Guardare al futuro, tra disincanto e speranza

I dati di un sondaggio su ripresa dopo la pandemia, situazione climatica, transizione ecologica, condizioni sociali e attitudine predominante verso il futuro tratteggiano un Paese attento e non rassegnato, ma poco fiducioso verso politica e istituzioni.

Sofia Belardinelli

Viviamo in tempi incerti. Pandemia, crisi climatica, instabilità geopolitica caratterizzano il nostro presente. L’epoca di pace e benessere che ha contraddistinto gli ultimi decenni della storia europea, facendone – forse – l’angolo di mondo più fortunato, sembra vicina al tramonto.
Più di una generazione è nata e cresciuta all’interno di questo nuovo orizzonte, costituito da un presente vacillante e un futuro aleatorio: sono i millennials e i GenZ, coloro che oggi si affacciano all’età adulta con l’ingombrante eredità di un mondo tutto da rifare.
Negli ultimi due anni, la pandemia si è aggiunta come un ulteriore fardello alle sfide già esistenti: tra queste, dominano certamente la crisi climatica e la transizione ecologica, la cui attuazione – ormai è certo – non può essere procrastinata ancora. Come è stato ampiamente mostrato, la pandemia ha avuto un impatto sproporzionatamente maggiore proprio sulla vita dei giovani (il 51% degli appartenenti alla fascia 18-29 anni ha dichiarato di aver subìto un peggioramento della qualità della vita). I ragazzi, più di ogni altra componente della società, hanno visto cambiare in modo radicale le proprie abitudini: la pandemia ha azzerato le occasioni di socialità, ha aggravato le disuguaglianze sociali, ha reso più difficile l’accesso a un’istruzione di qualità e la costruzione di percorsi lavorativi sicuri.

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Questi anni di incertezza in ambito sanitario, economico e ambientale hanno, insomma, lasciato segni profondi nella società. Lo conferma il Rapporto “Navigare a vista: gli italiani e il clima nel post pandemia”, curato da ECCO Climate, think tank italiano indipendente per il clima, che ha raccolto e analizzato i risultati di un’indagine condotta nell’ambito del progetto europeo More In Common, nato nel 2017 «per costruire società più forti, più unite e più resistenti alle crescenti minacce di polarizzazione e divisione sociale». Il Rapporto, pubblicato a marzo 2022, ha esplorato le opinioni degli italiani (attraverso un campione di 2 mila individui, selezionati in base a criteri sociodemografici miranti a garantire la massima rappresentatività delle diverse componenti sociali) su temi particolarmente presenti, in questo periodo, nel dibattito pubblico, come la ripresa dopo la pandemia, la situazione climatica, la transizione ecologica, le condizioni sociali del Paese e l’attitudine predominante verso il futuro.

I risultati restituiscono l’immagine di un’Italia disillusa, ma non totalmente pessimista. Rispetto alle indagini condotte a giugno 2020, è cresciuta la percezione che il Paese sia diviso (+22%), ed è aumentata in misura considerevole la sfiducia nei confronti dello spirito civico dei propri connazionali (+27%). In fin dei conti, sembra che la pandemia non ci abbia resi migliori come ci si auspicava durante le prime “ondate”, quando il Paese rispose all’emergenza sanitaria con un’inaspettata dimostrazione di civismo e solidarietà.

Questo diffuso senso di sfiducia è senza dubbio il sentimento dominante anche nei confronti delle istituzioni: solo il 4% dei rispondenti dichiara di fidarsi del Parlamento, e poco più di un quarto del campione, il 27%, ha fiducia nel Consiglio dei ministri o nella bontà di intenti delle grandi imprese. Ben più alta considerazione è riservata, invece, alle realtà locali: piccole e medie imprese, sistema sanitario e istituzioni comunali ricevono la fiducia rispettivamente del 66%, del 56% e del 29% degli intervistati.

Gli italiani, si sa, tendono a non riporre troppa fiducia nelle istituzioni. Questa disposizione si è decisamente rafforzata in questi anni: i cittadini italiani dipingono il Paese come corrotto, diviso, caotico, ingiusto, intollerante. L’83% dei rispondenti percepisce un forte sbilanciamento di risorse e opportunità verso i ricchi e i potenti: la convinzione di vivere in un sistema sostanzialmente corrotto, infatti, è molto più forte in Italia rispetto agli altri cinque Paesi europei (Francia, Germania, Regno Unito, Polonia, Spagna) monitorati nell’ambito di More In Common.

Emergono grandi riserve anche nei confronti degli organi d’informazione: solo un misero 6% afferma di non diffidare dei giornalisti e dei media in generale. D’altra parte, la gestione dell’informazione durante i due anni di pandemia si è dimostrata largamente fallimentare: molti canali hanno contribuito a diffondere notizie false o fuorvianti, prestandosi così alla polarizzazione del dibattito pubblico. Ad esempio, solo il 24% degli intervistati ritiene che al pubblico venga detta tutta la verità sulla pandemia; al contrario, il 31% del campione è convinto che il pubblico abbia accesso soltanto a una parte di questa verità, e un buon 26% sostiene che molte delle informazioni esistenti non vengano condivise.

Questi dati mostrano con chiarezza come il divario tra mondo politico-economico e società civile stia continuando ad approfondirsi, contribuendo ad aumentare le tensioni sociali e ad affievolire nei cittadini l’interesse nei confronti della res publica. Si tratta di segnali allarmanti, che devono stimolare, in primo luogo da parte delle istituzioni, una seria riflessione su come invertire questa tendenza, che rischia di minare la forza delle istituzioni democratiche. Come sottolineano gli autori del Rapporto, è necessario dunque «riflettere su quali narrative e azioni possano contribuire ad aumentare la credibilità degli attori istituzionali verso i cittadini […], ristabilendo così quel rapporto di fiducia alla base del voto democratico».

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D’altra parte, i risultati restituiscono l’immagine di un pubblico italiano più attento, più informato e più pronto a impegnarsi su questioni di primo piano come la crisi climatica. L’84% degli italiani si dice «preoccupato» per i cambiamenti climatici, che sono indicati come uno dei temi più caldi nell’opinione pubblica (al quarto posto dopo questioni come l’occupazione, la sanità e il Covid-19, le tasse). Più di tre quarti del pubblico (76%) è conscio dell’origine antropica della crisi climatica, a fronte di un 15% che non crede nella veridicità di questo rapporto causale e di una piccola minoranza (2%) che ancora nega l’esistenza del problema. Dal sondaggio emerge anche che gli italiani sono pienamente consapevoli delle conseguenze che la crisi climatica porterà con sé nei prossimi anni (aumento delle temperature medie globali, eventi estremi, contraccolpi sulla produzione alimentare, ma anche immigrazione e crisi economica) e di quali fasce di popolazione saranno più colpite. È ben chiaro, inoltre, a chi assegnare la “colpa” della situazione attuale: la grande maggioranza dei rispondenti indica come principali responsabili della crisi climatica le grandi aziende (85%), le compagnie petrolifere (84%) e la classe politica (83%). Per quanto riguarda quest’ultima, il giudizio negativo sulle azioni intraprese in questi anni è largamente condiviso: il 74% degli intervistati afferma che il governo italiano non sta facendo abbastanza per affrontare l’emergenza climatica, e il 62% ritiene che le iniziative internazionali stiano fallendo.

Ma disillusione non è – almeno in Italia – sinonimo di catastrofismo. Gli intervistati, infatti, non si limitano alla conoscenza del problema: mirano all’azione, e sono ben consapevoli dell’importanza dell’impegno individuale per contribuire a invertire la rotta. L’82% dei partecipanti al sondaggio, infatti, «sente di dover prendere decisioni che aiutino a proteggere l’ambiente», quando possibile. È coerente, dunque, la richiesta di un maggiore impegno da parte della politica, anche a prescindere dalle azioni intraprese dagli altri Paesi e su scala internazionale.

Tuttavia sembra che nessuno, nel panorama politico italiano, abbia ancora raccolto questa richiesta di impegno ambientalista proveniente dalla società civile, che rimane sostanzialmente inascoltata. Il 61% degli intervistati, infatti, è convinto che nessuno dei principali partiti stia reagendo in maniera adeguata alle sfide poste dalla crisi climatica.

Eppure, è opinione diffusa che una tale spada di Damocle potrebbe racchiudere anche delle possibilità di sviluppo, come sembrerebbero far sperare alcuni fra i progetti che saranno finanziati dal Pnrr. La transizione ecologica è accolta con favore dal pubblico del nostro Paese, che guarda a essa come a un’opportunità di crescita. Pur con evidenti differenze legate all’appartenenza politica, quasi la metà dei rispondenti (43%) ritiene che la transizione andrebbe realizzata nel più breve tempo possibile. Particolarmente dibattuto è il nodo energetico, ma anche in questo caso la società civile mostra di essere un passo avanti rispetto ai decisori politici: il 56% del campione (anche in questo caso, con ampie oscillazioni legate alle adesioni politiche) si dichiara disponibile ad abbandonare gradualmente l’utilizzo del gas, e il 73% è pronto ad affidarsi completamente alle fonti rinnovabili.

Ancora una volta, tuttavia, risulta problematico il rapporto con le istituzioni. È largamente minoritaria la posizione di chi crede che i finanziamenti europei verranno investiti con giudizio, nel miglior interesse del Paese: il 44% ha poca fiducia e il 25% nessuna fiducia nella capacità dei nostri politici di sfruttare al meglio le risorse del Pnrr. Molti, al contrario, prevedono che proprio i politici e le grandi aziende saranno i principali beneficiari di questi fondi: ancora una volta, lo spettro della corruzione incombe sul benessere collettivo.

“Navigare a vista” è un’ottima metafora del tempo presente: i dati restituiti da questo sondaggio narrano di un Paese generalmente attento e non rassegnato, seppur consapevole dei problemi che ne caratterizzano la vita collettiva. La fiducia nella buona fede della classe politica è scarsa, e così si tende ad allontanarsi da essa, finendo, in alcuni casi, per disinteressarsi delle questioni collettive; eppure, non manca il senso civico, la voglia di cambiamento e la disponibilità a impegnarsi. Chiediamo rappresentanza, attenzione ai temi sociali e ambientali; chiediamo giustizia, responsabilità, trasparenza.

Sono richieste che fanno ben sperare, poiché lasciano trasparire una società civile vigile, desiderosa di miglioramento, più matura – forse – della stessa classe dirigente. Proviamo, allora, a costruire su queste fondamenta.



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