Cormac McCarthy ha varcato il confine
Congediamoci da uno dei nostri più noti, più amati autori, perché McCarthy è tornato all’amorfo, al primigenio e al selvaggio di cui ha sempre scritto.
Andrea Maffei
Una sera lui s’allontanò costeggiando la riva del lago tra i cespugli e i salici, scese da cavallo, si svestì ed entrò nell’acqua sospingendo il riflesso della luna davanti a sé verso le anatre che starnazzavano al buio.
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da C. McCarthy, Cavalli selvaggi, trad. di I. Legati Torino, Einaudi, 1996
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Nella fecondissima Letteratura contemporanea statunitense, specificamente per la prosa (tra Pynchon e Foster Wallace, Roth e Delillo, Toni Morrison e Marilynne Robinson, Carver e Salinger) Cormac McCarthy ha sempre saputo ritagliarsi uno spazio proprio. È stato il cantore della wilderness, l’intraducibile termine con cui gli statunitensi indicano la landa, la frontiera, la terra splendida, desertica, mitica (nei miti mediterranei divinità greco-latine, in quelli statunitensi cowboys) e informe, che l’individuo plasma, con la sua forza, il suo ardire, la sua ferocia. L’assolata pianura rossa di arena oppure fertile erbosa, ricca di pozze, corsa dai cavalli indomiti selvaggi, l’alba che la illumina, la notte lunare quieta e pacificatrice, gli ambigui e decadenti motel, di tanto in tanto visitati da un qualche psicopatico con pistola ad aria compressa: tutte immagini che McCarthy, per mezzo d’una scrittura asciutta e scabra come roccia, ha saputo fare sue.
E ancora: la highway, che plasticamente testimonia la penetrazione umana nella Natura ostile, la sua affermazione su questa, solcata da camion sabbiosi e fantasmatici, solitari, trafficanti di droga da e per il Messico, contrabbandieri vari. Cinematografico? Dialoghi a volte troppo cinematografici? Forse, ma anche questi hanno forgiato lo stile inconfondibile d’un autore nel tempo sovente accostato a Faulkner, a cui senz’altro lo accomunava una spiccata (a volte palese) ricerca dell’epico.
In ultimo: la frontiera, ove ogni storia principia finisce, il varco da travalicare, spesso pagandolo in sangue, non per forza il proprio.
Degli ultimissimi due romanzi di McCarthy, la diade Il passeggero e Stella Maris, soltanto il primo è stato già pubblicato in Italia, per Einaudi, mentre il secondo dovrebbe uscire, postumo, in autunno. Assumiamo fin d’ora l’impegno a recensirli entrambi, quando saranno disponibili, nella rubrica Mappe del nuovo mondo.
Ma oggi soltanto congediamoci da uno dei nostri più noti, più amati autori, perché Cormac McCarthy è tornato all’amorfo, al primigenio e al selvaggio che ha sempre cantato.
FOTO Flickr | alessio sartore
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