Civitanova chiama, Roma risponde: “Contro il razzismo lottiamo senza paura”

Voci dalla manifestazione organizzata dai collettivi romani in solidarietà con la comunità nigeriana per ricordare l’omicidio di Alika Ogorchckwu e denunciare il problema del razzismo.

Lorenzo Boffa

“Contro il razzismo lottiamo senza paura” è la scritta che si legge sullo striscione in testa al corteo di circa 300 persone che domenica 7 agosto ha attraversato Tor Pignattara, quartiere multietnico a Est di Roma. Da un lato c’era la solidarietà per la comunità nigeriana che sabato è scesa in piazza per ricordare il connazionale Alika Ogorchckwu, soffocato a morte in mezzo alla strada da Filippo Ferlazzo a Civitanova nelle Marche. Dall’altro, la protesta ha posto al centro il problema del razzismo come fenomeno sistemico e culturale, che va al di là dei singoli atti di violenza, alimentato dalle narrazioni parziali e sensazionalistiche della politica. La mobilitazione è stata indetta da “Documenti per tutt*”, una rete di attiviste e attivisti per i diritti delle persone straniere e migranti, presente in diverse città d’Italia.

«Ultimamente nelle campagne foggiane ci sono state più di 7 aggressioni. Arrivano in macchina e ci colpiscono con bastoni e pezzi di ferro. Abbiamo denunciato, preso targhe, ma nessuno fa niente» racconta Folaye, bracciante. «Se parli dicono che non è razzismo, sono solo persone arrabbiate. Chi le ha fatte arrabbiare?! I politici che fanno la campagna elettorale sulla pelle degli immigrati» continua, ricordando Dembele Moussa, maliano morto per un incidente sul lavoro nelle campagne piemontesi e aggiunge: «aspettava da 2 anni di regolarizzarsi». Quello della sanatoria 2020 è un tema che ritorna più volte negli interventi. Gli ultimi dati raccolti dalla campagna Ero Straniero testimoniano che delle 230.000 richieste depositate, il 62% sono state elaborate ma i permessi effettivamente rilasciati sono inferiori al 30%. La percentuale dei rigetti, invece, è aumentata negli ultimi mesi, arrivando all’11%, ma ci sono picchi inquietanti come Foggia e Caserta, dove un terzo delle domande è stato respinto. Per sottolineare il nesso tra violenza e precarietà lavorativa delle persone immigrate in Italia alcuni interventi hanno ricordato il caso di Beauty Davis, ragazza nigeriana che lavorava nella ristorazione in Calabria, che ha denunciato il proprio datore per sfruttamento e pestaggio, in seguito alla richiesta del pagamento delle ore “fuori busta” che era costretta a fare.

Ma se l’uccisione di Alika ha causato sgomento e indignazione nell’opinione pubblica per l’efferatezza dell’assassino e la reazione degli astanti, parlare di razzismo rimane in parte un tabù. Mentre il corteo attraversa via della Marranella, Josef Yemane, attivista di BLM Roma porta la sua testimonianza dal corteo di Civitanova: «C’erano due spezzoni: uno guidato dalle istituzioni, col sindaco che negava la matrice razzista dell’omicidio, e un altro, quello del Coordinamento Antirazzista Italiano, che denunciava le politiche degli ultimi anni fautrici di un modello sociale di migrante sottomesso, con un’identità negata e dipendente dal contratto di lavoro». Alle dichiarazioni del sindaco di centrodestra Ciarapica sono infatti seguite quelle sulla fragile salute psicologica di Ferlazzo e quelle, tramite avvocato, della moglie di Alika che sarebbe contraria a parlare di razzismo. Ciononostante, i risultati dell’inchiesta dell’UNAR-Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali (organo della Presidenza del Consiglio) mostrano un quadro più complesso: fra il 2020 e il 2021 le aggressioni razziste, omobitransfobiche, antisemite e abiliste, sono aumentate del 50% e la matrice etnico-razziale è al primo posto con 545 aggressioni in un anno. C’è poi la difficoltà di fare i conti con la scia di aggressioni razziste che hanno avuto luogo in quella zona d’Italia: Luca Traini che nel 2018 esce di casa per “sparare a dei neri” ferendo 6 persone e Amedeo Mancini che nel 2016 uccide Emmanuel Chibi Namdi durante una colluttazione scaturita dagli insulti razzisti del primo. «Non basta dire che uno non sta bene, perché è proprio la persona più debole che da 25 anni percepisce che il migrante dà fastidio e può essere attaccato» dice Yemane in conclusione.

Il corteo di Roma è stato anche l’occasione per parlare delle problematiche delle comunità di stranieri della città, in particolare di quella bengalese, che in questa zona della capitale conta circa 10.000 abitanti. L’associazione bengalese Dhuumcatu, che è stata infatti fra le principali organizzatrici, da 30 anni supporta, anche burocraticamente, il percorso di molti immigrati romani, non solo bangladesi, e fornisce spazi di aggregazione e assemblea a diversi comitati o associazioni, sia di stranieri che di italiani. Il leader di Dhuumcatu, Nure Alam Siddique (che tutti chiamano Bachcu) ha denunciato la retorica discriminatoria sui venditori ambulanti: «Hanno la partita iva ma spesso sono abusivi per la difficoltà di ottenere una licenza e rischiano molto. Un bengalese è ricoverato grave da ieri perché investito mentre sfuggiva a un controllo della municipale sotto al Colosseo». L’associazione è stata sfrattata dalla sede di Via Capua, condivisa con una moschea, la mattina del 10 maggio, da oltre 100 agenti scortati da tre camionette antisommossa. Lo sgombero è infatti avvenuto, senza alcun preavviso, nonostante Dhuumcatu pagasse un regolare affitto, poiché il proprietario era moroso nei confronti di BNL-Banca Nazionale del Lavoro. «Da allora abbiamo ricevuto solo repressione da parte delle istituzioni locali, con cui abbiamo sempre collaborato. Visto che il Municipio non ci aiuta a trovare un altro spazio abbiamo bonificato un giardino in disuso da 40 anni su via Prenestina per riunirci e per l’utilità di chiunque voglia usarlo. Contro queste violenze chiediamo uno spazio sociale per tutti, per organizzarci e affrontare i problemi quotidiani dei lavoratori immigrati e italiani».

Oltre a quelli già citati, hanno aderito e preso parola esponenti di Dhuumcatu, Black Lives Matter Roma, Mani Rosse Antirazziste, Nonna Roma, Lupa, Fronte di liberazione del Popolo (JVP-Sri Lanka), SiCobas.

(credit foto Lorenzo Boffa)



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