Festeggiare il 25 aprile è ricordare l’abisso nel quale l’umanità può sprofondare

Noi veniamo dalla nostra Costituzione che ci ricorda che solidarietà, antirazzismo, libertà, democrazia, giustizia sociale sono i valori per cui i partigiani si sono battuti.

Cathy La Torre

Anche quest’anno non sarà possibile celebrare tutti insieme il 25 Aprile, niente cortei, niente parate, niente concerti antifascisti per i più giovani quasi a dare ragione a chi dice che si tratta di una ricorrenza che sta perdendo, anno dopo anno, la sua carica, la sua forza. Ha senso festeggiare il 25 Aprile, se il nostro Paese sta sprofondando, insieme al resto del mondo occidentale, in una crisi non solo economica, ma soprattutto di valori, senza precedenti messa ancora più in evidenza dalla pandemia? Ha senso festeggiare il 25 Aprile in un Paese in cui le minoranze sono ancora bersaglio dell’odio più becero e incomprensibile?

Festeggiare, o meglio celebrare, il 25 Aprile ha senso proprio alla luce della deriva sociale alla quale stiamo assistendo impotenti da troppo tempo. E oggi che i venti di guerra si fanno sempre più impetuosi, celebrare il giorno della Liberazione dal nazifascismo ha il significato fondamentale di ricordare l’abisso nel quale l’umanità può sprofondare.

L’inclinazione umana al conflitto è innata, ma disinnescare questa tendenza è possibile, anche se molto difficile. Uno dei modi è quello dell’educazione, dell’insegnamento, del tramandare la memoria. L’altro è quello delle leggi e delle norme che regolano la condotta individuale o sociale degli uomini affinché essi vivano in libertà e nel rispetto delle libertà altrui.

Tale libertà e rispetto sono da sempre negati alla comunità Lgbtq+ italiana che ha intravisto nel ddl Zan il giusto riconoscimento di una realtà fatta di un odio contro le donne, le lesbiche, i gay, i bisessuali, i transessuali (gli Lgbt+ vengono spesso definiti malati da curare) che viaggia indisturbato sui social e nella vita reale e sfocia troppe volte in una violenza inaudita, molestie, ghettizzazione nei luoghi di lavoro e nella società tutta. Ad un passo dal traguardo, manca solo l’approvazione al Senato, il governo Draghi ha lasciato di nuovo spazio alle manovre ostruzioniste della destra che non ha mai digerito la legge Mancino e vuole annientare la dignità della persona con una strumentale ed irricevibile difesa di una presunta “libertà di opinione”.

Vorrei quindi che il 25 aprile di quest’anno fosse l’occasione per chiedere a gran voce che l’Italia si adegui al più presto a molti altri Paesi europei e non resti schiacciata dall’omotransfobia e dalla misoginia praticate dalle destre.

All’indomani della fine della Seconda Guerra mondiale, una delle necessità più pressanti fu quella di lasciare un segno, una traccia ai posteri, per ricordare chi si era battuto e sacrificato per liberare l’Italia dall’invasore. Così nelle piazze vennero innalzate statue, cippi commemorativi e targhe, ma soprattutto da quell’immane sforzo di libertà e dignità nacque la nostra Costituzione che sancisce il principio di uguaglianza.

Noi veniamo da lì, dalla nostra Carta Fondamentale che ci ricorda che solidarietà, antirazzismo, libertà, democrazia, giustizia sociale sono i valori per cui quei partigiani e quelle partigiane si sono battuti. Paradossalmente, quindi, per me quest’anno il 25 aprile ha un valore in più: l’Italia è di fronte alla possibilità di allargare e rafforzare la qualità civile della sua vita pubblica e di dare un segnale di attenzione e cura verso delle minoranze cui è negata la libertà di essere sé stessi.

La violenza nasce dall’odio. E oggi, complice l’anonimità garantita dalla rete e la pervasività dei social, si assiste a un crescente bisogno d’odio che, se non va arginato, avrà conseguenze tremende. Oggi più che mai il senso del 25 Aprile sta nel ricordare, e comunicare alle nuove generazioni, cosa è l’orrore verso cui l’uomo tende. E fare di tutto per imboccare una strada diversa.

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