Convenzione di Istanbul: la destra italiana non vota la tutela delle donne

Se in Europa si comprende la necessità di strategie più efficienti contro la violenza maschile, il nostro Paese spicca in negativo: sulla pelle delle donne ritarda soluzioni, tentenna, si astiene o addirittura vota contro.

Maria Concetta Tringali

“La Commissione ha proposto l’adesione dell’Ue alla Convenzione di Istanbul nel 2016, ma la ratifica si è arenata a causa della reticenza di alcuni Paesi”. Il comunicato stampa dell’Europarlamento è chiarissimo. La notizia è di quelle gravide di conseguenze. Lega, Fratelli d’Italia e tre deputati di Forza Italia sono tra gli astenuti. Alessandra Basso e Susanna Ceccardi (del partito di Salvini) hanno addirittura votato contro.
I due scrutini, svoltisi l’11 maggio, hanno riguardato due aree della Convenzione: la prima comprende le istituzioni e la pubblica amministrazione (mozione passata con 472 sì, 62 no e 73 astenuti), la seconda è invece relativa alla cooperazione giudiziaria in materia penale, l’asilo e il non respingimento (qui i sì sono stati 464, 81 i no e 45 gli astenuti). I voti favorevoli sono quelli di S&d, Renew, Verdi, Sinistra, M5S e molta parte del Ppe. Per contare i contrari – di colore non italico – bisogna cercarli tra i polacchi di Partito dei Conservatori e dei Riformisti Europei pronti da un bel po’ a uscire dalla Convenzione, seguendo le orme della Turchia, e una parte di Identity and Democracy.
Il contesto muta con la decisione della Corte di giustizia Ue. Nell’ottobre 2021, la sentenza ha infatti confermato che l’Unione potrà ratificare il testo senza l’accordo di tutti gli Stati membri.
La posta s’è fatta, allora, altissima: è diventata concreta la possibilità che l’Ue adotti la Convenzione del Consiglio d’Europa. Firmata nel 2011 e ratificata dall’Italia nel 2013, non sfuggirà a nessuno come si tratti della prima fonte internazionale giuridicamente vincolante contro la violenza di genere.

Il documento è pietra miliare: definisce intanto – e senza infingimenti – la violenza agita contro le donne come una gravissima violazione dei diritti umani. Dal 2015 la determinazione della Commissione, del resto, era stata di darsi un cronoprogramma. La tabella di marcia ha lo scopo di giungere a ciò che viene definito “un quadro coerente a livello europeo” per combattere il fenomeno, per migliorare la prevenzione e offrire una migliore protezione e sostegno a donne e bambini. Restano sullo sfondo – non dimentichiamolo – ancora la Bulgaria, la Cechia, l’Ungheria, la Lettonia, la Lituania e la Slovacchia a non aver ratificato il testo. Nel frattempo, si continuano a contare i massacri: nel nostro Paese si superano le cento vittime all’anno. Una donna su tre ha subito nel corso della propria vita un qualche tipo di abuso; l’Organizzazione mondiale della Sanità parla di strutturalità e globalità del fenomeno sin dal 2002.

La risposta della politica in Italia è oggi – molto più di quanto non fosse ieri – inadeguata, spesso ipocrita, pressoché vuota. È di febbraio la legge che istituisce una Commissione bicamerale d’inchiesta finalizzata ad indagare il fenomeno della violenza contro le donne. Non v’è traccia di attività, al momento.
E va detto che quell’organo che fu monocamerale, dal 2017 era stato faro puntato su numeri, casistiche, provvedimenti. Per anni ha fotografato il dato, disinnescando giustificazioni, smontando stereotipi, scrivendo nero su bianco che non può parlarsi di raptus. Perché quando una donna muore ammazzata pagando la libertà e l’autodeterminazione, quando viene massacrata, sparata, sfregiata, arsa viva, è sempre per la scelta di un uomo: non c’è follia, ma il disegno criminale di percosse e violenze che culminano nella decisione di zittirla, di eliminarla.  Nelle sue molteplici sfaccettature, quella che annienta le donne colpendole sin dentro le mura di casa, è violenza fisica, sessuale, psicologica, economica. Quando gli abusi sono agiti davanti ai bambini, essi poi conducono all’abisso di un modello destinato a un’inarrestabile coazione a ripetere. E sappiamo bene che il peso della violenza assistita e si ripercuote per decenni, trasformandosi in cambiali di sangue che si pagano per generazioni.

Che sia già tardi e che si debba passare dalle parole ai fatti dovrebbe essere lapalissiano. «È tempo che l’UE ratifichi la Convenzione di Istanbul», spiega Arba Kokalari (PPE, SE), relatrice per la commissione per i diritti della donna e l’uguaglianza di genere, «dopo quasi dieci anni di pressioni da parte del Parlamento europeo, ora la ratifica innalzerà gli standard nella lotta e nella prevenzione della violenza di genere». Ecco che se in Europa si comprende, finalmente, come sia arrivato il momento di mettere a punto strategie di contrasto più efficienti (e si attende per la ratifica il voto favorevole del Consiglio, a maggioranza qualificata), il nostro Paese spicca. In negativo: si mette di mezzo e sulla pelle delle donne ritarda soluzioni, tentenna, si astiene e addirittura vota contro. Inspiegabilmente, incomprensibilmente. O forse no.

C’è, in effetti, una lettura possibile ed è anche quella più ovvia: il populismo e la retorica sono la sola lingua di questa destra. Di fondo, i contenuti che essa promuove coincidono con la difesa strenua dell’ordine patriarcale, sono quelli della fiamma che Meloni rivendica con orgoglio. La donna è ancella; nominarla non serve, il maschile basta a escluderla; deve dare figli alla patria, è fattrice; è una cittadina senza cittadinanza, anche se è italiana in purezza è una a cui vanno negati i diritti (proprio a partire dall’aborto); le siano riservate, semmai, delle mere concessioni; con parsimonia, col conta gocce, con il bilancino di uno status quo che nulla dovrà scalfire.

La Convenzione di Istanbul al contrario pretende impegni e predica condotte che impone agli Stati, consegna pericolosamente a ciascuna – e a ciascuno – una serie di incontestabili verità:
“Riconoscendo che il raggiungimento dell’uguaglianza di genere de jure e de facto è un elemento chiave per prevenire la violenza contro le donne;
riconoscendo che la violenza contro le donne è una manifestazione dei rapporti di forza storicamente diseguali tra i sessi, che hanno portato alla dominazione sulle donne e alla discriminazione nei loro confronti da parte degli uomini e impedito la loro piena emancipazione;
riconoscendo la natura strutturale della violenza contro le donne, in quanto basata sul genere; riconoscendo con profonda preoccupazione che le donne e le ragazze sono spesso esposte a gravi forme di violenza, tra cui la violenza domestica, le molestie sessuali, lo stupro, il matrimonio forzato, i delitti commessi in nome del cosiddetto “onore” e le mutilazioni genitali femminili, che costituiscono una grave violazione dei diritti umani delle donne e delle ragazze e il principale ostacolo al raggiungimento della parità tra i sessi;
constatando le ripetute violazioni dei diritti umani nei conflitti armati che colpiscono le popolazioni civili, e in particolare le donne, sottoposte a stupri diffusi o sistematici;
riconoscendo che i bambini sono vittime di violenza domestica anche in quanto testimoni di violenze all’interno della famiglia”, aspira a creare un’Europa libera dalla violenza contro le donne e dalla violenza domestica. Perciò forse fa paura, va tenuta al palo.

 

Foto Flickr | European Parliament



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