Comunicare la scienza dopo la pandemia: un decalogo

Tra le cause della sfiducia che serpeggia fra i cittadini nei confronti della scienza ci sono anche alcuni errori di comunicazione su cui è bene fare, con spirito autenticamente scientifico, autocritica. Ecco i dieci errori da evitare per ristabilire la necessaria fiducia fra cittadini e scienza, con buona pace del narcisismo di qualche scienziato.

Telmo Pievani

La pandemia di Sars-CoV-2, ancorché fosse stata prevista dagli esperti, è stata e rimane un’esperienza traumatica da tutti i punti di vista, compreso quello della comunicazione della scienza. Non era mai successo prima che scienziate e scienziati, di diversa estrazione, fossero chiamati a una presenza così assidua e pervasiva su tutti i mezzi di comunicazione di massa, in primis televisione, radio e carta stampata, ma con inevitabili riverberi anche sul web e sui social network. L’opinione pubblica ha dovuto rapidamente familiarizzare – in tempi di paura, incertezza, ansia, emergenza – con le figure dello scienziato e del divulgatore, che ogni giorno dispensavano commenti e previsioni, sciorinavano dati ed evidenze, dialogavano e battibeccavano tra loro.

In una tale situazione di eccezionalità, molta attenzione è stata rivolta, giustamente, al fenomeno preoccupante e insidioso delle fake news – informazioni false e fuorvianti confezionate in modo tale da avere un successo virale sul web – e a come fronteggiarle efficacemente. Bisognerebbe forse prendere atto, come si sta facendo in altri Paesi, che un conto è diffondere ridicole fake news da buontemponi sulla Terra piatta o su civiltà aliene che avrebbero controllato l’evoluzione umana tramite l’ingegneria genetica, scempiaggini talmente plateali da risultare relativamente innocue, ben altro conto è spacciare disinformazioni fuorvianti e tendenziose che condizionano i comportamenti delle persone, minacciano la loro salute e fomentano aggressivi movimenti che negano le evidenze scientifiche corroborate.

Le fake news hanno tutti i vantaggi psicologici dalla loro parte. Ci sono sempre state, certo, ma oggi hanno a disposizione una sterminata nicchia ecologica particolarmente favorevole in cui proliferare: il web. Hanno efficaci fiancheggiatori: politici populisti, filosofi deliranti, picchiatori che inneggiano alla libertà. Il risentimento sociale, la scarsa educazione, la sfiducia nelle istituzioni (la scienza è un’istituzione ed è percepita come tale) sono per loro potenti propellenti. Gli atteggiamenti antiscientifici e le bugie pseudoscientifiche, insomma, sono un sistema, non la bizzarria di qualche contestatore.

Soprattutto, chi costruisce le più pericolose disinformazioni e inquina il dibattito pubblico, purtroppo, non è affatto preda dell’ignoranza, anzi spesso è un abile comunicatore e un perfetto parassita che approfitta della logica patologica degli algoritmi delle piattaforme dei social network. Se questo è il quadro, ne deriva che la falsità non andrebbe soltanto smentita nel merito, punto per punto e caso per caso, impresa per certi aspetti improba, ma anche smontata nei suoi trucchi e presupposti. Bisogna cioè svelare le tecniche di costruzione e contraffazione che stanno alla base delle fake news, in modo da fornire ai propri interlocutori (soprattutto se giovani) gli antidoti intellettuali non solo per sbugiardare gli impostori, ma per riconoscerli prontamente, in rete, in tv e ovunque si manifestino.
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