Conte vs Di Maio. Di Maio vs Conte. Cosa è rimasto del Movimento 5 Stelle?

Dopo la rielezione di Mattarella è iniziata la resa dei conti in un movimento che è cambiato molto in questi anni.

Valerio Nicolosi

L’ultimo colpo alla leadership di Conte è la sospensione da parte del Tribunale di Napoli di due delibere del Movimento: quella che ha modificato lo statuto e quella che ha nominato Conte presidente. In questo momento si ritrova come la scorsa estate, con Vito Crimi potenzialmente reggente e Grillo garante. Un colpo di scena che si inserisce in una guerra intestina di un movimento che è cambiato molto in questi anni.

Dei “Vaffa-Day”, del Parlamento “da aprire come una scatoletta di tonno”, dello slogan “uno vale uno” non è rimasto quasi nulla nel Movimento 5 Stelle e la lettera con la quale Di Maio annuncia le dimissioni dal Comitato di garanzia del movimento, organo composto da lui, Roberto Fico e Virginia Raggi, è la prova che anche i 5 Stelle sono diventati un partito con correnti e lotte di potere.

Di Maio è l’incarnazione del trasformismo che dal 2013 a oggi ha portato il Movimento fondato da Grillo e Casaleggio dall’essere l’elemento di rottura della seconda repubblica a elemento di stabilità della terza. 3 governi in 4 anni, uno con la Lega, uno con il PD e LEU e l’ultimo di unità nazionale. Mentre gli altri ministri cambiavano, ruotavano, uscivano di scena, Di Maio è sempre rimasto agli Affari Esteri e, se non fosse stato per la volontà di Draghi di non avere vice, avrebbe ricoperto il ruolo di Vice Presidente del Consiglio per tutte e tre le volte.

Una trasformazione non senza contraccolpi: dal 32% dei voti del 2018, i sondaggi oggi danno i grillini al 14%, quasi 20 punti in meno e una dispersione degli eletti che nessun gruppo ha mai avuto nella storia repubblicana: dei 227 deputati eletti oggi ne sono iscritti al gruppo 158, dei 112 senatori ne sono rimasti 74.

Giuseppe Conte è il prodotto di questo cambiamento: un avvocato sconosciuto che si è insediato a Palazzo Chigi perché sembrava una figura debole che non avrebbe potuto oscurare i due leader del suo primo governo Di Maio e Salvini, e oggi invece si ritrova a guidare un Movimento del quale non controlla i gruppi parlamentari e che non ha più un’anima.

Da qui l’idea di tornare al Movimento di “lotta”, quello delle proteste contro la casta, rispolverando anche Di Battista, il “guevara grillino” che nel frattempo si è dato, con scarso successo, ai reportage in giro per il mondo. Di lui si ricorda una campagna social per smascherarlo dopo essere entrato nella comunità zapatista presentandosi come volontario italiano che lavorava in Guatemala.

Un movimento di lotta quindi, ufficialmente nell’area progressista ma che nel corso delle trattative per l’elezione del Presidente della Repubblica, strizza l’occhio all’ex alleato Salvini, quando si è verificato lo strappo con Di Maio e dal quale, sembra, non si possa tornare indietro senza che uno dei due leader non capitoli.

La corsa di Salvini e Conte per intestarsi la candidatura di Elisabetta Belloni ha portato la Direttrice Generale del DIS dall’essere virtualmente Presidente della Repubblica a fare da capro espiatorio per le correnti dei partiti. Oltre ai no di Renzi, Forza Italia, LEU e altri, Di Maio e i parlamentari vicini a lui hanno subito bloccato la candidatura di Belloni. Da un lato c’era lo strano passaggio di una funzionaria dello Stato, della quale poco si sa, dai servizi segreti al Quirinale, dall’altro era l’occasione giusta per umiliare e mettere in difficoltà un rivale interno che si era sbrigato a fare una storia di Instagram con l’hashtag #unadonnapresidente.

In mezzo ai due leader c’è Virginia Raggi, a suo dire “l’unica del Movimento a tenere testa alle corazzate” riferendosi alle coalizioni di destra e centrosinistra, con il 20% dei voti presi nella capitale dopo 5 anni alla guida della città. Raggi fa parte del collegio di garanzia, organo che formalmente può sfiduciare Conte da capo politico, e rappresentante dell’ala “indipendentista”, che non accetta alleanze coi partiti e va per la sua strada.

Una lotta intestina che mette in difficoltà Letta e il PD che avevano basato la loro strategia delle alleanze con un M5S pacificato e di governo, e mette in difficoltà Draghi che dovrà gestire strappi e fughe in avanti di un Movimento che ha come capo delegazione un ex leader sfiduciato, divenuto nel frattempo capo corrente e senza più il sostegno del fondatore e garante, Beppe Grillo.

Sarà un lungo anno di campagna elettorale e di lotte intestine, non solo nei 5 Stelle.
Chissà se il governo reggerà agli urti o se andremo a votare il prossimo autunno.

 

(immagine di Edoardo Baraldi)



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