Cosa ci rende umani? Dai neuroni concettuali alla creatività

Appunti da una coinvolgente lectio magistralis di Rodrigo Quian-Quiroga, importante neuroscienziato, scopritore dei “neuroni concettuali”, pronunciata al Festival della Scienza di Genova 2021.

Sofia Belardinelli

Che gli umani siano in una certa misura diversi dagli altri esseri viventi è innegabile. Ma qual è la sfuggente proprietà che rende la nostra specie un unicum nella storia della vita?

È questa la domanda a cui prova a rispondere con i suoi studi ed esperimenti Rodrigo Quian-Quiroga, neuroscienziato di fama mondiale, che ha affrontato il tema – cosa ci rende umani? – in una lectio tenuta al Festival della Scienza di Genova 2021.

Come tutte le specie viventi, anche noi umani abbiamo diversi tratti cosiddetti “specie-specifici”, cioè solo nostri, non condivisi con altri viventi. Se seguiamo la nostra ascendenza filogenetica, che ci porta dai vertebrati, ai mammiferi, fino ai primati non umani, ci rendiamo conto che le differenze anatomiche si fanno sempre più sfumate. D’altro canto, al di là delle differenze anatomiche, sembra di poter affermare che tra noi e i nostri più vicini “cugini filogenetici” (scimpanzé e bonobo) vi sia un grande scarto dal punto di vista intellettivo. Ciò non significa che gli animali non umani non siano dotati di intelligenza: al contrario, animali come gli scimpanzé sono, a loro modo, molto intelligenti. E tuttavia, la loro intelligenza non è minimamente paragonabile a quella umana, che è in grado di comprendere il mondo attraverso categorie molto più ampie e complesse.

Intelligenza: questione di dimensioni?

A lungo si è ritenuto che a determinare questa differenza fossero le dimensioni del cervello. In effetti, nel corso della storia evolutiva dell’uomo si è verificata una tendenza piuttosto lineare all’ingrandimento di questo organo, e se paragoniamo un cervello umano con quello di un altro primate o, ancor di più, con quello di un altro mammifero, la differenza di grandezza è evidente. Tuttavia, non sono tanto le dimensioni a contare: secondo Rodrigo Quian-Quiroga, il quid che ci rende umani deve essere cercato nelle funzioni dei neuroni. La ricerca in questo senso è, purtroppo, molto limitata: per evidenti questioni etiche, gli scienziati possono effettuare esperimenti per studiare il funzionamento dei neuroni su specie come topi, ratti e macachi, ma non sugli esseri umani. Tutto quel che sappiamo sul funzionamento cellulare del cervello umano è dunque estrapolato per analogia dalle conoscenze riguardanti specie con caratteristiche intellettive molto diverse dalle nostre: non è possibile, dunque, verificare se nei cervelli umani accada qualcosa di qualitativamente diverso.

Negli anni, tuttavia, sono stati fatti progressi decisivi, e proprio Quian-Quiroga è tra i protagonisti di alcune tra le scoperte più entusiasmanti circa il rapporto tra mente, cervello e memoria.

Neuroni, memoria, pensiero: un intreccio complesso

Oggi sappiamo che l’area cerebrale depositaria della memoria è l’ippocampo, una struttura presente in entrambi gli emisferi e che, in molti casi, è coinvolta anche nella comparsa dell’epilessia. La scoperta del legame tra ippocampo e memoria è legata proprio a questa patologia: nel 1953, negli Stati Uniti, un chirurgo che cercava di trattare un paziente affetto da un’epilessia impossibile da curare attraverso farmaci decise di asportare del tutto l’ippocampo. L’epilessia scomparve, ma il paziente – Henry Molaison, poi divenuto un caso famosissimo nelle neuroscienze – venne colpito da una grave forma di amnesia, che lo costringeva a vivere in un eterno presente.

Questo genere di intervento è ancora praticato, ma si è compreso come evitare questo grave effetto collaterale: a differenza del chirurgo americano, infatti, oggi si rimuove solo uno dei due ippocampi (quello dell’emisfero destro o sinistro), dopo aver valutato quale sia quello coinvolto nelle crisi epilettiche.

Per sottoporre i pazienti a queste verifiche preoperatorie vengono impiantati nel cervello degli elettrodi, che servono a monitorare l’attività neuronale nel corso delle crisi. Ed è qui che entra in gioco il lavoro sperimentale di Quian-Quiroga: in alcuni dei suoi esperimenti più famosi, il neuroscienziato ha mostrato ai pazienti immagini di diversi personaggi famosi, e ha registrato quali neuroni si attivassero al momento del riconoscimento. Nel corso degli esperimenti ha osservato che, proponendo ai soggetti diverse immagini dello stesso personaggio in contesti diversi, o addirittura mostrandone il nome scritto o facendo ascoltare la registrazione del suo nome, si attivava lo stesso neurone. È così che Quian-Quiroga ha scoperto il famoso “neurone Jennifer Aniston” – ma, come ha raccontato al pubblico del Festival della Scienza di Genova, ha individuato anche un “neurone Maradona”, un “neurone Halle Berry”, un neurone “Luke Skywalker” (il neuroscienziato è appassionato di fantascienza…) e perfino un “neurone Rodrigo Quian-Quiroga”.

Dimenticare i dettagli è un vantaggio

Cosa significano queste scoperte? Il fatto che lo stesso neurone riconoscesse un soggetto a prescindere dal contesto nel quale esso era inserito suggerisce una caratteristica peculiare del nostro modo di comprendere il mondo: i neuroni isolati attraverso questi esperimenti, infatti, sembrano in grado di codificare concetti e associazioni di concetti. Questa codificazione è strettamente legata alla memoria: noi umani, infatti, tendiamo a ricordare i concetti e a dimenticare i dettagli. La nostra memoria è quindi popolata da concetti e associazioni, da rappresentazioni astratte della realtà: questo, secondo gli studiosi, ha profonde conseguenze nel plasmare il modo in cui pensiamo.

Finora, questo genere di attività neuronale è stato riscontrato solo negli esseri umani. «È solo un’ipotesi – afferma Quian-Quiroga – e potrebbe essere smentita da future scoperte, ma per ora sembra plausibile che stia proprio in questo quel quid che ci rende umani».

A questa capacità di pensiero astratto potrebbe essere strettamente legato lo sviluppo del linguaggio: l’ipotesi dello scienziato è che il pensiero astratto (e i “neuroni concettuali”) e il linguaggio siano emersi in contemporanea nel corso dell’evoluzione di Homo sapiens, rafforzandosi a vicenda.

Intelligenze artificiali, umani e creatività

La capacità di concettualizzare potrebbe dunque essere, secondo questa ipotesi, ciò che ci differenzia da ogni altro essere vivente. Ma, secondo Quian-Quiroga, questa idea può avere altre applicazioni feconde: ad esempio, ci permette di riflettere su una delle frontiere della tecnologia, l’intelligenza artificiale (AI). Sono molti i film di fantascienza che immaginano un mondo dominato da AI divenute coscienti, che prendono il sopravvento sull’essere umano: pensiamo a HAL9000, il supercomputer di 2001: Odissea nello spazio, capolavoro cinematografico che solleva temi ancora terribilmente attuali.

Ma perché questi scenari sono rimasti, finora, appannaggio della fantascienza? La risposta è, ancora una volta, in “quel che ci rende umani”: Quian-Quiroga spiega che ciò che manca alle tecnologie di intelligenza artificiale – e che gli studiosi non hanno ancora oggi idea di come implementare – è un’altra caratteristica essenziale del pensiero umano, la cosiddetta intelligenza generale, ossia la capacità di trasferire le conoscenze possedute da un ambito all’altro, ragionando in maniera creativa tramite inferenze e analogie. Ed è proprio quel che i “neuroni concettuali” dello scienziato garantiscono: la capacità di sviluppare i nostri ricordi, e di conseguenza i nostri pensieri, a partire da concetti liberi dal contesto.

A renderci umani, allora – diversi dagli altri viventi, ma anche dalle macchine – è la nostra capacità di astrarre, dimenticando i dettagli e aprendo la via alla creatività.



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