Per una politica di difesa europea. La CED: un’occasione mancata

Il 70° anniversario della Comunità Europea di Difesa è passato nel silenzio. Perché quella del 27 maggio 1952 è invece una data importante.

Michele Marchesiello

È passato nel più completo silenzio il settantesimo anniversario di un evento che segnò il momento in cui l’Europa fu più vicina a diventare uno Stato federale: momento seguito – subito dopo – dal più grave e fatale fallimento su quella strada.
Proprio il 27 maggio di settant’anni fa – nel 1952, a Parigi – il Trattato istitutivo della Comunità Europea di Difesa (CED) venne firmato dai rappresentanti di Francia, Germania, Belgio, Paesi Bassi, Lussemburgo e Italia.

La storia della firma del Trattato, e della sua mancata ratifica, più che un episodio secondario nel processo di unificazione europea, segna una svolta decisiva per quel cammino appena intrapreso e troppo bruscamente interrotto.
I tempi drammatici che oggi l’Europa sta vivendo, settant’anni dopo, dovrebbero indurre a una riflessione approfondita su quella vicenda, sulle prospettive che essa apriva e – soprattutto – sugli errori che portarono al naufragio della CED.

L’obiettivo strategico di una comune difesa europea si era posto subito dopo la conclusione del secondo conflitto mondiale. Si trattava allora di evitare che la Germania – com’era accaduto dopo il precedente conflitto – potesse tornare a costituire una minaccia per la pace e gli equilibri europei. Ma, già verso la metà del 1949, con l’incombere della Guerra Fredda, quell’obiettivo era mutato, concentrandosi sulla necessità di difendere l’Europa dalla Russia sovietica e dal comunismo.

Tre circostanze, in particolare, avevano portato ad accelerare questa trasformazione: la prima bomba atomica sovietica, sviluppata in anticipo rispetto alle previsioni americane; la nascita della Repubblica Popolare Cinese sotto Mao Tze Dong e la sua alleanza con la Russia comunista; lo scoppio della guerra in Corea con l’invasione delle truppe nord-coreane, sostenute dai cinesi e dai russi, della Corea del Sud: prova di quella che sarebbe potuta diventare una analoga operazione in Europa.

Se la NATO, a guida e controllo statunitense, era volta specificamente a sostenere il potenziale fronte Nord-Atlantico, era interesse degli Stati Uniti favorire la nascita di una alleanza difensiva e relativamente autonoma tra i paesi dell’Europa Occidentale che – in caso di attacco sovietico – si sarebbero trovati a dover fronteggiare per primi l’urto delle divisioni di Stalin.

Superate le diffidenze francesi nei confronti del riarmo della Germania, non fu particolarmente difficile per gli Stati Uniti favorire la firma del trattato per la CED da parte di Francia, Germania, Paesi Bassi, Belgio, Lussemburgo e Italia. L’idea vincente era stata quella di Jean Monnet, che aveva proposto di adottare per la nuova istituzione il modello della CECA (Comunità Europa Carbone e Acciaio) modello che già prometteva – nel senso dell’unificazione europea – i risultati che di lì a qualche anno si sarebbero raggiunti sul piano della integrazione economica.

Il trattato CED venne visto allora – soprattutto da De Gasperi e Adenauer, sotto l’influenza determinante di Altiero Spinelli – come l’equivalente della CECA in vista del conseguimento dell’obiettivo politico e della realizzazione del sogno federale europeo.

Il progetto del Trattato, che comportava lo spostamento di risorse dall’opera di ricostruzione del tessuto economico e di unificazione europea a quella del riarmo, aveva incontrato una certa opposizione da parte degli italiani, cui premeva inoltre, prioritariamente, la restituzione di Trieste.

De Gasperi sapeva tuttavia di non potersi opporre frontalmente a questa iniziativa: la difficoltà venne superata attraverso l’inserimento nel Trattato dell’articolo 38.

Altiero Spinelli, personaggio di grande rilievo e prestigio all’interno del movimento federalista e uno dei principali promotori del progetto per una Costituente Europea, pubblicò in occasione delle trattative sulla CED un memorandum in cui sottolineò che la costituzione di una forza militare comune non sarebbe stata possibile senza una corrispondente cessione di sovranità da parte degli Stati membri. Questo avrebbe comportato la necessità di un embrione di Stato federale, cui sarebbe spettata la guida delle forze militari e, di conseguenza, la scelta delle più gravi e determinanti linee di politica estera.

Il documento di Altiero Spinelli venne utilizzato da De Gasperi che nell’ottobre del 1951, acquisito il sostegno degli Stati Uniti, inviò ai partner europei un memorandum recante l’ipotesi, poi tradotta nell’art.38 del trattato, di associare la CED alla creazione di un Comunità Politica Europea (CPE).

Schuman e Adenauer, col favore degli Stati Uniti, dettero la loro adesione: fu così che i sei capi di governo europei decisero di inserire nel Trattato l’art.38, che prevedeva la costituzione di una CPE in grado di assicurare alla CED uno sviluppo in senso federale o confederale.

In particolare, l’articolo 38 affidava all’Assemblea provvisoria della CED il compito di studiare sia la costituzione di una Assemblea della Comunità Europea di difesa, eletta su base democratica, sia di definire i poteri da attribuire all’Assemblea per l’organizzazione definitiva di una ulteriore struttura federale o confederale.

L’articolo non era perfetto, ma prevedeva una procedura in grado di andare oltre l’esercito comune e di muovere i primi passi verso la creazione di un’autorità politica europea.

Questo obiettivo non era mai stato così vicino – e non lo sarà mai più – alla possibilità di venire raggiunto.

Mentre la CECA volava verso la realizzazione di una integrazione economica europea, il progetto della CPE era destinato a naufragare insieme al trattato CED e all’art.38.

Altiero Spinelli, nel suo Diario, annotava: “Questa data [il 27 maggio del 1952] sarà insignificante e dimenticata se il progetto non sarà ratificato. Sarà una data che nei secoli verrà ricordata se la Comunità nascerà”[1].

Purtroppo, la previsione di Altiero Spinelli si è verificata nella prima delle due alternative. Come dicevamo all’inizio, quella data è oggi insignificante e dimenticata, perché il Trattato CED non è riuscito a superare la prova della ratifica da parte dei paesi membri.

La storia della mancata ratifica del Trattato CED – più che interessare gli studiosi – dovrebbe dare indicazioni utili per chi volesse oggi provare a riprendere quel cammino, contrapponendosi alle sempre ricorrenti tendenze populiste, nazionaliste, sovraniste.

La causa principale del fallimento di quel progetto – anche in questo caso e come più tardi avverrà per il progetto di una Costituzione europea – viene individuata dagli storici nella difficoltà politiche dei governi della Quarta Repubblica francese.

Paradossalmente, a decidere il fallimento fu proprio la riluttanza alla ratifica da parte dei francesi che con Monnet, Schuman e Pleven si erano fatti promotori del processo di integrazione politica europea.

Determinante per il fatale temporeggiamento nella ratifica fu l’atteggiamento contrario dei socialisti francesi e dei gollisti, i cui voti erano necessari per il passaggio del Trattato CED. Ma soprattutto decisiva fu l’opposizione del Partito comunista francese che – insieme al PCI in Italia – si allineò ubbidiente alle scelte ‘pacifiste’ sostenute dall’Unione Sovietica, che, in coerenza con la Guerra fredda e in contrapposizione militare alla NATO, si accingeva a varare il Patto di Varsavia con gli Stati satelliti del blocco orientale.

In Italia, furono infatti i comunisti a opporsi, in Parlamento e nelle piazze, all’adesione italiana alla NATO prima, poi alla CECA e infine alla CED.

Interessante per gli analoghi sviluppi odierni è il fenomeno per cui fu proprio il tema della pace a svolgere un ruolo decisivo nella propaganda politica contro la CED, coinvolgendo parti importanti della società civile e del mondo cattolico: dai comunisti ai socialisti, alla sinistra della Democrazia Cristiana.

In Germania, il naturale atteggiamento antisovietico doveva invece misurarsi con l’aspirazione alla riunificazione delle due Germanie, che si immaginava sarebbe stata ostacolata dalla creazione di un nuovo esercito europeo.

Gli indugi di Francia e Italia si trasformarono infine nel completo abbandono del progetto dopo la morte di Stalin, nella convinzione che la morte del dittatore si sarebbe tradotta in un ammorbidimento delle posizioni sovietiche. Vero e proprio wishful thinking.

[1] Cit. in T.Castro, “Le istituzioni europee e la C.E.D. Il contributo della classe dirigente italiana”, in Itinerari di ricerca storica, XXXI, 2017, n.2, p.207.

CREDIT FOTO: @Archivio Biblioteca Nazionale / Corriere della Sera

 



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