comunicativo, “posta elettronica e messaggi inviati tramite l’applicazione WhatsApp… rientrano a pieno titolo nella sfera di protezione dell’art. 15 Cost., apparendo del tutto assimilabili a lettere o biglietti chiusi. La riservatezza della comunicazione, che nella tradizionale corrispondenza epistolare è garantita dall’inserimento del plico cartaceo o del biglietto in una busta chiusa, è qui assicurata dal fatto che la posta elettronica viene inviata a una specifica casella di posta, accessibile solo al destinatario tramite procedure che prevedono l’utilizzo di codici personali; mentre il messaggio WhatsApp, spedito tramite tecniche che assicurano la riservatezza, è accessibile solo al soggetto che abbia la disponibilità del dispositivo elettronico di destinazione, normalmente protetto anch’esso da codici di accesso o altri meccanismi di identificazione… Sostenere il contrario, in un momento storico nel quale la corrispondenza cartacea, trasmessa tramite il servizio postale e telegrafico, è ormai relegata, nel complesso, a un ruolo di secondo piano, significherebbe d’altronde deprimere radicalmente la valenza della prerogativa parlamentare in questione”.

Ne discende che “gli organi investigativi sono abilitati a disporre il sequestro di “contenitori” di dati informatici appartenenti a terzi, quali smartphone, computer o tablet: ma quando riscontrino la presenza in essi di messaggi intercorsi con un parlamentare, debbono sospendere l’estrazione di tali messaggi dalla memoria del dispositivo e chiedere l’autorizzazione della Camera di appartenenza per poterli coinvolgere nel sequestro. Ciò a prescindere da ogni valutazione circa il carattere “occasionale” o “mirato” dell’acquisizione dei messaggi stessi”. Nonché, indipendentemente, per le ragioni anzidette – un equivoco alquanto diffuso – dall’eventuale circostanza che le regiudicande concernenti i parlamentari si riferiscano ad attività pre o extra parlamentari, ovvero che la pronuncia incida su altri procedimenti penali in itinere. Alla Corte, si deve ribadire, non pertiene alcuna libertà creativa o intrusiva riguardo alla giurisdizione penale. Essa ha un unico compito: proteggere la Costituzione vigente, principio e cardine dell’ordinamento statuale. È di tutta evidenza che, in caso contrario, saremmo in pericolo, tutti e ciascuno, non solo le istituzioni democratiche…

Del resto, la Corte aveva già chiarito – la stessa procura fiorentina lo ricorda – nella sentenza n. 390 del 2007, con particolare riferimento alla materia delle intercettazioni, ma con rilievi che si estendono all’intero art. 68, terzo comma, Cost., e quindi anche al sequestro di corrispondenza, che la previsione della citata norma costituzionale risulta interamente soddisfatta dalla disciplina dell’autorizzazione preventiva, la quale deve trovare applicazione “tutte le volte in cui il parlamentare sia individuato in anticipo quale destinatario dell’attività di captazione, ancorché questa abbia luogo monitorando utenze di altri soggetti”.
Certamente, l’indirizzo della giurisprudenza di legittimità penale non è per nulla monolitico. Tuttavia,  “la Corte di Cassazione – scrivono i giudici costituzionali – non ha compresso l’oggetto della tutela penale alla sola corrispondenza in transito, ma ha associato l’inviolabilità penalmente sanzionata al concetto di «busta chiusa», che per la corrispondenza digitale si identifica nella criptazione del documento elettronico ad uso esclusivo del destinatario: donde la ritenuta configurabilità del reato nel caso in cui venga presa cognizione della corrispondenza telematica conservata nell’archivio di posta elettronica”.

In ogni caso, poiché non si tratta “di privati cittadini”, e neanche della persona di un senatore, bensì delle guarentigie del Senato della Repubblica, rispetto alle comunicazioni di un suo membro vengono, per l’appunto, in rilievo specifiche e ulteriori esigenze costituzionali. La garanzia prevista dall’art. 68, terzo comma, Cost. è, infatti, strumentale alla salvaguardia delle funzioni parlamentari [non del singolo parlamentare], mirando ad evitare che intercettazioni o sequestri di corrispondenza siano indebitamente finalizzati ad incidere sul mandato elettivo, divenendo fonte di condizionamenti e pressioni sulla libera esplicazione dell’attività. Tali esigenze non verrebbero meno a fronte del fatto che il messaggio è stato letto, tanto più che esso rimane criptato e conservato all’interno dell’apparecchio, così come avverrebbe nell’ipotesi di corrispondenza cartacea ove la busta, dopo l’apertura, venga di nuovo sigillata dal ricevente”. Anche una comunicazione epistolare cartacea, quand’anche già letta, è corrispondenza!
Al riguardo, inequivoca la giurisprudenza della Corte EDU, la Corte europea dei diritti dell’uomo, la quale, nell’interpretazione dell’art. 8 CEDU, la Convenzione europea dei diritti umani, avrebbe offerto una interpretazione della nozione di corrispondenza non limitata al momento del flusso, includendovi anche la posta elettronica e la messaggistica istantanea già ricevute dal destinatario. La stessa Corte di Cassazione civile “apparirebbe, d’altronde, orientata nella medesima direzione”.

La ratio giuridico-costituzionale equilibrata dell’indirizzo sancito dalla Corte si palesa, in modo incontrovertibile, nel punto in cui rigetta il ricorso del Senato “nella parte in cui veniva contestata l’acquisizione da parte della Procura, senza autorizzazione, dell’estratto del conto corrente personale del Senatore Renzi, in quanto non era stato spedito dalla banca al parlamentare, ma allegato a segnalazioni di operazioni bancarie provenienti da uffici della Banca d’Italia”.
Se ci è consentito un rilievo integrativo delle specifiche deduzioni argomentative della Corte, le tesi avverse, oltre a incidere e incrinare la prerogativa parlamentare, confliggono apertamente con le comuni pratiche e le valutazioni dell’ordinario intelletto umano, ormai saldamente costituito e radicato entro l’odierno scenario tecnologico avanzato. Solo per esemplificare intorno all ‘uso del linguaggio. A chi ci segnalasse di avere vanamente inviato un messaggio di posta elettronica al nostro account, correttamente potremmo rispondere, vedi caso, di non trovarlo nella nostra… “corrispondenza”.

È, dunque, del tutto evidente che siffatta corrispondenza, ancorché “istantanea” e in “tempo reale”, conserva il proprio status anche dopo la ricezione/lettura da parte del destinatario. Di conseguenza, anche a prescindere dalla tutela costituzionale delle guarentigie parlamentari, essa non “degrada” a semplice “documento” a seguito e a causa di uno “iato temporale”, quando, ossia, “sia decorso un considerevole lasso di tempo dall’esaurimento del processo comunicativo stesso”.
Sembra appena il caso di ricordare che è trascorso più di mezzo secolo da quando, nel 1971, il primo messaggio di posta elettronica fu scambiato tra due università americane e che ben tre lustri ci separano dalla nascita dell’applicazione Whatsapp.
Senza sottacere, naturalmente, che una parte minoritaria della dottrina considera “corrispondenza” solo quella epistolare, l’invio chiuso, ossia, e qualsiasi invio aperto che contenga comunicazioni aventi carattere attuale e personale, come biglietti postali, cartoline postali e lettere. Invii circondati, ad opera del mittente, da precauzioni, come sigillare la busta, per evitarne la lettura da parte di terzi.

La Corte, viceversa, aderisce alla dottrina prevalente, secondo la quale la nozione di “corrispondenza” non è limitata alla forma epistolare, ma è più ampia e comprensiva, in quanto riferibile a ogni forma di comunicazione “a clausola aperta”. Implicito il riferimento alla possibilità, emersa ed espressa a più voci dall’Assemblea Costituente, che la norma concernente la segretezza della corrispondenza si adattasse nel tempo ai mezzi di comunicazione resi progressivamente innovativi e disponibili dallo sviluppo tecnologico. Non a caso, la legge n. 547/93 sulla criminalità informatica ne specifica conformemente la definizione: “Per corrispondenza si intende quella epistolare, telegrafica o telefonica, informatica o telematica ovvero effettuata con ogni altra forma di comunicazione a distanza; comunicazione è poi anche qualunque altra trasmissione a distanza dei suoni, immagini o altri dati”.
Nell’epoca della téchne contemporanea, la tecnologia innerva una dimensione pubblica ontologicamente altra dall’arte e dall’abilità artigianale e manuale dell’antichità greca classica. Eppure, secondo una potente intuizione originaria, “molte meraviglie vi sono al mondo / nessuna meraviglia è pari all’uomo”, recita il primo stasimo dell’”Antigone” di Sofocle. Perché l’uomo è grande e ingegnoso, “tremendo e straordinario”, fino a competere con gli dei, gelosi custodi delle tecniche, destinati allo scacco.

In tale prospettiva, appare sempre più superfluo il ricorso alla Corte Costituzionale per dirimere problematiche, pur cogenti, auto-evidenti e disponibili per il legislatore penale. Una democrazia avanzata deve mostrarsi capace di porsi credibilmente all’altezza della costellazione scientifico-tecnologica inaugurata, ben tre secoli addietro, dalla grande stagione dell’Illuminismo e che, dalla fine dell’Ottocento, non procede più a “ritmo lento”, ma, anzi, in costante e vorticosa accelerazione.
Il profilo politico, ampiamente controverso e controvertibile, e i connessi ulteriori risvolti giuridici del caso Open rimangono impregiudicati, evidentemente. Certo, tuttavia, è che neppure la più sincera e onesta passione politica e/o interesse partitico, dentro e fuori dai media, possono immaginare di perseguire l’arbitraria compressione dei principi e dei valori dello Stato di diritto, a fortiori nella sfera della giustizia costituzionalmente orientata.
Di converso, gli eroici furori (poco bruniani, invero) del simil-garantismo utilitario dovrebbero sorprenderci, prendere uno slancio etico-politico e civile e innalzarsi alla Costituzione come a un intero, anziché considerarla come un buffet in cui scegliere, di volta in volta, le pietanze da consumare, a spizzichi e bocconi, per intenderci…
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CREDITI FOTO Wikipedia | Krzysztof Golik 



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