Chi difende il “sistema” Università

Stupisce e indigna quanto espresso da alcuni ex docenti, rettori e direttori di quotidiani a proposito delle nuove evidenze, venute alla luce in questi giorni, sul diffuso “sistema” per condizionare i concorsi pubblici negli atenei di mezza Italia.

Giambattista Scirè

In questi giorni, dopo che sono venute alla luce chiare evidenze, grazie alle denunce di “Trasparenza e Merito” e soprattutto grazie al meritevole lavoro della magistratura, circa l’esistenza di un diffuso “sistema” per condizionare concorsi pubblici negli atenei di mezza Italia, abbiamo letto, con stupore e indignazione, il punto di vista espresso da alcuni editoriali di ex docenti, rettori, direttori di quotidiani.

Stiamo parlando nella fattispecie – è bene che lo si sappia – dei concorsi per professori a medicina, un settore da sempre al centro di interessi politici ed economici e di vitale importanza per la salute dei cittadini. Ebbene si è letto che “essere del sistema” significhi “prendersi un grattacapo per arrivare a una soluzione” e che quindi altro non sarebbe che un modo di “impegnarsi per le istituzioni” per “reclutare i migliori”, proprio perché gli attuali concorsi sarebbero nientemeno che “ispirati alla meritocrazia”. Ma si è arrivati, in questi giorni, perfino a dover leggere: “Attenzione a non recare danni irreparabili alla reputazione degli inquisiti”.

Non possiamo esimerci dal fare al riguardo qualche considerazione, sulla scorta dei risultati delle indagini delle procure e del linguaggio emerso nelle intercettazioni tra questi docenti, affinché l ‘opinione pubblica possa serenamente farsi un ‘idea di come la cosiddetta istituzione universitaria sia stata gestita in questi anni sul versante del reclutamento dei docenti, e di come questo “sistema” sia, in realtà, lontano anni luce proprio dalla trasparenza e dalla meritocrazia.

Questi signori sostengono che essere del “sistema” significhi appartenere alle istituzioni e non già far parte di un élite oligarchica, impegnata a selezionare, in modo opaco, non etico, se non addirittura illecito, una classe dirigente universitaria e medica (ma come sappiamo bene, purtroppo, anche di altri settori, come giurisprudenza, ingegneria, architettura, agraria, etc.) sulla base di criteri che troppo spesso sono individuati sull’appartenenza ad un gruppo di potere, accademico, politico, o anche sull’amicizia e perfino sulla parentela.

Se i criteri di selezione fossero quelli del merito e della competenza, infatti, che bisogno ci sarebbe di affidare al vincitore predeterminato la redazione di un profilo utile alla sua vittoria? Perché, dunque, questa élite di professori, alfieri della strenua salvaguardia del “sistema”, si impegnano a passare le ore al telefono (piuttosto che produrre e insegnare) a precostituire commissioni compiacenti anziché affidarsi al sorteggio pubblico dei commissari, garanzia di una maggiore imparzialità? Se l’interesse dei membri di questo “sistema” è quello di individuare i migliori, non solo a livello nazionale ma anche internazionale, come mai nelle facoltà di medicina (toscane), ma è assai verosimile che accada lo stesso in tutta Italia, e in altri settori, più del 96% dei concorsi per cattedre di ogni specialità medica ha un vincitore “interno” e spesso, in più del 60% dei casi, il concorso vede come partecipante alla selezione un solo candidato, quello che deve vincere, come inequivocabilmente riportato da un illuminante studio pubblicato sull’autorevole rivista scientifica “The Lancet”?

Chissà perché, guarda caso, il “sistema”, a salvaguardia addirittura delle stesse istituzioni, sia impegnato nella selezione di accademici tutti (o quasi) nati e cresciuti negli atenei che bandiscono i concorsi. Se non c’è competizione vera, come può alzarsi il livello della ricerca scientifica e del valore in campo? Si legge nell’inchiesta di “concorsopoli”, infatti, di concorsi doppi in ortopedia o di scambi tra concorsi di professore straordinario in cambio di un posto da associato in anestesia, per non scontentare nessuno: questa sarebbe la loro meritocrazia?

Considerate cosa significa, oggi, attribuire un posto da docente in campo medico, ad esempio in un grande Policlinico Universitario italiano, in termini di spesa di denaro pubblico e di impatto sulla salute del cittadino da una parte, e considerate, al contrario, cosa comporta in termini di prestigio e di guadagno professionale l’appropriazione di una simile cattedra (peraltro senza alcun valutazione “ex post”, ma attraverso una immissione in ruolo che significa privilegio vita natural durante e nessun controllo). Ecco la ragione per cui il “sistema” va corretto nell’interesse del cittadino, della stessa istituzione universitaria, e più in generale dello Stato.

Da sempre, nei millenni, i popoli hanno avuto bisogno di una Istruzione Superiore quale l’Università, cioè all’altezza, in grado di formare le classi dirigenti, militari, religiose, politiche, mediche (e di altri settori). Il grande errore, il vizio di fondo – che è assolutamente necessario correggere – è che con il passare del tempo non si è riusciti a tenere in equilibrio la necessità di un insegnamento e di una ricerca caratterizzate dall‘esaltazione del merito, dall’autonomia accademica e, allo stesso tempo, dalla libertà e indipendenza della ricerca scientifica. Ha prevalso, invece, la logica dell’affiliazione, della gerarchia, dell’eccesso dell’autonomia corporativa (dalla legge di riforma universitaria del 1998 fino alla legge 240 del 2010) che ha finito col generare – come dimostrano plasticamente le ultime inchieste delle procure di Firenze e Catania – un “sistema” autoreferenziale, in cui una “élite delle famiglie” sceglie non in base a criteri di trasparenza e merito ma solo per auto perpetuarsi e riprodursi, e impedisce, di fatto, a chi è inviso o non è parte di tale “sistema”, di poter portare il proprio contributo di conoscenza e di sapere per la crescita del Paese.

Uno scempio, una deriva, una tragedia culturale e civile alle quali, presto o tardi, grazie al nostro attivo contributo come Associazione, il ministero, il governo e le istituzioni vere di questo Stato dovranno assolutamente porre un freno.

(Giambattista Scirè è amministratore e responsabile scientifico dell’associazione “Trasparenza e Merito. L ‘Università che vogliamo”).



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