Contro il relativismo

Recensione del libro di Giovanni Jervis pubblicato, a 17 anni dalla sua prima edizione, da “thedotcompany”.

Silvano Fuso

A 13 anni dalla scomparsa dell’autore e a 17 dalla sua prima pubblicazione, Thedotcompany edizioni ripropone meritoriamente il volume Contro il relativismo di Giovanni Jervis, arricchito da una premessa del curatore Massimo Marraffa e da una postfazione dello stesso Marrraffa scritta insieme a Tiziana Vistarini.

Giovanni Jervis (Firenze 1933 – Roma 2009) è stato principalmente uno psichiatra, ma i suoi interessi e il suo impegno lo hanno portato ad avventurasi in diversi campi del sapere e la sua eclettica figura non è facilmente definibile.

Laureatosi in medicina, si specializzò in psichiatria e neurologia. Nel 1959 iniziò a collaborare con l’antropologo, etnologo e storico delle religioni Ernesto De Martino (1908-1965) con il quale si occupò dello studio del fenomeno del tarantismo nel Salento. Fra il 1964 e il 1970 fece parte del consiglio editoriale di Einaudi. Tra il 1966 e il 1969, lavorò nella comunità terapeutica di Gorizia e insieme a Franco Basaglia (1924-1980) si batté per la deistituzionalizzazione dell’ospedale psichiatrico locale e, in generale, per la chiusura dei manicomi. Tra il 1969 e il 1976, a Reggio Emilia, diede vita all’organizzazione di servizi territoriali alternativi alle strutture manicomiali.

Nel 1977 lasciò la psichiatria clinica divenendo docente universitario alla Sapienza di Roma, dove rimase fino al pensionamento nel 2005, insegnando prima Teorie della personalità e poi Psicologia dinamica.

A fianco alla sua attività didattica, si occupò di psicoanalisi e di epistemologia delle scienze umane, mostrando al contempo una grande sensibilità per le grandi tematiche politiche e sociali, con particolare attenzione alle zone di confine tra psicologia, sociologia, filosofia e politica.

Contribuì a far conoscere in Italia diverse ricerche psichiatriche e anti-psichiatriche (di autori quali Herbert Marcuse, Roland Laing, Dennis Chapman, ecc.). Autore di un celebre Manuale critico di psichiatria (pubblicato nel 1975 e ristampato fino al 1997), fu autore molto prolifico, affrontando temi quali l’autorità, la depressione, le illusioni e l’identità.

Tra le altre sue numerose opere, ricordiamo: Il buon rieducatore (1978), Presenza e identità (1984), La psicoanalisi come esercizio critico (1989), Fondamenti di psicologia dinamica (1993), La conquista dell’identità (1997), Prime lezioni di psicologia (2000), Psicologia dinamica (2001), Pensare dritto, pensare storto. Introduzione alle illusioni sociali (2007), La razionalità negata: psichiatria e antipsichiatria in Italia (con G. Corbellini) (2008). Sono state inoltre pubblicate postume due raccolte di saggi: Il mito dell’interiorità. Tra filosofia e psicologia (2011) e Contro il sentito dire. Psicoanalisi, psichiatria e politica (2014).

Contro il relativismo venne pubblicato per la prima volta da Laterza nel 2005 e si inserì da subito come voce critica nel dibattito su quel variegato processo culturale che va sotto il nome di postmodernismo. Si tratta, com’è noto, di un insieme di idee, spesso piuttosto eterogenee, accomunate da una critica ad alcuni concetti che hanno caratterizzato il pensiero moderno, in particolare illuminista e positivista, quali la razionalità, l’obiettività, il realismo e la stessa idea di progresso. Il pensiero postmoderno è stato fortemente influenzato dal pensiero di Husserl, Nietzsche, Heidegger, dell’ultimo Wittgenstein, dalla psicoanalisi, dallo strutturalismo, dall’esistenzialismo e da varie correnti artistiche.

Caratteristico del pensiero postmoderno è proprio un relativismo cognitivo secondo il quale viene messo in discussione qualsiasi concetto di verità e ogni possibile corrispondenza tra teorie e realtà. Concezione sintetizzata nel famoso slogan secondo il quale “non esistono fatti ma solo interpretazioni di fatti”. Ed è proprio verso queste posizioni che si scaglia la lucida critica che Jervis sviluppa nel suo volume.

Jervis è consapevole che dietro il termine relativismo si nasconda un’ampia varietà di posizioni e lo dice espressamente:

Il relativismo contemporaneo è molte cose insieme. Non è solo una interpretazione del nostro momento storico, come nel post-modernismo di Lyotard, né solo una teoria filosofico-letteraria, come nel decostruzionismo di Derrida, né solo una critica alla conoscenza scientifica, come nell’anarchismo epistemologico di Feyerabend, e neppure soltanto una forma di umanesimo ironico, come nei garbati scritti di Rorty. È, probabilmente, qualcosa di più di tutte queste teorie: è una ideologia e un modo di pensare. Malgrado le sue dispersioni, il relativismo è un atteggiamento non privo di compattezza, coerente nel suo modo di avvicinare la realtà, capace di esercitare il suo influsso su discipline specialistiche disparate come sulla vita quotidiana di tutti noi, e attivo persino sulle scelte politiche da cui dipende il nostro futuro. Non è banale, spesso non è stupido, ha aiutato molte persone a riflettere; e se è vero che i suoi eccessi offendono il buon senso, le sue radici meritano attenzione.

Per meglio illustrare le posizioni relativiste, Jervis, anziché perdersi in astratte descrizioni teoriche, ritiene sia più opportuno entrare in médias res, immaginando un dialogo tra un relativista e un anti-relativista, o meglio un empirista (cap. 2). Dall’immaginario dialogo traspaiono bene le posizioni relativiste e soprattutto appare piuttosto evidente che il relativista sia sostanzialmente sordo a instaurare un vero dialogo e preferisca invece una sorta di monologo. Come osserva Jervis, infatti:

A guardar bene, infatti, l’edificio del relativismo non poggia su un atteggiamento di rispetto per le opinioni altrui: non vi troviamo il tradizionale «lasciate che crescano i cento fiori», né il tentativo virtuoso di contrastare il dogmatismo dei fanatici nel nome delle infinite sfaccettature della libertà di pensiero. Invece, a suo fondamento c’è qualcos’altro, che è più criticabile: il tentativo di non tenere conto dei fatti, di evadere dal realismo. Non sempre i relativisti sembrano rendersi conto di quali conseguenze comporti l’esaltare il significato delle opinioni svalutando quello delle conoscenze, il credere molto nelle intenzioni e pochissimo nelle verifiche, il privilegiare l’immaginario e attaccare la razionalità. Quello che è certo, è che con singolare frequenza essi si trovano a rivendicare i diritti della propria soggettività. In questo modo si trovano, paradossalmente, a incoraggiare quei dogmatici che oggi si oppongono al relativismo non già nel nome della realtà tangibile, ma nel nome di soggettive convinzioni di fede.

Nell’ultima frase appare evidente il riferimento all’omelia che l’allora cardinale e futuro Papa Joseph Ratzinger pronunciò, nello stesso anno della pubblicazione del libro di Jervis, contro la “dittatura del relativismo”[1]. La battaglia di Jervis contro il relativismo è infatti ben lontana da quella ecclesiastica e dottrinale di Ratzinger e appare totalmente laica, antidogmatica e ispirata unicamente alla razionalità scientifica. Per fugare ogni dubbio infatti Jervis aggiunge:

[…] il relativismo culturale, legandosi a idee di fede e di tolleranza, passa sotto silenzio la presenza di programmi antidemocratici anche se questi ultimi sono – in realtà – l’unico problema importante: sia i programmi altrui, ovviamente, sia anche i propri.
In conclusione, il multiculturalismo relativista concede ampio spazio alla crescita dei settarismi. Paradossalmente, esso incoraggia e giustifica l’anti-relativismo dei fanatici e dei dogmatici di tutte le religioni. Questo non ci dovrebbe meravigliare: le più accese convinzioni di fede hanno in comune con il relativismo l’appello alla soggettività e il disprezzo per la realtà empirica.

Rifacendosi poi ai drammatici dati, raccolti da Tullio De Mauro (1932-2017)[2], sul diffuso analfabetismo nella popolazione adulta italiana, Jervis commenta:

Ma anche prendendo l’insieme di coloro che sono capaci di leggere e scrivere abbastanza fluidamente, si può supporre che i prevalenti interessi quotidiani di queste persone non includano necessariamente il desiderio di farsi spiegare, prima di andare a votare in un referendum antinucleare, che differenza vi sia fra una bomba atomica e una pila atomica. Così, in modo analogo, ci si può chiedere quale percentuale della popolazione in possesso di una laurea eviti di interrogarsi su una serie di altre questioni piuttosto semplici eppure correntemente eluse: quante molecole di sostanza chimica attiva si trovano in una pillola omeopatica (una, nessuna o centomila)? Gli scienziati più competenti ritengono probabile che i ripetitori della telefonia mobile irraggino a distanza influssi nefasti? Finora si sono mai registrati, nel mondo, danni alla salute causati dagli Ogm?
Sia i movimenti di opinione più allarmisti, sia i manipolatori di informazioni televisive inclini a usare la demagogia per fini populistici, approfittano della mancanza di cultura scientifica per mobilitare il consenso di milioni di persone. Qui si viene invitati non già a un consenso informato ma a un consenso disinformato.

L’antidoto che Jervis suggerisce contro i rischi del relativismo consiste proprio in un uso critico del metodo scientifico, massima espressione della tradizione laica e razionalista della cultura occidentale. Ed è appunto la mancanza di una diffusa e solida cultura scientifica che ha favorito la diffusione delle derive più degradate del relativismo, fino al riconoscimento di pari dignità culturale a tutte le idee, anche le più bizzarre e inverosimili (significativa a tale proposito è la cosiddetta beffa di Sokal[3]). E da questo punto di vista la situazione del nostro paese è particolarmente grave.

In quest’ottica il volume di Jervis appare anche oggi quanto mai attuale: purtroppo, nei 17 anni trascorsi dalla sua prima pubblicazione la situazione generale non è affatto migliorata. Se “l’uno vale uno” può essere attraente in un mondo iperuranico, nel mondo reale la mancanza di senso di realtà e di competenze può causare disastri.

Tanta è la strada ancora da fare e, come conclude Jervis, nell’ultima frase del libro:

Il progresso verso un maggiore benessere e una più matura coscienza civile potrà dipendere non soltanto da un miglioramento del sistema scolastico e da un deciso innalzamento del livello medio di istruzione, ma anche dalla consapevolezza dei danni finora prodotti da tutti coloro che negano la differenza fra le opinioni e le conoscenze.


[1] https://www.vatican.va/gpII/documents/homily-pro-eligendo-pontifice_20050418_it.html;

[2] T. De Mauro (a cura di F. Erbani), La cultura degli italiani, Laterza, Roma-Bari 2005;

[3] Si veda: A. Sokal, J. Bricmont, Imposture intellettuali, Garzanti, Milano 1999 e l’articolo originale: A.D. Sokal, Transgressing the Boundaries. Toward a Transformative Hermeneutics of Quantum Gravity (Trasgredire le frontiere verso un’ermeneutica trasformativa della gravità quantistica), «Social Text», primavera-estate 1996, pp. 217-252.



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