Cosa può fare l’Europa per l’Ucraina

L’Europa può fare molto per l'Ucraina, ma l’ultima cosa che deve fare è inviare armi e imporre la no-fly zone. Una replica a Flores d’Arcais.

Lucio Baccaro

In un articolo pubblicato sul Fatto Quotidiano e sul sito di MicroMega (“Un deserto chiamato pace?“), anche Paolo Flores d’Arcais, come molti altri, indossa la tuta mimetica e chiama alla guerra giusta contro l’aggressore Putin. L’Europa, sostiene il direttore di MicroMega, ha il dovere morale di sostenere l’Ucraina nella sua guerra di liberazione inviando armi e imponendo una no-fly zone sui cieli ucraini. «Se l’Europa non difende l’Ucraina rinuncia a difendere se stessa». Se non per obbligo morale, lo faccia per interesse, per evitare di dover accogliere centinaia di migliaia di profughi in fuga.

Di questo articolo condivido solo l’appello finale al lettore. In questa vicenda, dice Flores d’Arcais, siamo tutti coinvolti, «personalmente, direttamente, uno per uno. Non allo stesso modo, ovviamente. In proporzione al potere politico, all’influenza mediatica, all’ascendente sui social, nel luogo di lavoro e di studio, nella cerchia di amici e conoscenti, che ciascuno di noi possiede. Che può essere anche modesto, piccolo, infimo, una piuma, ma non è mai nullo, e ci inchioderà moralmente». È con questo spirito che intervengo, per non dover rimproverare a me stesso un giorno di non aver fatto il poco che avrei potuto. Lo faccio con in mente le parole di un militare, il generale Fabio Mini: «Nel momento in cui noi stessi cominciamo a credere alla nostra stessa propaganda il gioco è fatto, e non si torna indietro: questo vale per gli ucraini, per i russi ma anche per noi spettatori più o meno coinvolti» (Il Fatto Quotidiano, 6 marzo 2022).

Flores d’Arcais non può non sapere che l'”Europa” non esiste in quanto entità militare. Esiste la Nato. Quindi quando chiede all’Europa di inviare armi e di imporre la no-fly zone, lo sta chiedendo alla Nato. In un’intervista al Corriere della Sera del 6 marzo 2022, un altro militare, l’ammiraglio Mike Mullen, ex capo di stato maggiore americano, ci spiega cosa significhi la no-fly zone. «Se un aereo russo tenta di entrare, ti ritrovi con aerei della Nato a contatto con quelli russi e una delle regole d’ingaggio è: posso sparargli? E una volta che li abbatti, sei in una qualche versione di una guerra con la Russia». Quindi un eventuale incidente nel garantire la no-fly zone trascinerebbe la Nato nella guerra, che diventerebbe una guerra mondiale e potrebbe diventare una guerra nucleare.

Come reagirebbe infatti Putin se la guerra in Ucraina si mettesse a mal partito per lui, o anche se conoscesse difficoltà inaspettate? Gli studi di scenario fatti dagli americani mostrano che i percorsi di escalation portano tutti eventualmente sulla soglia di una guerra nucleare. «Numerosi giochi di guerra condotti dagli Stati Uniti e dai loro alleati sulla scia dell’invasione russa dell’Ucraina del 2014 indicano che Putin probabilmente userebbe un’arma nucleare se concludesse che il suo regime è minacciato […] L’opzione nucleare che è stata più frequentemente discussa negli scorsi giorni prevede che la Russia usi una piccola arma nucleare (un'”arma nucleare non strategica”) contro un obiettivo militare specifico in Ucraina. Un tale attacco potrebbe avere uno scopo militare, come la distruzione di un campo d’aviazione o di un altro obiettivo militare, ma sarebbe principalmente finalizzato a dimostrare la volontà di usare armi nucleari, o “escalation al fine di de-escalation“, e indurre l’Occidente a fare marcia indietro», scrive Christopher S. Chivvis.

Quindi la proposta di inviare armi per aumentare la capacità di resistenza ucraine in una guerra convenzionale contro i russi, e ancor più quella del coinvolgimento Nato in una no-fly zone, rischiano seriamente di aggravare la situazione, e di aumentare ulteriormente le sofferenze degli ucraini. Ma forse la proposta è da valutarsi dal punto di vista deontologico piuttosto che consequenzialista. C’è un imperativo categorico ad assistere militarmente un Paese aggredito, anche se nessun accordo di mutuo soccorso è stato sottoscritto? Direi proprio di no. C’è però un obbligo all’accoglienza dei profughi e all’assistenza alle vittime di guerra.

Cosa può fare concretamente per l’Ucraina l’Europa, in quanto tale e non in quanto junior partner di un’alleanza militare? Può adoperarsi per un cessate il fuoco immediato e per porre le basi di una pace duratura. La Russia deve essere portata al più presto al tavolo delle trattative, e per farlo si deve riconoscerle una delle sue richieste chiave: l’impegno al non-ingresso dell’Ucraina nella Nato e alla sua smilitarizzazione. Non entro nelle determinanti del conflitto attuale, che sono di lunga data e risalgono almeno alla dichiarazione di Bucarest dell’aprile 2008, quando si mise nero su bianco che «la Nato accoglie con favore le aspirazioni euro-atlantiche dell’Ucraina e della Georgia per l’adesione alla Nato. Abbiamo concordato oggi che questi Paesi diventeranno membri della Nato». Non c’è nessuna certezza che se la Nato non avesse cercato di allargarsi fino al cortile di casa della Russia, Putin non avrebbe attaccato ugualmente l’Ucraina come parte di un piano di ricostituzione della sua sfera d’influenza. Tuttavia, è a mio avviso molto probabile che chi in futuro scriverà la storia della guerra in corso dovrà attribuire un ruolo importante all’espansionismo della Nato verso Est.

Invece di inviare armi o di pattugliare lo spazio aereo ucraino, i Paesi UE dovrebbero rafforzare l’assistenza umanitaria e impegnarsi ad accogliere tutti i profughi di guerra, redistribuendoli tra i vari Stati membri e favorendo ove opportuno i ricongiungimenti familiari. Questo potrebbe anche fornire un’opportunità per ridiscutere il Trattato di Dublino. I fondi che i governi occidentali hanno destinato alla spesa militare, per esempio i 100 miliardi stanziati recentemente dal governo tedesco, dovrebbero essere utilizzati per finanziare l’assistenza umanitaria e la ricostruzione postbellica in Ucraina. Trovo disgustoso che i soldi non ci siano mai per le politiche sociali e gli investimenti pubblici, ma che si trovino così facilmente quando si tratta di armi. Nel periodo post-bellico, i paesi UE dovrebbero impegnarsi a trasformare l’Ucraina in una seconda Svizzera, prospera e neutrale, anche utilizzando un veicolo come il NextGenEU, finanziato da debito comune.

La vera arma di pressione nei confronti della Russia sono le sanzioni economiche, durissime, compreso il blocco delle riserve estere della Banca centrale russa. Queste dovrebbero continuare fino al ritiro totale di Mosca dai territori occupati, e dovrebbero essere ulteriormente inasprite. Per esempio, dovrebbero essere eliminate le eccezioni introdotte per i pagamenti per gas ed energia, anche a costo di qualche sacrificio da parte nostra. Siamo ormai alla fine dell’inverno e questo riduce le necessità di gas per uso domestico e fornisce una finestra di opportunità per cercare fornitori e fonti alternative. Gli espropri di yacht e immobili appartenenti agli oligarchi e il blocco dei conti bancari servono a metter pressione sul “selettorato” di Putin, inducendolo ad adoperarsi per il cambio di regime.

La sicurezza dell’Ucraina smilitarizzata dovrebbe essere garantita da una coalizione internazionale che comprenda Usa, Cina e Unione Europea. Sarebbe opportuno che la coalizione fosse sotto l’egida dell’Onu, ma dato che la Russia è membro permanente del Consiglio di Sicurezza e ha potere di veto, che sia pure una “coalizione dei volenterosi”, per una volta a giusto titolo.

Appena possibile, e certamente dopo la cessazione completa delle ostilità, sarà necessario indire referendum popolari sotto la supervisione dell’Osce nelle repubbliche di Donetsk e Luhansk per definire il loro status (appartenenza alla Russia, all’Ucraina, o indipendenza), ma anche in Crimea, ove il referendum del marzo 2014 fu tenuto in presenza di forze di occupazione sul terreno (data la composizione demografica della regione è plausibile che il risultato sia confermato).

Dunque l’Europa può davvero fare molto per l’Ucraina, impegnandosi per una cessazione immediata delle ostilità e sostenendola economicamente durante e soprattutto dopo il conflitto. Se ci riuscisse, ritroverebbe probabilmente anche se stessa.

Credit foto: Kiev, 4 marzo 2022. ANSA EPA/ZURAB KURTSIKIDZE



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