I complottismi e il vuoto della politica

Le teorie complottiste sono spesso talmente assurde da prestarsi facilmente a essere ridicolizzate, inducendo a considerare coloro che le seguono come affetti da un qualche deficit cognitivo. Eppure la loro proliferazione riflette il misero squallore di una cultura politica incapace di rispondere a milioni di persone che affrontano la perdita del loro mondo. Invece di ridurre la questione a un problema di “cattiva informazione” o di tare cognitive individuali, dovremmo dunque affrontare l’inadeguatezza della visione politica, di cui il complottismo si alimenta.

Nicolas Guilhot

Come a scuola nel giorno della foto di classe, la marcia sul Congresso, il 6 gennaio 2021, è stata una gara a chi era vestito meglio. Per la base è bastata un’uniforme – pesanti tute operaie e un berretto rosso “Make America Great Again” – mentre i più esuberanti hanno scelto divise da super-eroi, toghe romane, pellicce animali o tute mimetiche. L’aspetto era tanto più importante perché non c’era molto altro in ballo. In assenza di un qualunque programma chiaro e di capacità organizzative, la visibilità ha inevitabilmente preso il posto della politica: si trattava di esibirsi per attrarre attenzione e suscitare ammirazione. Solo la violenza ha salvato quella bravata dall’assoluto ridicolo. Quando la folla, senza direzione né idee, si è mossa per riprendersi il Paese con la forza, tutto quello che è riuscita ad arraffare è stato un pulpito e altri memorabilia del Congresso. I veri trofei del giorno sono stati i selfie.

Il protagonista indiscusso dell’evento è stato un uomo a torso nudo con in testa un’acconciatura di pelle di coyote e corna di bufalo, il volto dipinto con i colori della bandiera americana e il torace ornato da tatuaggi neopagani. Un magnete per gli obiettivi, lo si vede dappertutto nelle notizie del giorno: mentre mostra i bicipiti sui palchi del Senato, agita la lancia, si aggira per le aule vuote del potere, ispeziona un tavolo dove sono ancora visibili le tracce della rapida fuga, o si rivolge ai poliziotti perplessi. Immediatamente divenuto virale, ha suscitato paragoni che vanno dal cantante del gruppo pop britannico Jamiroquai al personaggio Chewbacca di Star Wars.

Qualche giorno dopo la sommossa si poteva acquistare il pupazzetto che lo raffigura, prodotto in Argentina. Tra gli emuli: in aprile, durante una protesta contro la chiusura dei ristoranti a Roma un ex venditore di lampade abbronzanti, nonché proprietario di una pizzeria a Modena, ha sfilato al centro della manifestazione con tanto di corna e pelliccia e il tricolore dipinto sulla faccia.

L’icona del 6 gennaio è Jacob Chansley, trentatreenne sostenitore di Trump, proveniente da Phoenix, Arizona, meglio noto come “QShaman” per via della teoria complottista QAnon – popolare presso l’estrema destra – secondo la quale il mondo sarebbe governato da una cricca mondiale di pedofili. Prima di diventare il volto pubblico della sommossa, le sue uscite politiche teatrali e le sue scelte di look gli avevano già conquistato l’attenzione della stampa locale. Nel 2019 e nel 2020 compariva regolarmente ai raduni di Trump e di tanto in tanto lo si poteva veder fare avanti e indietro davanti al Campidoglio dell’Arizona intento a dispensare la saggezza di QAnon in una turbolenta performance scandita dal rullo di un tamburo sciamanico. Dopo la sommossa del 6 gennaio e l’arresto di Chansley, sono emersi alcuni particolari della sua vita. Abitava con la madre dopo essere stato sfrattato dal suo appartamento. Al college aveva studiato religione, psicologia e ceramica.
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Credit Image: © Cheney Orr/ZUMA Wire

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