Cile, lo stop alla nuova Costituzione non ferma il cambiamento

Il Paese non tornerà alla “Costituzione di Pinochet” come riportano molti media. Analisi della situazione cilena e del percorso intrapreso dal governo Boric.

Emanuele Profumi

Il processo costituente nato con l’Estallido social del 2019 non è morto. Nonostante il Plebiscito del 4 settembre abbia dato un risultato chiaro e inequivocabile e, contro ogni aspettativa (e contro i sondaggi di opinione), oltre il 60% degli elettori abbiano votato contro la nuova proposta costituzionale, il processo andrà avanti.

Nato dalla rivolta di ottobre di tre anni fa, al grido “Chile despertò!”, il processo storico che porterà il Cile ad avere una nuova costituzione ha subìto un forte contraccolpo e prenderà delle strade ancora più tortuose e difficili di quanto non sia successo sino ad oggi. Ma quanto successo nell’ultimo fine settimana non decreta il ritorno alla Costituzione di Pinochet, come erroneamente è stato scritto su autorevoli media italiani ed internazionali. Ciò perché non stiamo in presenza di un “mero” cambio costituzionale.

Quello che è in gioco, ormai da anni, è, infatti, un profondo cambio di società.

Nel 2019 la maggioranza della popolazione è scesa in piazza non solo contro le misure dell’allora governo Piñera, o per destituire il presidente, ma anche, e soprattutto, per esprimere un rifiuto netto ed inequivocabile alla società repressiva e neoliberista, nata con Pinochet e proseguita durante la “transizione democratica” degli ultimi trenta anni. Soprattutto guidata da governi di “centro-sinistra” (la “concertación”, prima, e la “nueva mayoria” poi). È all’interno di questa prospettiva che i movimenti sociali cileni più importanti del Paese (femminista, ecologista, studentesco, democratico radicale e a favore dei popoli originari) si ritrovano d’accordo con l’idea che, per farlo, è necessario cambiare la vecchia costituzione del 1980. Perché questa costituzione, nonostante tutte le piccole e grandi riforme politiche portate avanti soprattutto dai governi socialisti di Lagos (2005) e Bachelet (2015-18), impedisce di fatto qualsiasi cambiamento profondo sul piano economico e politico. Nel Paese nascono un po’ ovunque “cabildos”, assemblee popolari, che discutono della nuova costituzione di cui il Paese si deve dotare per riuscire a cambiare il paradigma sociale, economico e politico, ereditato dalla dittatura. Il “patto per la pace sociale” del 15 novembre 2019, tra la destra di governo e la sinistra parlamentare, riconosce nel cambio costituzionale la via maestra per mettere fine alle proteste, che effettivamente diminuiscono d’intensità. Per poi interrompersi realmente con l’arrivo della Pandemia nel marzo del 2020.

Il 25 ottobre del 2020, coerentemente con questa profonda richiesta e con quel patto, sancisce che la costituzione del 1980 va cambiata. A farlo è l’80% della popolazione in un “Plebiscito d’inizio” che avvia ufficialmente il processo costituzionale propriamente detto, attestando che si dovrà eleggere una “Convención Constitucional” interamente composta da cittadini eletti in liste elettorali non partitiche. Ciò avviene il 15 e il 16 maggio dell’anno scorso. Una data storica perché, per la prima volta in Cile, si elegge un corpo costituzionale espressione della volontà popolare diretta, e principalmente formato da persone di orientamento progressista e socialista. I principali movimenti sociali, e il movimento femminista in primis, il più diffuso e recente che ha portato in piazza milioni di persone l’8 marzo del 2020, sono fortemente rappresentati grazie all’elezione di candidati “indipendenti”. Sono loro a egemonizzare il dibattito dei costituenti. La destra conservatrice e reazionaria, al contrario, non riesce a ottenere neanche il terzo degli eletti che, secondo i calcoli di Piñera e secondo quanto stabilito nel “patto per la pace sociale”, sarebbe stato sufficiente per bloccare qualsiasi proposta costituzionale. Per questo si organizza per delegittimare la Convención e i suoi rappresentanti dal primo giorno in cui essa comincia a lavorare alla scrittura della nuova Carta Magna. I maggiori media del Paese, soprattutto le televisioni, tendono a screditare il lavoro della Convención, che dura un anno.

Quando a giugno di quest’anno viene ufficializzata la nuova proposta costituzionale, la strategia della destra cambia e si allinea a quanto abbiamo già conosciuto durante le campagne politiche che hanno portato alla Brexit o all’elezione di Trump: il sistema mediatico è interamente ricoperto di propaganda e menzogne (ormai ribattezzate come “fake news”) e la maggioranza dei giornalisti mainstream non sanno, non possono o non vogliono, fermare l’ondata di propaganda mediatica che investe il Paese. La confusione e la manipolazione mediatica regna sovrana, mentre si continua a screditare il lavoro dei costituenti facendo passare l’idea che la costituzione è stata scritta da persone “del popolo”, ossia che non hanno le competenze per farlo. La cultura antidemocratica ed elitaria che rivendica il primato dei “migliori” o degli “esperti” sull’espressione della volontà generale si lega a doppio vincolo al processo di delegittimazione iniziato nel 2021. Addirittura, circolano delle copie cartacee di una costituzione falsa tra i moltissimi venditori ambulanti delle città cilene.

La campagna del “Rechazo” fa leva sulle paure della popolazione, e si regge su un imponente investimento privato. Milioni di pesos vengono spesi per convincere i cileni che la proposta costituzionale è sbagliata, scritta male, e contraria all’identità nazionale. La campagna dell’Apruebo, al contrario, parte con grande ritardo e non ha risorse finanziarie: si regge tutta sulle spalle dei movimenti sociali e dei partiti di sinistra e di centro-sinistra, e in primis degli stessi constituyentes. Lo Stato ha una capacità limitata di informare la popolazione, per via delle limitazioni imposte da un organo costituzionale (la “Controlaria general del Estado”) e perciò sono questi gruppi a farsi carico di fare arrivare la costituzione nei quartieri più poveri delle città, a Santiago in primis. Tra l’altro, gli attivisti dell’Apruebo si sentono forti del risultato del “Plebiscito di inizio” e confidano che il Paese comprenda la bontà della nuova costituzione. Effettivamente, essa è tra le proposte costituzionali più avanzate del mondo in termini di diritti umani, prospettiva ecologica, e affermazione delle priorità del movimento femminista. Delinea un nuovo “Stato sociale democratico e di diritto” che garantisce diritti generali, smonta principi e valori neoliberisti e autoritari, e sancisce doveri importanti dello Stato verso le fasce più vulnerabili della popolazione. La bontà della proposta, e il fatto che essa sia stata partecipativa, ossia che abbia coinvolto quasi due milioni di persone durante il processo costituente, così come l’intensa campagna sociale sostenuta negli ultimi mesi, danno ai sostenitori dell’Apruebo l’illusione di potercela fare. Nonostante tutti i sondaggi di opinioni indichino il contrario.

Tuttavia, quanto successo il 4 va al di là di questo scenario. Per spiegarlo, infatti, non è sufficiente fare riferimento alla manipolazione mediatica, o alla sproporzione di forze tra le due campagne politiche. La maggioranza dei cileni ha rifiutato la nuova proposta costituzionale anche perché la proposta non ha convinto, non solo perché non è stata capita. A differenza dello slogan dell’Apruebo che maggiormente è circolato, ossia che la nuova costituzione avrebbe “modernizzato” il Paese, l’elezione del “Plebiscito di uscita” ha una specifica connotazione politica che è stato il Rechazo a cogliere maggiormente, e a interpretare in modo negativo: la posta in gioco non era dotarsi di una costituzione più moderna, ma di cambiare la società attraverso la nuova costituzione. Il Rechazo non è espressione della destra pinochetista o reazionaria (anche se ovviamente in parte è anche questo), ma principalmente espressione del fatto che non si è voluto voltare pagina, per paura, per incomprensione, per ignoranza, ma anche per scelta. Una scelta impolitica, senza dubbio, ma pur sempre democratica. In un anno, i movimenti sociali e i partiti di sinistra non sono riusciti a convincere il Paese perché si sarebbe dovuto cambiare profondamente nella direzione che indicava il nuovo testo costituzionale. Nonostante siano stati capaci, per la prima volta dopo Allende, di proporre un altro modello di società (cosa non da poco rispetto a quanto accade in Europa), non sono riusciti a generare il consenso necessario.

Tuttavia, al momento, solo una piccola minoranza è nostalgica della costituzione del 1980. La maggioranza di coloro che hanno rifiutato la proposta costituzionale si aspetta che ci sarà un nuovo processo e una nuova proposta, come indicano gli ultimi sondaggi. Ed è quello che avverrà, grazie al presidente Boric e al patto tra la sinistra e il centro-sinistra parlamentare. Ma sarà la destra, questa volta, a dettare le regole e l’agenda. Come ha sempre fatto, prima del 2019. Ciò che ne uscirà fuori sarà, perciò, sarà probabilmente una nuova costituzione “Frankenstein”: un testo che farà proprie alcune richieste e articoli della proposta appena archiviata, mantenendo ferme le istanze della destra (dei settori economici e sociali dominanti) e garantendo alcune proposte moderate di centro-sinistra (come la conservazione del Senato). Il che significa che non sarà una costituzione adatta per liberarsi dal neoliberismo e archiviare lo Stato repressivo. Bensì il frutto di un nuovo e complesso compromesso politico che avrà la stessa logica della tanto contestata “transizione democratica” che si voleva superare. Niente, perciò, potrà impedire il riemergere di importanti movimenti di contestazione, da un lato, o il rafforzarsi di posizione reazionarie sostenute dalla popolazione, dall’altro. Ossia una nuova e pericolosa polarizzazione. Come in passato.

In tutto questo, il margine di manovra trasformatore del governo Boric si restringerà enormemente, e i movimenti sociali latinoamericani, così come i vecchi e i nuovi partiti di sinistra, dovranno continuare a lottare duramente per far rinascere una concreta possibilità di abbandonare la società neoliberista ed autoritaria che vige ancora nel continente (e nel mondo). Petro, o la probabile elezione di Lula, non sembrano avere la forza sufficiente per farlo. Ma, a ben guardare, un cambiamento storico così profondo, un cambiamento di società, è davvero difficile che avvenga da un anno all’altro. Questa è stata la scommessa persa, e l’illusione principale, del 4 settembre. Il fatto che molti ci abbiano creduto ci dice che qualcosa si sta muovendo, e non potrà essere fermato neanche da questo risultato.

La speranza, perciò, è che si faccia tesoro del 40% di popolazione già disponibile a voltare pagina, a vivere in una nuova società, per continuare il virtuoso processo politico iniziato con il 2019. L’incognita che ci si apre davanti è se questo potrà ancora accadere in Cile, e quando potremo finalmente scrivere la parola “fine” al neoliberismo. Alla società nefasta che ci porta in dote, e in cui ci tocca ancora vivere.

CREDIT FOTO:  EPA/ELVIS GONZALEZ



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